Cons. Stato Sez. V, Sent., 19-09-2011, n. 5285 Mansioni e funzioni Pensioni, stipendi e salari

Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole direttore del sito giuridico http://www.gadit.it/

Svolgimento del processo – Motivi della decisione

Il TAR Lazio -Sezione staccata di Latina dichiarava in parte inammissibile e per il residuo infondato il ricorso che le ricorrenti in epigrafe avevano proposto contro il Comune di Latina per conseguire sia l’inquadramento nella sesta qualifica ex d.P.R. n. 333/1990, sia la corresponsione delle differenze retributive per le mansioni superiori da loro asseritamente svolte.

Precisamente, il TAR riteneva inammissibile la richiesta avanzata di un inquadramento superiore (dopo aver rigettato l’eccezione di parziale improcedibilità sollevata al riguardo, da ultimo, dalle stesse interessate), ed infondata la domanda delle differenze retributive in quanto non risultava che le istanti avessero ricevuto un formale incarico di svolgere le vantate mansioni superiori.

Avverso detta sentenza le ricorrenti proponevano appello, deducendo l’erroneità della sentenza del primo Giudice nella parte in cui aveva disatteso l’eccezione di parziale improcedibilità che era stata articolata in dipendenza dell’intervenuto loro inquadramento con delibera del 13.10.1993, nelle more del giudizio, nella qualifica rivendicata. Le interessate insistevano, inoltre, sul riconoscimento del diritto a conseguire le differenze retributive per le mansioni superiori.

Resisteva all’impugnativa il Comune di Latina.

Questa Sezione respingeva l’appello con la sentenza in epigrafe, sulla scorta della seguente motivazione.

"4.1.Correttamente il TAR ha ritenuto di non dovere dichiarare la parziale improcedibilità del ricorso per essere intervenuto nelle more del giudizio l’inquadramento delle ricorrenti nella sesta qualifica con delibera del 13. 10.1993.

Invero detto inquadramento è stato effettuato a seguito di corsoconcorso e con effetto ex nunc, mentre le istanti chiedevano un inquadramento nella sesta qualifica ex d.P:R. n.333/1990, che aveva decorrenza economica dal 1° luglio 1988.

4.2.Priva di fondamento è la pretesa delle dipendenti, inquadrate nel quinta qualifica ex d. P.R. n.333/1990, ad ottenere la corresponsione delle differenze retributive per l’asserito svolgimento di mansioni superiori di sesta qualifica per il periodo antecedente all’intervenuto inquadramento in quest’ultima qualifica.

E’ orientamento pacifico della Sezione che al fine della corresponsione delle differenze retributive dovute, non solo deve essere vacante e disponibile il relativo posto in organico ma occorre anche un preventivo provvedimento di incarico (V. la decisione della Sezione 14 gennaio 2009 n. 100 e precedenti ivi indicati).

Nella specie l’incremento dei posti in organico nella sesta qualifica è intervenuto solo con la delibera del 5 aprile 1991 ed inoltre difettava pure un incarico formale da parte dell’Autorità competente in materia, che era all’epoca la Giunta municipale.

Detto indirizzo restrittivo è stato recentemente ribadito da questo Consiglio, osservandosi che il diritto del dipendente pubblico, che abbia svolto mansioni superiori, al trattamento economico relativo alla qualifica immediatamente superiore, va riconosciuto con carattere di generalità solo a decorrere dalla data di entrata in vigore dell’art. 15 d.lg. 29 ottobre 1998 n. 387 (22 novembre 1998), atteso il carattere innovativo delle disposizioni in esso contenute (V. la decisione della Sezione 19 novembre 2009 n. 7234), mentre nella fattispecie si tratta di periodo antecedente al 1998.

Invero, non ha natura di norma di interpretazione autentica la disposizione contenuta nell’art. 15 d.lg. 29 ottobre 1998 n. 387, poiché tale carattere va riconosciuto solo alle norme dirette a chiarire il senso di quelle preesistenti, ovvero, in caso di interpretazioni polisense, ad enuclearne il senso ad esse più ragionevolmente ascrivibile, il che nel caso in esame non ricorre.

