Cass. pen. Sez. IV, Sent., (ud. 25-03-2011) 17-08-2011, n. 32117 Detenzione, spaccio, cessione, acquisto

Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole direttore del sito giuridico http://www.gadit.it/

Svolgimento del processo

Con sentenza emessa in data 1^ dicembre 2009 dal GIP del Tribunale di Bergamo in esito a giudizio abbreviato – confermata dalla Corte d’appello di Brescia con sentenza 21 maggio 2010 – Q.M. e F.O. erano riconosciuti responsabili, in concorso tra loro e con un terzo imputato, R.C. giudicato separatamente, del delitto di cui all’art. 110 c.p., al D.P.R. n. 309 del 1990, art. 73 per illecito trasporto e detenzione di UN chilogrammo di cocaina (con principio attivo pari al 36,6%) suddiviso in due panetti, occultati sotto il sedile – lato guida dell’autovettura VW Golf tg. (OMISSIS), a bordo della quale si trovavano, all’atto del controllo, il R. e F.O., seguiti a ruota dal Q. quale conducente dell’automobile Ford Fusion tg. (OMISSIS). Fatti verificatisi in (OMISSIS) ed in (OMISSIS) il (OMISSIS) 2009.

Era invero risultato accertato che l’autovettura condotta dal Q. era stata intercettata e seguita dai Carabinieri sull’autostrada (OMISSIS) nei pressi di (OMISSIS) e poi seguita, dopo l’uscita al casello di (OMISSIS), fino a (OMISSIS) ove, nei pressi della stazione ferroviaria, l’imputato si era incontrato con i correi giunti a bordo di altra autovettura VW Golf – intestata al fratello della F., ma nella disponibilità della donna – sulla quale i tre avevano poi proseguito fino al lago di Endine.

La VW Golf era stata ancora seguita dai Carabinieri fino alla località San Felice.

Una volta fatto ritorno alla stazione di (OMISSIS), ciascuno aveva poi ripreso la rispettiva autovettura per raggiungere nuovamente l’autostrada A/4, ove i due veicoli avevano proceduto di conserva.

Sottoposti a controllo in un’area di servizio, sull’autovettura VW Golf veniva rinvenuto il quantitativo di cocaina di cui all’imputazione.

Il coinvolgimento nell’episodio delittuoso dei tre imputati discendeva in particolare sia da quanto aveva dichiarato la F. al proprio difensore, allorchè aveva precisato che il R. ed il Q. si erano portati in una strada secondaria in località San Felice, verso il lago di Endine (ove i Carabinieri non avevano potuto proseguire il pedinamento per il rischio di esser scoperti) raggiungendo una casa diroccata sia dalla documentata attività di osservazione e controllo svolta dalla P.G..

I due avevano poi fatto ritorno all’automobile ove era rimasta la donna portando un sacchetto che anche costei aveva compreso contenesse la droga.

Avverso la sentenza propone ricorso il difensore del Q. deducendo vizi di difetto ed illogicità della motivazione in punto al diniego di rinnovazione dell’istruttoria ex art. 603 c.p.p., comma 3 (ritenuto applicabile dalla giurisprudenza nel giudizio d’appello, anche nell’ambito del rito abbreviato) non avendo la Corte d’appello spiegato le ragioni del mancato ingresso degli accertamenti istruttori ulteriori, attesa la denunziata insufficienza degli elementi atti a dimostrare la penale responsabilità dell’imputato.

Identico vizio denunzia il ricorrente in ordine alla violazione della regola di giudizio stabilita dall’art. 192 c.p.p., commi 2 e 3.

La Corte d’appello ha erroneamente ritenuto utilizzabili le dichiarazioni rilasciate dall’imputata F. al proprio difensore, tanto più che costei aveva inteso definire il procedimento nelle forme del giudizio abbreviato.

Secondo il ricorrente, un evidente profilo di illogicità della motivazione discendeva dal fatto che, i Giudici di secondo grado, avendo prestato fede alle dichiarazioni rilasciate dal coimputato R. al difensore della donna (ed alle parole di costei), in quanto intenzionato a recarsi a (OMISSIS) per acquistare la sostanza stupefacente, erano giunti tuttavia ad escludere che la sostanza stupefacente rinvenuta a bordo dell’autovettura ove si trovavano la F. ed il R., fosse stata collocata sul veicolo prima dell’inizio del pedinamento, incominciato alla stazione ferroviaria di (OMISSIS).

