Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole direttore del sito giuridico http://www.gadit.it/
Svolgimento del processo – Motivi della decisione
La società a r.l. E., affidataria da parte del Comune di Fossombrone, a seguito di contratto di appalto stipulato il 17/4/1992, dell’esecuzione di lavori di ristrutturazione e trasformazione di due edifici della ex struttura ospedaliera cittadina per un importo di lire 141.670.286, nel corso della esecuzione delle opere ebbe a richiedere alla stazione appaltante, con nota del 26.5.1993, il pagamento di compensi asseritamente maturati a titolo di revisione dei prezzi del contratto, con riferimento a quanto previsto dall’art 14 del Capitolato speciale di appalto, che avrebbe riconosciuto alla ditta appaltatrice il diritto di ottenere la revisione dei prezzi dei lavori pagati a misura in conformità a quanto disposto dalla legge 21 giugno 1964, n. 46. L’importo revisionale preteso dall’impresa ammontava a lire 60.187.730.
La stazione appaltante dopo l’approvazione dello stato finale dei lavori, a seguito di ulteriori sollecitazioni dell’impresa appaltatrice, con la lettera prot. n. 2819 del 1.4.1996 -che sarebbe stata oggetto d’impugnativa- respingeva formalmente la richiesta dell’appaltatore di un compenso revisionale. Ciò in quanto, secondo l’Amministrazione, nella vicenda contrattuale non si sarebbero verificate le condizioni richieste dall’art 33 della legge 28 ottobre 1986, n. 41, vigente alla data della stipula del contratto oggetto di causa, per la liquidazione della revisione prezzi.
Avverso il mancato riconoscimento del compenso revisionale la società E. proponeva ricorso al T.A.R. per le Marche, censurando le ragioni addotte dal Comune a giustificazione dell’opposto diniego con doglianze di violazione dell’art 33 della legge n. 41 del 1986, di eccesso di potere per travisamento e falsa applicazione dell’art. 14 del Capitolato speciale di appalto, di difetto dei presupposti e carenza di motivazione.
Deduceva la ricorrente che un impegno al riconoscimento della revisione prezzi era stato espressamente assunto dal Comune con l’art 14 del capitolato speciale di appalto, ove era stato precisato che i prezzi dei lavori a base d’asta oggetto di affidamento sarebbero stati quelli previsti nel precedente contratto stipulato in data 4.9.1985, i cui lavori non erano stati portati a completamento a causa dell’intervenuto fallimento dell’impresa originariamente aggiudicataria dell’appalto; donde l’esigenza di indire un’ulteriore procedura per affidare il completamento dei lavori, gara che il 23 gennaio 1992 aveva visto, appunto, aggiudicataria la ricorrente, con un’offerta di ribasso dello 0,70 %.
A fronte di tali circostanze, pertanto, e nella consapevolezza che i prezzi fissati nell’anno 1985 non fossero più adeguati a quelli di mercato alla data della nuova gara, la stazione appaltante aveva previsto, nell’apposito "Foglio di patti e condizioni" allegato alla delibera di indizione della nuova procedura, di procedere al loro aggiornamento secondo i criteri stabiliti per la revisione prezzi: tanto è vero che il tecnico incaricato della perizia suppletiva per la quantificazione dei lavori di completamento dell’intervento aveva quantificato in lire 42.501.085 la somma da destinare a revisione prezzi, pari ad una percentuale del 30 per cento dell’importo dei lavori a base d’asta.
Sempre ad avviso della ricorrente, quindi, in presenza dell’affidamento in essa così ingenerato circa la possibilità di percepire il compenso revisionale sui prezzi fissati diversi anni prima, e perciò non più congrui, l’operato dell’Amministrazione si rivelava illegittimo, non potendo trovare applicazione nel caso di specie le norme dell’art 33 della legge n. 41 del 1986 da ultimo opposte dalla committente.
Resisteva al gravame il Comune di Fossombrone.
Il TAR adito respingeva il ricorso con la sentenza n. 1558 del 2008 in epigrafe.
Avverso tale pronuncia la società interessata esperiva il presente appello, riproponendo sostanzialmente le proprie argomentazioni e richieste, e sottoponendo a critica la decisione del Tribunale per averle disattese.
Le ragioni dell’appellante venivano ribadite con una successiva memoria, con la quale si insisteva per l’accoglimento dell’appello.
Il Comune si costituiva anche in questo grado di giudizio in resistenza all’impugnativa avversaria, deducendone l’infondatezza e concludendo per la sua reiezione.
Alla pubblica udienza del 5 luglio 2011 la causa è stata trattenuta in decisione.
L’appello è solo per una limitata parte fondato.