Per cui, nella specie, si deve fare applicazione dell’insegnamento tradizionale – affermato dalla Adunanza Plenaria n. 3 del 2006 – secondo il quale le mansioni svolte dal pubblico dipendente, eventualmente superiori rispetto alla qualifica rivestita, in mancanza dei relativi presupposti, sono del tutto irrilevanti sia ai fini della progressione in carriera sia ai fini retributivi."

Avverso tale decisione le stesse ricorrenti hanno ora esperito il presente ricorso per revocazione.

Le medesime hanno allegato di non avere ricevuto il rituale avviso di fissazione dell’udienza di discussione dinanzi alla Sezione, atto inviato dalla Segreteria ma restituito dal Servizio postale al mittente con la motivazione "destinatario è sconosciuto". L’omissione, che ha impedito di presentare ulteriori memorie e documenti, oltre che di presenziare all’udienza, avrebbe integrato gli estremi dell’errore di fatto di cui all’art. 395, n. 4, cod. proc. civ..

Ai fini della fase rescissoria, inoltre, le istanti, avendo esclusivo riguardo alla propria pretesa di ottenere le desiderate differenze retributive, hanno dedotto che un formale incarico, sia pure assunto "ora per allora", avrebbe potuto essere individuato nella delibera consiliare n. 12/1991; e soggiungevano che delle colleghe in posizione analoga avevano visto le loro domande accolte dallo stesso T.A.R..

Si costituiva in resistenza anche a questo ricorso il Comune di Latina, che ne deduceva l’inammissibilità e comunque l’infondatezza.

All’udienza del 15 luglio 2011 la causa è stata trattenuta in decisione.

1 L’allegato motivo di revocazione sussiste.

La giurisprudenza ha difatti da tempo riconosciuto che nel sistema della giustizia amministrativa la rilevanza dell’errore di fatto di cui all’art. 395 n. 4, c.p.c. può essere affermata non solo rispetto a circostanze fattuali inerenti alla materia controversa, cioè propriamente alla fattispecie concreta dedotta in giudizio, ma altresì al "fatto" processuale, laddove rifletta la violazione di fondamentali regole procedurali poste a tutela dell’effettività del contraddittorio (C.d.S., IV, 22 aprile 1999, n. 695). E la pratica giurisprudenziale è pertanto uniforme nel riconoscere che la mancata comunicazione/ricezione dell’avviso di fissazione d’udienza da parte del difensore costituito in giudizio implica un errore di fatto che è rilevante (quando non determinato da un fatto imputabile al difensore, che non abbia comunicato la variazione dell’indirizzo alla Segreteria dell’organo giurisdizionale adìto: V, 10 febbraio 2009, n. 759; IV, 19 febbraio 2007, n. 858) ai sensi dell’art. 395 n. 4, c.p.c., poiché l’omissione dell’adempimento induce in errore il Giudice circa la regolare costituzione del contraddittorio (tra le tante in questo senso cfr. C.d.S., VI, 13 settembre 2010, n. 6560; V, 14 febbraio 2011, n. 963; ma v. anche, più indietro nel tempo, già IV n. 695/1999 cit.; V, 10 luglio 2000, n. 3860; per lo stesso indirizzo v. anche, ad es., Cassazione civile, sez. trib., 23 gennaio 2008, n. 1395; sez. unite, 30 dicembre 2004, n. 24170).

Ciò posto, in punto di fatto è emerso, dalle verifiche eseguite, che nella fattispecie la comunicazione al legale di parte dell’avviso di fissazione dell’udienza non è potuta andare a buon fine per un errore nell’intestazione di quest’ultimo.

La sentenza della Sezione deve quindi essere revocata.

2 L’appello di parte, nondimeno, deve essere respinto.

Sul punto dell’improcedibilità invocata dalle ricorrenti in virtù dell’intervenuto loro inquadramento nelle more del giudizio nella qualifica superiore, nessuna ragione è stata addotta per indurre la Sezione a discostarsi da quanto a suo tempo già osservato in occasione del proprio precedente decisum reiettivo. Per le ragioni poco sopra richiamate, dunque, questo profilo dell’appello non può che essere respinto.