Sulla base di giudizi altamente ipotetici e frutto di congetture si era ritenuto inverosimile che un soggetto potesse aver intrapreso un viaggio con il rischioso carico di stupefacente provenendo dalla Toscana, con l’incerta prospettiva di non riuscire poi a collocare la cocaina sì da dovere questa poi riportare al luogo di partenza.

Ricorre altresì, ad avviso del difensore, il vizio di violazione di legge in punto al diniego del riconoscimento delle attenuanti generiche, stante l’erroneo assunto del ruolo preminente, rispetto ai correi, svolto dall’imputato a fronte delle pur dedotte incensuratezze e regolare residenza in Italia del prevenuto, dedito a stabile occupazione: circostanze non fatte oggetto di motivazione od illogicamente confutate.

Con distinto ricorso, articola la difesa di F.O. un’unica censura per illogicità o contraddittorietà della motivazione.

La Corte d’appello, solamente in base ad assunti meramente soggettivi, ha ritenuto inverosimili le dichiarazioni del coimputato R. che, al fine di scagionare la donna, aveva dichiarato di averla condotta con sè per evitare i controlli di polizia quando invece egli si era limitato a sostenere di aver avuto lo scopo di renderli solamente "meno probabili"; il che rappresentava elemento del tutto plausibile.

Dal contenuto delle missive inviate alla F. avrebbe poi dovuto trarsi non solo il convincimento del dispiacere del coimputato di averla coinvolta nelle vicenda, ma la dimostrazione della sua effettiva estraneità giacchè l’essersi accorta che nel sacchettino era contenuta la droga, una volta conclusa l’operazione, sarebbe stata circostanza ormai indifferente per la F..

Instano conclusivamente i ricorrenti per l’accoglimento dei rispettivi ricorsi, previo annullamento della impugnata sentenza.

Motivi della decisione

Entrambi i ricorsi sono infondati e devono essere, per quanto di ragione, respinti.

Il primo motivo del ricorso proposto dal Q. è inaccoglibile.

Ritiene il Collegio di condividere quell’orientamento seguito più di recente dalla giurisprudenza di legittimità (cfr. Cass. pen. Sez. 6^, n. 7485/2009) alla cui stregua, nel solco peraltro dell’insegnamento più risalente delle SS.UU. penali (cfr. sentenza n. 930/1995), a mente del disposto dell’art. 438 c.p.p., deve ritenersi possibile la richiesta di rinnovazione in appello dell’istruttoria dibattimentale da parte dell’imputato che abbia subordinato la richiesta di accedere al rito abbreviato ad una specifica integrazione probatoria sia pure nei limiti dell’integrazione probatoria richiesta, mentre chi abbia acceduto al c.d. abbreviato semplice potrà solo sollecitare il giudice d’appello all’esercizio del potere di ufficio di cui all’art. 603 c.p.p., comma 3, basato sulla rinnovazione dibattimentale ritenuta assolutamente necessaria. (Cass. Sez. 3^, 2 marzo 2004 n. 15296, ric. Simek).

"La non incompatibilità del rito speciale con le assunzioni probatorie (Cass., Sez. 6^, 1 ottobre 1998 n. 397, ric. Palomba) – in virtù del rinvio dell’art. 443, comma 4 codice di rito, all’art. 599 e, quindi, al comma 3 di questo articolo, che a sua volta rinvia al successivo art. 603 dello stesso codice – comporta tuttavia che all’assunzione d’ufficio di nuove prove o alla riassunzione delle prove già acquisite agli atti, si proceda solo quando e nei limiti in cui il giudice di appello la ritenga assolutamente necessaria ai fini della decisione (Cass., Sez. 6^, 24 novembre 1993 n. 1944, ric. De Carolis), sicchè deve comunque ritenersi escluso che la parte conservi un diritto proprio a prove alla cui acquisizione ha rinunciato per effetto della scelta del giudizio abbreviato e che, pertanto, il mancato esercizio da parte del giudice d’appello dei poteri d’ufficio sollecitati possa tradursi in un vizio deducibile mediante ricorso per cassazione ai sensi dell’art. 606 c.p.p., lett. d)". (Cass. sez. 6^ n. 7484 /2009).