1 La Sezione ritiene opportuno ricordare che nella lettera di invito alla procedura di gara informale vinta dall’appellante la stazione appaltante aveva espressamente precisato (pag. 5, lett D, comma 3) che "…per quanto concerne la revisione dei prezzi trovano applicazione le norme di cui all’art 33 della legge n. 41 del 1986": avvertenza con la quale l’appaltatore era stato reso puntualmente edotto dell’applicabilità in materia di revisione prezzi del relativo regime legale, con le limitazioni da esso imposte, onde l’impresa non può dolersi dell’applicazione di tale clausola negoziale che l’Amministrazione intimata ha poi fatto con il provvedimento impugnato, né invocare affidamenti in senso opposto.
E’ inoltre importante sottolineare che l’appellante, decidendo di partecipare alla detta procedura con la propria offerta in ribasso rispetto al prezzo a base d’asta, aveva accettato in tal modo ad ogni effetto il relativo corrispettivo, impegnandosi all’esecuzione delle opere previste proprio in funzione di tale prezzo. La circostanza, quindi, che i prezzi dei lavori a base d’asta oggetto di affidamento fossero rimasti quelli previsti nell’originario contratto stipulato in data 4.9.1985 non toglieva che ad anni di distanza essi erano stati liberamente accettati.
2 Fatte queste precisazioni, ci si può fare carico del principale argomento addotto dalla E., quello che attinge al contenuto dell’art. 14 del Capitolato speciale ("Foglio patti econdizioni"), fonte richiamata dall’art. 3 del Contratto del 17/4/1992 e a questo allegata. L’art. 14 cit., oltre a riconoscere per i lavori a misura l’applicabilità dell’istituto revisionale ai sensi della legge 21 giugno 1964, n. 46, recava la seguente clausola: "i prezzi saranno applicati considerando la revisione prezzi di cui al contratto n. 436 di Rep. stipulato in data 4/9/1985 per i lavori di ristrutturazione sede ospedaliera".
La clausola, in sé alquanto ambigua, viene intesa dall’appaltatore nel senso che con essa il Comune si sarebbe impegnato ad assicurare nella fattispecie una revisione prezzi retroattiva, a decorrere cioè dal tempo del precedente contratto, i cui valori sarebbero stati riconosciuti come inadeguati.
Osserva la Sezione che una simile interpretazione comporterebbe, tuttavia, la nullità della clausola per violazione della disciplina legislativa dell’istituto revisionale, regime le cui previsioni, come ha giustamente ricordato la difesa municipale, non sono derogabili dall’autonomia privata.
Si rammenta che l’art. 33 della L 28/02/1986 n. 41, dopo avere escluso la possibilità di procedere alla revisione dei prezzi per i lavori relativi ad opere pubbliche aventi durata inferiore all’anno, per quelli aventi durata superiore ammette la revisione (a decorrere dal secondo anno successivo alla aggiudicazione, e con esclusione dei lavori già eseguiti nel primo anno e dell’intera anticipazione ricevuta) quando, però, l’Amministrazione riconosca che l’importo complessivo della prestazione sia aumentato o diminuito in misura superiore al 10 per cento "per effetto di variazioni dei prezzi correnti intervenute successivamente alla aggiudicazione stessa".
Ora, appare evidente che se la clausola dell’art. 14 del Capitolato speciale ("Foglio patti econdizioni") dovesse essere intesa come attributiva di una revisione prezzi retroattiva a decorrere dal precedente contratto del 1985, essa confliggerebbe irrimediabilmente con la regola legislativa appena riportata, che stabilisce che ai fini revisionali possa tenersi conto unicamente delle "variazioni dei prezzi correnti intervenute successivamente alla aggiudicazione".
E’ noto, inoltre, come un uniforme orientamento giurisprudenziale escluda in materia di revisione prezzi la derogabilità della regolamentazione legale, alla quale viene riconosciuta valenza imperativa.
Ad esempio, nella pronuncia Cass. Civ., I, 24 febbraio 1994, n. 1876, si legge quanto segue.
"L’art. 2 della L. n. 37 del 1973 dispone: "… la facoltà di revisione dei prezzi è ammessa, secondo le norme che la regolano, con esclusione di qualsiasi patto contrario o in deroga": vuol dire che, a decorrere almeno dalla data di entrata in vigore di questa legge, la facoltà (ora soppressa ex art. 3 d.l. 3331992, convertito nella L. 3591992) dell’amministrazione appaltante (o concedente) di procedere alla revisione dei prezzi non ammetteva, sotto qualsiasi profilo, deroghe pattizie, nel senso, esplicitando, che la revisione non poteva essere preventivamente esclusa o, all’opposto, resa obbligatoria (Cass. 53331980, Cass. 42881992, Cass. 40881985, Cass. 40991987), nè essere regolata con modalità difformi, in tutto o in parte, dal regime legale.