Venendo al tema delle rivendicate differenze retributive, la decisione testé revocata succintamente già ricordava come la giurisprudenza di questo Consiglio è orientata ormai stabilmente e da tempo in senso contrario all’accoglimento delle istanze del personale tese al riconoscimento delle maggiori retribuzioni potenzialmente collegabili allo svolgimento di mansioni superiori.

Viene infatti costantemente affermato (cfr. la recente decisione n. 3314/2010 della Sezione, dalla quale si traggono i passaggi che qui di seguito si riportano) quanto di seguito:

"a) a meno che non via sia una specifica disposizione di legge che disponga altrimenti, lo svolgimento in via di mero fatto di mansioni superiori da parte del pubblico dipendente, rispetto a quelle dovute sulla base del provvedimento di nomina o di inquadramento, costituisce circostanza irrilevante, oltre che ai fini della progressione in carriera, anche ai fini economici, non essendo sotto tale aspetto il rapporto di pubblico impiego assimilabile al rapporto di lavoro privato, sia perché gli interessi pubblici coinvolti sono di natura indisponibile, sia, comunque, perché l’attribuzione di mansioni superiori e del correlativo trattamento economico devono avere il loro presupposto indefettibile nel provvedimento di inquadramento.(cfr., tra le tante, Sez. VI, 8.1.2003, n. 17; 19.9.2000, n. 4871; 22.8.2000, n. 4553; 11.7.2000, n. 3882; Ad. Pl. 23.2.2000 n. 11);

b) la domanda volta ad ottenere una retribuzione superiore a quella riconosciuta dalla normativa applicabile non può essere basata sull’art. 36 Cost., che afferma il principio di corrispondenza della retribuzione dei lavoratori alla qualità e quantità del lavoro prestato; tale norma, infatti, non può trovare incondizionata applicazione nel rapporto di pubblico impiego, concorrendo in detto ambito altri principi di pari rilevanza costituzionale, quali quelli previsti dall’art. 98 Cost. (che, nel disporre che i pubblici impiegati sono al servizio esclusivo della Nazione, vieta che la valutazione del rapporto di pubblico impiego sia ridotta alla pura logica del rapporto di scambio) e quali quelli previsti dall’art. 97 Cost., contrastando l’esercizio di mansioni superiori rispetto alla qualifica rivestita con il buon andamento e l’imparzialità dell’Amministrazione, nonché con la rigida determinazione delle sfere di competenza, attribuzioni e responsabilità dei funzionari (cfr. Sez. VI, 19.9.2000, n. 4871; Sez. VI, 11.7.2000, n. 3882; Sez. VI, 15.5. 2000, n. 2785; Ad. Plen. 18.11.1999, n. 22);

c) per effetto degli artt. 51 e 97 Cost. le attribuzioni delle mansioni e del relativo trattamento economico non possono essere oggetto di libere determinazioni dei funzionari amministrativi (cfr. Sez. VI, 8.1.2003, n. 17; 19.9.2000, n. 4871; Sez. VI, 11.7. 2000, n. 3882; Ad Pl. 23.2.2000, n. 11);

d) il diritto alle differenze retributive per lo svolgimento delle mansioni superiori da parte dei pubblici dipendenti va riconosciuto con carattere di generalità soltanto a decorrere dall’entrata in vigore del D.Lgs. 29.10.1998, n. 387, che con l’art. 15 ha reso anticipatamente operativa la disciplina dell’art. 56 D.lgs. 3.2.1993 n. 29, atteso che, prima di tale data, nel settore del pubblico impiego, salvo diversa disposizione di legge, le mansioni svolte da un pubblico dipendente erano del tutto irrilevanti ai fini della progressione di carriera ovvero agli effetti economici di un provvedimento di preposizione ad un ufficio di livello superiore (cfr., tra le tante, Cons. St., Ad. Plen. 23.2.2000, n. 11; Sez. VI 8.1.2003, n. 17; 27.11.2001, n. 5858; 7.5.2001, n. 2520).

