Cass. pen. Sez. II, Sent., (ud. 24-06-2011) 18-08-2011, n. 32336

Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole direttore del sito giuridico http://www.gadit.it/

Svolgimento del processo – Motivi della decisione

Con sentenza in data 6 novembre 2009 la Corte di appello di Roma riformava la sentenza emessa in data 26 marzo 2003 dal Tribunale di Roma con la quale M.F. era stato dichiarato colpevole dei reati di truffa continuata, ricettazione e falso ( artt. 485 e 491 c.p.p.), commessi in (OMISSIS) tra l'(OMISSIS), ed era stato condannato, ritenuta la continuazione, alla pena di anni due, mesi due di reclusione ed Euro 800,00 di multa. La Corte territoriale dichiarava l’estinzione dei reati di truffa e falso per intervenuta prescrizione e, con le circostanze attenuanti generiche, determinava la pena per il residuo reato in anni uno, mesi quattro di reclusione ed Euro 400,00 di multa.

Avverso la predetta sentenza l’imputato ha proposto, tramite il difensore, ricorso per cassazione.

Con il ricorso si deduce la violazione di legge in relazione all’art. 157 c.p., nel testo novellato dalla L. n. 251 del 2005, e art. 129 c.p.p., in quanto la pendenza dell’appello, che determinerebbe per il reato di ricettazione l’applicazione della nuova disciplina della prescrizione più favorevole, decorrerebbe dall’emissione del decreto di citazione per il giudizio di appello.

Con la memoria difensiva si richiama l’attenzione sull’ordinanza di questa seconda sezione penale in data 27 maggio 2010 con la quale è stata ritenuta rilevante e non manifestamente infondata la questione di legittimità costituzionale della L. n. 251 del 2005, art. 10, laddove si esclude l’applicazione dei nuovi termini di prescrizione, se più brevi, per i processi già pendenti in grado di appello o avanti la Corte di cassazione, in relazione all’art. 117 Cost., e all’art. 7 della Convenzione Europea per la salvaguardia dei diritti dell’uomo; per effetto di quest’ultima norma dovrebbe, nell’interpretazione della Corte Europea dei diritti dell’uomo, operare il principio dell’irretroattività della legge penale meno severa.

Il ricorso è inammissibile.

Il termine massimo di prescrizione da applicarsi nel caso in esame è quello quindicennale (termine ordinario di dieci anni, aumentato della metà per effetto degli atti interruttivi) previsto dalla disciplina antecedente alla L. n. 251 del 2005, poichè alla data di entrata in vigore della predetta legge il procedimento era già pendente in grado di appello (cfr. sentenza della Corte costituzionale n.393/2006) essendo stata la sentenza di primo grado emessa il 26 marzo 2003. Infatti, secondo la giurisprudenza consolidata di questa Corte, ai fini dell’applicazione delle disposizioni transitorie di cui alla L. n. 251 del 2005, art. 10, comma 3, la pendenza del grado di appello, che rileva per escludere la retroattività delle norme sopravvenute più favorevoli, ha inizio con la pronuncia della sentenza di condanna di primo grado, che deve ritenersi intervenuta con la lettura del dispositivo (Cass. Sez. Un. 29 ottobre 2009 n. 47008, D’Amato; sez. 5^ 16 aprile 2009 n. 25470, Lala sez. 5^ 16 gennaio 2009 n. 7697, Vener; sez. 5^ 5 dicembre 2008 n. 2076, Serafini; sez. 6^ 10 ottobre 2008 n. 40976, Nobile; sez. 5^ 19 giugno 2008 n. 38720, Rocca; sez. 6^ 26 maggio 2008 n. 31702, Serafin). Ne consegue che il termine massimo di prescrizione nel caso di specie, risalendo al periodo agosto-novembre 1996, non è ancora decorso.

Va peraltro osservato che la Corte costituzionale, con sentenza n.236 emessa il 19 luglio 2011 e depositata il 22 luglio 2011, ha dichiarato non fondata la questione di legittimità costituzionale della L. n. 251 del 2005, art. 10, comma 3, sollevata, in riferimento all’art. 117 Cost., comma 1, dalla Corte di cassazione con l’ordinanza indicata nella memoria difensiva.

Alla inammissibilità del ricorso consegue ex art. 616 c.p.p., la condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali e di una somma in favore della Cassa delle ammende che, in ragione delle questioni dedotte, si stima equo determinare in Euro 1.000,00.

P.Q.M.

dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di Euro 1.000,00 alla Cassa delle ammende.
Testo non ufficiale. La sola stampa del bollettino ufficiale ha carattere legale.

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