Di qui la nullità (attesa la pacifica imperatività della norma sotto esame) delle pattuizioni derogative (sostituite, perciò, di diritto, ex art. 1339 c.c., dalla disciplina legale), quale che ne fosse il contenuto e, quindi, anche se attinenti non all’an ma al quantum della revisione e, in particolare, alla base del relativo computo, dato che l’art. 2 cit., rinviando, senza distinzione alcuna, alle norme (tutte) che regolavano l’istituto, non consentiva di degradare a norme dispositive quelle riguardanti il modo di determinare l’importo revisionale,…".
Nello stesso senso, sempre esemplificativamente, si può richiamare la sentenza della stessa Sezione 2 aprile 2007, n. 8213.
"Come è noto, in materia di appalto di opere pubbliche, secondo la disciplina vigente sino alla entrata in vigore del D.L. 11 luglio 1992, n. 333, convertito, con modificazioni, nella L. 8 agosto 1992, n. 359, che ha soppresso la facoltà della amministrazione appaltante di procedere alla revisione dei prezzi, sostituita poi dal diverso sistema di adeguamento previsto dalla legge quadro in materia di lavori pubblici n. 109 del 1994, la L. 22 febbraio 1973, n. 37, art. 2, vietava ogni genere di accordo incidente su questo aspetto del rapporto, così che la facoltà della stazione appaltante di riconoscere la revisione non poteva formare oggetto di disciplina convenzionale. Ne derivava che la revisione non poteva essere preventivamente esclusa o, all’opposto, resa obbligatoria in sede di stipulazione del contratto, né essere regolata con modalità difformi dal regime legale, con la conseguente nullità di clausole dirette a vincolare l’amministrazione committente al riconoscimento del diritto alla revisione (v. per tutte SU 2005 n. 22903; 2005 n. 18126; 2005 n. 6993).
La successiva L. 21 dicembre 1974, n. 700, che regolava l’entità degli acconti da corrispondere a tale titolo, nonchè le modalità ed i tempi dei relativi versamenti, non introdusse modifiche alla precedente normativa circa il potere dell’amministrazione committente di accordare o meno la revisione. Ed anche la L. 10 dicembre 1981, n. 741, recante ulteriori norme per l’accelerazione delle procedure per l’esecuzione di opere pubbliche, che apportò significative modifiche alla disciplina della revisione prezzi, non incise sul sistema di riconoscimento di detta revisione. E’ altresì noto che ai sensi della L. 28 febbraio 1986, n. 41, art. 33, comma 21, – Legge Finanziaria 1986 – contenente anch" essa modifiche al preesistente regime revisionale, chiaramente ispirate alla finalità di predeterminare e contenere il costo delle opere pubbliche, fu negata per i lavori aventi durata inferiore all’anno la facoltà di procedere alla revisione prezzi e che ai sensi del comma 3 detta facoltà fu ammessa, a decorrere dal secondo anno successivo alla aggiudicazione e con esclusione dei lavori già eseguiti nel primo anno e dell’intera anticipazione ricevuta…. Ne deriva l’infondatezza delle censure della s.p.a. Tor di Valle Costruzioni, che… pretende altrettanto erroneamente di ravvisare nella normativa in esame, e segnatamente nella L. n. 37 del 1973, artt. 2 e 33 della L. n. 41 del 1986, non già un divieto di regolamentazione contrattuale della revisione prezzi, ma un obbligo dell’amministrazione di concedere la revisione per i lavori eccedenti l’anno."
Un indirizzo simile si rinviene anche nella giurisprudenza amministrativa.
In particolare, la decisione C.d.S., IV, 18/11/1999 n. 1723, ha puntualizzato che dalla formula legislativa dell’art. 33 della legge n. 41 del 1986 non può trarsi la conclusione che, introducendo l’articolo modalità di riconoscimento della revisione prezzi difformi dal regime legale cui faceva riferimento l’art. 2 l.n. 37 del 1973, "sarebbe venuta meno l’impossibilità di derogare alla disciplina legale medesima,… perciò risultando abrogato "ogni carattere di indisponibilità" delle previsioni legali.
Tali affermazioni del primo giudice appaiono provare troppo, perché l’indisponibilità della disciplina legale di un istituto non viene meno a seguito della modifica della medesima, purché permanga appunto un insieme di previsioni legali e queste siano complessivamente orientate al perseguimento di una ratio inalterata ancorché, appunto, mutino determinati aspetti della normativa stessa.
Questa è l’ipotesi qui in esame, dove gli aggiustamenti apportati dalla legislazione del 1986 servirono a limitare gli abusi dell’istituto senza che venisse meno lo scopo di correzione e prevenzione delle distorsioni remunerative dei contratti con la p.a., perseguito, con l’istituto della revisione, a tutela dell’interesse pubblico ad una corretta e puntuale esecuzione dei lavori."