Il Collegio non ignora che in senso favorevole al dipendente pubblico si è recentemente orientata la sentenza Cass. S. U. n. 25837 dell’11.12.2007, che ha espresso il seguente principio di diritto: "in materia di pubblico impiego – come si evince anche dalla lettura del D.Lgs. 3 febbraio 1993 n. 29, art. 56, comma 6, (nel testo sostituito dal D.Lgs. 31 marzo 1998, n. 80, art. 25, così come successivamente modificato dal D.Lgs. 29 ottobre 1998, n. 387, art. 15) – l’impiegato cui sono state assegnate, al di fuori dei casi consentiti, mansioni superiori, anche corrispondenti ad una qualifica di due livelli superiori a quella di inquadramento, ha diritto, in conformità della giurisprudenza della Corte Costituzionale, ad una retribuzione proporzionata e sufficiente ex art. 36 Cost.. Norma questa che deve, quindi, trovare integrale applicazione – senza sbarramenti temporali di alcun genere – pure nel settore del pubblico impiego privatizzato, sempre che le superiori mansioni assegnate siano state svolte, sotto il profilo quantitativo e qualitativo, nella loro pienezza, e sempre che in relazione all’attività spiegata siano stati esercitati i poteri ed assunte le responsabilità correlate a dette superiori mansioni."

Peraltro, pur in presenza di detto diverso indirizzo della Cassazione favorevole a riconoscere natura retroattiva alla modifica di cui al D. L.vo. n. 387/1998, questo Collegio (in adesione alla decisione sez. VI n. 4346 dell’11.9.2008) non ritiene di doversi discostare dal pacifico orientamento del Consiglio di Stato, secondo cui il diritto del dipendente pubblico alle differenze retributive spettanti per lo svolgimento di mansioni superiori può essere riconosciuto in via generale solo a decorrere dalla data di entrata in vigore del D. L.vo n. 387/1998 (22 novembre 1998), in quanto detto Decreto possiede evidente carattere innovativo rispetto alla normativa precedente e non riverbera in alcun modo la propria efficacia su situazioni pregresse (v., da ultimo, Cons. Stato, Ad. Plen., n. 3/2006).

Per il periodo antecedente il 30 giugno 1998, cui si riferisce la presente controversia, non può, quindi, essere riconosciuto il diritto alle predette differenze retributive (Cons. St., V, n. 2740 del 29 aprile 2009" (C.d.S., V, n. 3314 cit.).

Sul tema della disciplina dettata dagli articoli 5657 del d.lgs. n. 29/1993 merita di essere poi più ampiamente ricordato il puntuale insegnamento dell’Adunanza Plenaria di questo Consiglio (n. 10 del 2000).

"Ora, non sfugge al Collegio che la cd. privatizzazione del pubblico impiego operata dal decreto n. 29/1993 abbia costituito una riforma radicale (non una semplice correzione di aspetti secondari), destinata perciò ad investire la forma precedente nei suoi principi direttivi.

Senonché una modifica ab imis di un istituto complesso postula quasi sempre un’attuazione graduale, con la conseguenza che alcuni tratti della riforma (come la disciplina delle mansioni superiori), elaborati sul fondamento di una pronta effettività del rinnovato assetto, mancando questa, debbano poi essere differiti, potendo altrimenti innescare risultati non voluti. Ciò spinge il legislatore ad ulteriori interventi: le modifiche al d.lgs. n. 29 sono state singolarmente numerose e denotano le difficoltà emerse, sul piano pratico, per inquadrare la realtà fattuale nel nuovo orizzonte normativo.

E’ agevole comprendere, pertanto, come il legislatore, dopo aver introdotto all’art. 57 del d.lgs. n. 29 una disciplina generale del conferimento di mansioni (immediatamente) superiori, valida per tutte le amministrazioni pubbliche – quale fenomeno eccezionale e temporaneo (limitato a tre mesi e rinnovabile per eguale periodo, ma con conferimento ad altro dipendente) – ne abbia subito rinviato l’applicazione, subordinandola all’emanazione, in ciascuna amministrazione, dei provvedimenti di ridefinizione delle strutture organizzative. Ed ha, poi, rinnovato più volte la proroga sino all’abrogazione della norma.

Di fronte agli espliciti interventi del legislatore per differire l’attuazione della puntuale (e, tutto sommato, limitativa) disciplina delle mansioni superiori recata dall’art. 57, protrattisi sino alla sua caducazione, è arbitrario scorgere in esso l’espressione di un principio generale di più ampia portata e ritenerlo applicabile – in aperto conflitto con la contraria volontà espressa dal legislatore con i ripetuti rinvii – a far tempo dalla sua emanazione o, perfino, da data anteriore.