In sede di giudizio di primo grado celebrato, come nel caso di specie, con il rito abbreviato c.d. secco come è precisato nella sentenza di primo grado emessa il 1^ dicembre 2009 dal GIP del Tribunale di Bergamo (al quale l’imputato aveva evidentemente acceduto dopo il rigetto, ex art. 438 c.p.p., commi 5 e 6 della preventiva istanza di definizione del procedimento con giudizio abbreviato condizionato, cui invece fanno cenno i motivi d’appello) – pur non essendo precluso al giudice di appello di esercitare i suoi poteri d’ufficio di integrazione probatoria – resta tuttavia escluso "che esista un diritto dell’imputato giudicato con rito abbreviato alla richiesta di rinnovazione del dibattimento ed un obbligo per il giudice di motivare la reiezione della richiesta di rinnovare il dibattimento. Infatti, con la richiesta di essere giudicato alla stato degli atti l’imputato ha rinunziato all’acquisizione di ulteriori prove, tranne quelle alla cui acquisizione, eventualmente, il giudizio abbreviato era stato subordinato" (cfr Cass. SS.UU n. 930/1995; Cass. Sez. 2^ n. 3609/2011).

Deve essere comunque, in via subordinata, condiviso l’assunto di cui alla sentenza n. 47095/2009 della Sez. 4^ di questa Corte, secondo cui "il provvedimento di rigetto della richiesta di rinnovazione istruttoria in appello può essere motivato anche implicitamente in presenza di un quadro probatorio definito, certo e non abbisognevole di approfondimenti indispensabili".

Ed invero dalla stessa struttura argomentativa della sentenza impugnata (laddove, da un lato, si richiama per relationem l’esaustiva motivazione della sentenza di primo grado e, dall’altro si confutano i motivi del gravame proposto nell’interesse del Q. facendo analitico riferimento alle plurime fonti di prova emergenti in atti ) si evince la sussistenza di un quadro probatorio definito e certo; donde l’inessenzialità degli approfondimenti richiesti dall’imputato, attesa la speculare possibilità di decidere allo stato degli atti.

Egualmente infondate vanno giudicate le altre censure dedotte dal difensore del Q..

La Corte distrettuale, con puntuale e condivisibile motivazione, ha criticamente vagliato il quadro indiziario, a conforto delle prospettazioni accusatorie, desumibile dagli elementi acquisiti in esito alle indagini preliminari e comprovati dagli atti delle investigazioni difensive confluiti, ex art. 391 octies c.p.p., comma 3, nel fascicolo del pubblico ministero di cui all’art. 433 c.p.p.;

donde la pacifica e diretta utilizzabilità ai fini di prova, nell’ambito del giudizio abbreviato, quale giudizio c.d. allo stato degli atti, di tutto quanto risultante dalla fase delle indagini preliminari (cfr. Cass. pen. n. 1962 del 1998).

Come peraltro già sottolineato dalla motivazione anche della sentenza di primo grado, la correità del Q. nel delitto ha trovato conferma non solo nelle dichiarazioni "accusatorie" della F. (che si era resa conto che, nel far ritorno alla vettura VW Golf – con la quale essa stessa, il R. ed il Q. avevano raggiunto insieme la zona del lago di Endine e sulla quale la donna era rimasta in attesa – il R. ed il Q. portavano con sè un sacchettino chiaramente contenente la sostanza stupefacente, dopo essersi inoltrati in una stradina secondaria, contornata da cespugli molto alti, nei pressi di una casa diroccata) ma anche nei servizi di osservazione e pedinamento, posti in essere dai Carabinieri, di cui danno atto il verbale d’arresto e l’annotazione di servizio.

Da ciò era emerso che l’autovettura VW Golf, nella esclusiva disponibilità della F. e condotta da costei, sulla quale era stato rinvenuto il quantitativo di cocaina (pari circa ad un kg.) sequestrato nell’area di servizio dell’autostrada A/4, era sempre rimasta sotto osservazione ed era stata sempre seguita dalla P.G., eccezion fatta per i pochi minuti in cui si era inoltrata nella stradina secondaria in località (OMISSIS), onde non pregiudicare il successo dell’operazione.

Ovviamente non poteva revocarsi in dubbio il coinvolgimento del Q. (veduto a quel punto dai Carabinieri a bordo della stessa vettura) nell’acquisizione del possesso della cocaina che, come ammesso dal R. (giudicato separatamente) costituiva lo scopo del viaggio compiuto dalla (OMISSIS) fino a (OMISSIS).

