Cass. civ. Sez. I, Sent., 29-12-2011, n. 29870 Diritti politici e civili

Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole direttore del sito giuridico http://www.gadit.it/

Svolgimento del processo

P.E. ricorre, sulla base di due motivi, avverso il decreto della corte d’appello di Genova del 19 febbraio 2008 che, accogliendo la domanda, proposta con ricorso del 3 dicembre 2007, diretta a ottenere l’equa riparazione del pregiudizio derivante dall’irragionevole durata di un giudizio civile, iniziato davanti al tribunale di Grosseto nel novembre 1996 e pendente in grado d’appello, ha liquidato la somma di Euro 5.500,00, avendo ritenuto ragionevole, pur trattandosi di causa non particolarmente complessa, una durata del giudizio di primo grado di quattro anni e di quello di secondo grado di tre anni e avendo accertato un ritardo di cinque anni e mezzo.

Resiste con controricorso il Ministero della giustizia. La ricorrente ha depositato memoria.

Motivi della decisione

Il ricorso, con il quale si censura, da un lato la determinazione della durata ragionevole dei giudizi e, quindi l’entità del ritardo e, dall’altro, l’erronea liquidazione delle spese, è inammissibile, anche se per ragione diversa da quella indicata dall’amministrazione controricorrente, la quale ha dedotto che i quesiti di diritto, sono privi dell’indicazione delle norme violate.

L’art. 366 bis c.p.c., inserito con il D.Lgs. 2 febbraio 2006, n. 40, art. 6 e applicabile ai ricorsi per cassazione proposti avverso le sentenze e gli altri provvedimenti pubblicati a decorrere dal 2 marzo 2006, non richiede a pena d’inammissibilità che il quesito contenga l’indicazione delle norme che si assumono violate, ma, secondo il costante orientamento di questa Corte, non può consistere in un’enunciazione di carattere generale e astratto, nè in una mera richiesta di accoglimento del motivo o nell’interpello della corte di legittimità in ordine alla fondatezza della censura, ma deve costituire la chiave di lettura delle ragioni esposte e porre la corte in condizioni di rispondere ad esso con l’enunciazione di una regola iuris, che sia, in quanto tale, suscettibile di ricevere applicazione in casi ulteriori rispetto a quello sottoposto all’esame del giudice che ha pronunciato la sentenza impugnata.

Nella specie i motivi sono del tutto astratti e generici e non contengono alcun riferimento alla fattispecie concreta.

Le spese seguono la soccombenza.

P.Q.M.

La corte dichiara il ricorso inammissibile e condanna la ricorrente al pagamento delle spese con Euro 865,00 (di cui Euro 100,00 per esborsi), oltre alle spese prenotate a debito.

Testo non ufficiale. La sola stampa del bollettino ufficiale ha carattere legale.

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