Attualmente la materia è disciplinata dall’art. 56 del d.lgs. n. 29/1993 (nel testo sostituito con l’art. 25 del d.lgs. 31 marzo 1998 n. 80), che ha regolamentato (ben può dirsi ex novo, per la significativa apertura nei confronti del mansionismo) l’istituto dell’attribuzione temporanea di funzioni superiori nell’ambito del pubblico impiego. E’ prova eloquente del mutato atteggiamento del legislatore l’affermazione, per la prima volta rinvenibile in un testo normativo di portata generale per il pubblico impiego, che al lavoratore spetta la differenza di trattamento economico con la qualifica superiore anche nel caso di assegnazione nulla per violazione delle condizioni ivi previste (art. 56 citato, quinto comma).

Anche questa volta l’operatività della norma è stata rinviata. Il sesto comma dell’art. 56 stabiliva, infatti, che "le disposizioni del presente articolo si applicano in sede di attuazione della nuova disciplina degli ordinamenti professionali prevista dai contratti collettivi e con la decorrenza da questi stabilita… Fino a tale data, in nessun caso lo svolgimento di mansioni superiori rispetto alla qualifica di appartenenza può comportare il diritto a differenze retributive o ad avanzamenti automatici nell’inquadramento professionale del lavoratore".

Ma in seguito l’art. 15 del d.lgs. 29 ottobre 1998 n. 387 ha soppresso le parole "a differenze retributive o". Con tale ultimo intervento il legislatore ha manifestato la volontà – non è possibile attribuire altro significato alla modifica – di rendere anticipatamente operativa la disciplina dell’art. 56, almeno con riguardo al diritto del dipendente pubblico, che ne abbia svolto le funzioni, al trattamento economico relativo alla qualifica immediatamente superiore.

Tale diritto, pertanto, va riconosciuto con carattere di generalità a decorrere dall’entrata in vigore del d.lgs. n. 387/1998.

E poiché, ad avviso del Collegio, il riconoscimento legislativo del diritto in questione, nei termini appena precisati, possiede un evidente carattere innovativo e non riverbera in alcun modo la propria efficacia su situazioni pregresse, esso non può trovare applicazione nei confronti dei ricorrenti, in quanto è posteriore all’ambito temporale oggetto della presente vertenza." (C.d.S., A.Pl. n. 10 del 2000).

Per tutto quanto precede, con riguardo al periodo temporale anteriore all’entrata in vigore delle modifiche apportate dall’art. 15 del d.lgs. n. 387/1998, che è proprio il lasso di tempo in cui si cala la pretesa qui sub judice, l’art. 56 del d.lgs. n. 29/1993 non consente che lo svolgimento di mansioni superiori alla qualifica ricoperta possa tradursi in un riconoscimento di differenze retributive.

Si è difatti ampiamente visto che lo svolgimento di mansioni superiori nell’ambito del pubblico impiego, anche se protratte nel tempo e assegnate con atto formale su posto vacante e disponibile, è giuridicamente ed economicamente irrilevante, un diritto alle differenze retributive potendo ammettersi unicamente per il periodo successivo all’entrata in vigore dell’art. 15 d.lgs. n. 387/1998 (C.d.S., IV, 8 giugno 2009, n. 3514; 26 settembre 2008, n. 4642).

Orbene, le precedenti considerazioni danno forma ad un impedimento al riconoscimento di differenze retributive che le argomentazioni svolte dalle odierne appellanti (sulla possibilità di individuare un formale incarico conferito "ora per allora" nella delibera n. 12/1991; e sull’esistenza di colleghe in posizione analoga che avrebbero visto le loro domande accolte in primo grado) non potrebbero in alcun modo superare.

L’appello in esame va pertanto respinto.

Le spese processuali possono essere tuttavia equitativamente compensate tra le parti in causa.

P.Q.M.

Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale (Sezione Quinta) accoglie il ricorso per revocazione, e per l’effetto revoca la sentenza in epigrafe.

Respinge l’appello.

Compensa integralmente le spese di lite tra le parti.

Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall’autorità amministrativa.

Testo non ufficiale. La sola stampa del bollettino ufficiale ha carattere legale.

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