Per quanto precede, deve essere ritenuta infondata la pretesa dell’appaltatore di ottenere una revisione prezzi retroattiva, che sarebbe incompatibile con la regola legislativa per cui ai relativi fini può aversi riguardo unicamente alle "variazioni dei prezzi correnti intervenute successivamente alla aggiudicazione". Questo senza che in contrario valga addurre che nella perizia di variante per il completamento delle opere in questione, approvata con la deliberazione di G.M. n. 1037 del 1991, esisteva anche una voce destinata a revisione prezzi (quantificata in lire 42.501.085), previsione che aveva una valenza puramente cautelativa e non potrebbe comunque mai superare l’ostacolo sopra delineato.
3 Altro discorso si impone, invece, sul punto della maturabilità della revisione prezzi in dipendenza della durata dei lavori affidati all’appellante.
A questo riguardo, il Collegio è dell’avviso che in materia di revisione prezzi il termine "durata" di cui all’art. 33, commi 2 e 3, L. 28 febbraio 1986 n. 41, vada inteso nel senso della durata effettiva dei lavori. La revisione va pertanto accordata tutte le volte che la durata effettiva dei lavori, calcolata a partire dalla data di aggiudicazione, superi i 360 giorni, indipendentemente dall’eventuale termine infrannuale contrattualmente stabilito (Consiglio Stato, sez. II, 16 gennaio 1991, n. 1279).
In proposito non è quindi determinante la durata temporale prevista in contratto (nella specie, di giorni 120), bensì il tempo realmente impiegato per la realizzazione dell’opera, salvo che sia registrabile un mancato rispetto degli impegni contrattuali addebitabile all’appaltatore.
Sotto quest’ultimo profilo vale notare che la difesa comunale, pur ricordando che il contratto contemplava delle penali per il ritardo eventualmente imputabile all’impresa, non solo non ha rappresentato che le medesime avevano trovato applicazione in concreto, ma non ha neppure allegato alcuna forma di responsabilità dell’appaltatore nei ritardi verificatisi.
Non solo: dalla documentazione in atti risulta che la causa del ritardo era riconducibile al fatto che il corso dei lavori in rilievo era stato per due volte bloccato da sospensione, per complessivi 204 giorni di stasi. Ed è appena il caso di ricordare che nel sistema del d.P.R. 16/07/1962 n. 1063 (art. 30) la sospensione dei lavori era prevista in presenza di cause di forza maggiore, condizioni climatologiche od altre simili circostanze speciali, oppure di ragioni di pubblico interesse o necessità, e perciò per motivi non ascrivibili all’impresa appaltatrice.
Per questa parte la pretesa revisionale della società si rivela perciò sorretta dalla disciplina positiva.
L’Amministrazione dovrà quindi prendere in considerazione, alla luce del disposto dell’art. 33 comma 3 legge cit. ("Per i lavori di cui al precedente comma 2 aventi durata superiore all’anno, la facoltà di procedere alla revisione dei prezzi è ammessa, a decorrere dal secondo anno successivo alla aggiudicazione e con esclusione dei lavori già eseguiti nel primo anno e dell’intera anticipazione ricevuta, quando l’Amministrazione riconosca che l’importo complessivo della prestazione è aumentato o diminuito in misura superiore al 10 per cento per effetto di variazioni dei prezzi correnti intervenute successivamente alla aggiudicazione stessa. Le variazioni dei prezzi da prendere a base per la suddetta revisione per ogni semestre dell’anno sono quelle rilevate, rispettivamente, con decorrenza 1° gennaio e 1° luglio di ciascun anno."), il pur breve periodo decorso dall’inizio del secondo anno successivo all’aggiudicazione provvisoria del 23 gennaio 1992 e concluso con l’ultimazione dei lavori in data 6 aprile 1993, al fine di verificare se eventualmente esistano le condizioni per la maturazione di un compenso revisionale entro il suddetto arco temporale.
In conclusione, l’appello può essere accolto solo nei limiti da ultimo esposti, risultando per il resto infondato.
Stante l’esito della causa, le spese possono essere equitativamente compensate tra le parti per entrambi i gradi di giudizio.
P.Q.M.
Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale (Sezione Quinta), definitivamente pronunciando sull’appello in epigrafe, lo accoglie nei limiti di cui in motivazione, entro i quali accoglie altresì, in riforma della sentenza appellata, il ricorso di primo grado.
Compensa tra le parti le spese processuali del doppio grado di giudizio.
Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall’autorità amministrativa.
Testo non ufficiale. La sola stampa del bollettino ufficiale ha carattere legale.