Cass. pen. Sez. II, Sent., (ud. 29-04-2011) 18-08-2011, n. 32337

Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole direttore del sito giuridico http://www.gadit.it/

Svolgimento del processo – Motivi della decisione

S.P., F.R., P.G. e A. F. ricorrono avverso la sentenza, in data 28.12.2010 del GIP presso il Tribunale di Salerno con cui sono stati condannati, sull’accordo delle parti ex art. 444 c.p.p., per il reato di rapina aggravata, detenzione, porto e ricettazione di una pistola cal. 7,65, nonchè per lesioni e resistenza secondo le specifiche contestazioni.

Nei distinti ricorsi si dolgono della qualificazione giuridica del reato in quanto andava ritenuto il delitto di rapina tentata e non consumata e della mancanza di motivazione in ordine all’insussistenza dei presupposti di applicabilità dell’art. 129 c.p.p.. F. R. lamenta la mancata applicazione dell’art. 129 c.p.p. con riguardo in particolare alla violazione dell’art. 703 c.p.. Lamentano altresì la restituzione al gioielliere PA.Pa., anzichè a P.G., dell’orologio ROLEX sequestrato.

I ricorsi sono manifestamente infondati non solo perchè privi della specificità prescritta dall’art. 581, lett. c) in relazione all’art. 591 c.p.p., ma anche perchè in tema di patteggiamento, la possibilità di ricorrere per cassazione deducendo l’erronea qualificazione del fatto contenuta in sentenza deve essere limitata ai casi di errore manifesto, ossia ai casi in cui sussiste l’eventualità che l’accordo sulla pena si trasformi in accordo sui reati, mentre deve essere esclusa tutte le volte in cui la diversa qualificazione presenti margini di opinabilità (Sez. 6^, Sent. n. 45688/2008 Rv. 241666) Nella sentenza impugnata non emerge alcun errore manifesto nella qualificazione giuridica del reato, in quanto la condotta – come decritta nell’imputazione – realizza il reato di rapina consumata ritenuto in sentenza.

Deve aggiungersi che il giudice, nell’applicare la pena concordata, si è da un lato adeguato al contenuto nell’accordo tra le parti e dall’altro ha escluso che ricorressero i presupposti dell’art. 129 c.p.p., facendo riferimento alle "fonti di prova". Siffatta motivazione, avuto riguardo alla speciale natura dell’accertamento in sede di applicazione della pena su richiesta delle parti, appare pienamente adeguata ai parametri richiesti per tale genere di decisioni, secondo la costante giurisprudenza di legittimità.

L’accordo intervenuto tra le parti infatti esonera l’accusa dall’onere della prova e comporta che la sentenza che recepisce l’accordo fra le parti sia da considerare sufficientemente motivata con una succinta descrizione del fatto (deducibile dal capo d’imputazione), con l’affermazione della correttezza della qualificazione giuridica di esso, con il richiamo all’art. 129 c.p.p., per escludere la ricorrenza di alcuna delle ipotesi ivi previste, con la verifica della congruità della pena patteggiata ai fini e nei limiti di cui all’art. 27 Cost. (Cass. Sez. un. 27 marzo 1992, Di Benedetto; Sez. un. 27 settembre 1995, Serafino; Sez. un. 25 novembre 1998, Messina; sez.IV 13 luglio 2006 n.34494, Koumya).

Inammissibile per carenza di interesse è anche la censura relativa alla restituzione a PA.Pa. dell’orologio ROLEX sequestrato.

Per l’ammissibilità del gravame, deve sussistere l’interesse alla impugnazione, come previsto in via generale dall’art. 568 c.p.p., comma 4, occorre cioè che la eliminazione o la riforma della decisione gravata renda possibile il conseguimento di un risultato a lui giuridicamente favorevole. Qualora la cosa sottoposta a sequestro, come nel caso di specie, sia stata dissequestrata e restituita all’avente diritto, individuato in persona diversa da quella che aveva la disponibilità della stessa al momento della sua esecuzione, l’originario possessore perde interesse alla impugnazione a seguito del venir meno del vincolo sulla cosa, non potendo conseguire, per effetto dell’eventuale accertamento di illegittimità del provvedimento il ripristino nella disponibilità del bene, il provvedimento di restituzione è invece autonomamente impugnabile con la forma dell’incidente di esecuzione (Sez. 3^, 2 luglio 2003, Landi, Cass Sez. 6 26012/04).

I ricorsi devono pertanto essere dichiarati inammissibili.

Ne consegue, per il disposto dell’art. 616 c.p.p., la condanna dei ricorrenti al pagamento delle spese processuali nonchè al versamento, in favore della Cassa delle ammende, di una somma che, considerati i profili di colpa emergenti dal ricorso, si determina equitativamente in Euro 1500,00 ciascuno.

P.Q.M.

dichiara inammissibili i ricorsi e condanna i ricorrenti al pagamento delle spese processuali e della somma di Euro 1500,00 ciascuno in favore della Cassa delle ammende.

Testo non ufficiale. La sola stampa del bollettino ufficiale ha carattere legale.

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