Ed ha altresì congruamente desunto la Corte distrettuale il pieno coinvolgimento del Q. nel delitto ascrittogli, anche dal fatto che lo stesso, alla guida della propria autovettura Ford, seguisse, sia pure a distanza, l’altra, sulla quale viaggiavano i correi (tanto da esser fermato nella stessa area di servizio ove i Carabinieri avevano proceduto alla perquisizione ed al sequestro dello stupefacente) risultando quindi anch’egli inequivocamente "interessato" alla stessa cocaina alla cui acquisizione aveva già contribuito, molte ore prima.

Manifestamente infondato è il terzo motivo dedotto.

La Corte d’appello di Brescia, con argomentazioni assolutamente perspicue e condivisibili, ha motivato il diniego delle attenuanti generiche al Q. sul presupposto, da un lato, dell’irrilevanza ex lege dello stato di incensuratezza e, dall’altro, della posizione sovraordinata dal medesimo assunta rispetto ai correi (per aver seguito a distanza il "trasporto" dello stupefacente sulla vettura sulla quale essi viaggiavano, assumendo quindi una posizione, quantomeno apparentemente "privilegiata" rispetto ai correi – materiali detentori dello stupefacente – ex se idonea ad allontanare da sè eventuali sospetti di coinvolgimento nel fatto) correttamente valutata in termini di sub-valenza riguardo alla dedotta regolarità della posizione lavorativa rivestita, che comunque non l’aveva dissuaso dal partecipare all’azione delittuosa; ferma comunque l’adeguatezza del trattamento sanzionatorio inflitto, di poco superiore al minimo edittale, a fronte del non modesto quantitativo di sostanza stupefacente.

Inaccoglibile siccome assolutamente infondato va ritenuto anche il ricorso proposto nell’interesse della F..

Con motivazione congrua e perfettamente in sintonia logica con le risultanze processuali, la Corte distrettuale ha escluso potersi dar credito all’assunto difensivo secondo il quale la donna sarebbe stata del tutto all’oscuro della "trasferta" in Lombardia finalizzata all’acquisto dello stupefacente di guisa che il suo coinvolgimento nella intera vicenda non avrebbe oltrepassato l’apporto di un mero connivente passivo.

Se del tutto inverosimili ed illogiche dovevano ritenersi le giustificazioni addotte dal R. che aveva precisato che la presenza della donna accanto a sè a bordo della stessa automobile avrebbe costituito un fattore dissuasivo di eventuali controlli di polizia durante il viaggio, la partecipazione inconsapevole della F. restava pacificamente esclusa dal fatto che essa stessa aveva avuto modo di aver contezza "de visu" anche dell’acquisizione dello stupefacente ad opera dei correi (come dalla donna ammesso) dopo aver preso parte, evidentemente per espresso volere dei coimputati o comunque non in dissenso da essi, all’intera operazione, mettendo a disposizione del R. l’autovettura di cui aveva il possesso e sulla quale poi la partita di cocaina era stata sequestrata dai Carabinieri.

E’ quindi del tutto plausibile ritenere che, ove effettivamente i coimputati (ed in particolare il R.) avessero inteso escluderla dall’"operazione", non le avrebbero fatto assistere al suo "epilogo" conclusivo, culminato con l’acquisizione dello stupefacente.

Nè pare logicamente credibile che la prevenuta non fosse stata informata dello "scopo" del viaggio: circostanza invero inconcepibile, attesa la complessità dell’operazione cosiccome attuata; la lunghezza del viaggio dalla Toscana fino al lago di Endine; l’intrinseca rischiosità della "trasferta" connessa all’incontro con il Q. con altro complice non identificato e con l’implicazione delle prolungate manovre diversive compiute dal R. alla guida della VW Golf intorno al lago di Endine fino al sopraggiungere dell’oscurità, nell’attesa del momento propizio per la consegna della partita di cocaina.

Al rigetto dei ricorsi segue la condanna dei ricorrenti al pagamento delle spese processuali ex art. 616 c.p.p.

P.Q.M.

Rigetta i ricorsi e condanna i ricorrenti al pagamento delle spese processuali.

Testo non ufficiale. La sola stampa del bollettino ufficiale ha carattere legale.

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