Cass. pen. Sez. II, Sent., (ud. 21-06-2011) 19-08-2011, n. 32789

Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole direttore del sito giuridico http://www.gadit.it/

Svolgimento del processo

Con sentenza 15.12.06 il Tribunale di Cosenza condannava C. P. per usura continuata aggravata ai sensi dell’art. 644 c.p., comma 5, nn. 3 e 4, in relazione a svariati fra gli episodi contestatigli (capi 70, 71, 72, 73, 74 e 75 del decreto che dispone il giudizio del 18.2.05), per tutti esclusa la contestata aggravante della L. n. 203 del 1991, art. 7, e concessione delle attenuanti generiche equivalenti alle contestate aggravanti del cit. comma 5, nn. 3 e 4, mentre per altri ancora era assolto per insussistenza del fatto e per altri era dichiarata la prescrizione.

Con sentenza 9.2.10 la Corte d’Appello di Catanzaro, accogliendo l’appello del PM e rigettando quello dell’imputato, condannava il C.P. anche per altri capi d’accusa (capi 67 del decreto che dispone il giudizio del 18.2.05, 3 e 4 parte 2 bis del Decreto n. 659/03 e 1 e 12 del decreto n. 238/05, esclusa l’aggravante della L. n. 203 del 1991, art. 7), sempre relativi a fatti di usura, rideterminando la pena, previa applicazione dell’art. 81 cpv. c.p., in complessivi anni 4 e mesi 8 di reclusione ed Euro 10.000,00 di multa. Confermava nel resto e condannava l’imputato al risarcimento dei danni – da liquidarsi in separata sede – in favore delle costituite parti civili D.L.F. e Ca.Gi..

Tramite i propri difensori il C. ricorre contro la sentenza, di cui chiede l’annullamento per i motivi qui di seguito riassunti nei limiti prescritti dall’art. 173 disp. att. c.p.p., comma 1.

Nel ricorso a firma dell’avv. Calabrese la difesa solleva sei motivi di gravame con i quali deduce:

1) inutilizzabilità dell’intercettazione ambientale del 28.1.04, relativa all’incontro avvenuto presso il bar (OMISSIS) tra il ricorrente e Ch.Em., trattandosi di registrazione di conversazione effettuata dalla presunta persona offesa e concordata con la polizia giudiziaria, che insieme al Ch. – che aveva agito come longa manus della p.g. medesima – aveva installato delle microspie prima dell’incontro con il C.; tali modalità di captazione dei colloqui si ponevano, altresì, come metodologie di veri e propri interrogatori in violazione degli artt. 62, 63 e 64 c.p.p.; in proposito, vi era altresì violazione degli artt. 266 e 267 c.p.p. perchè i provvedimenti del PM e del GIP erano assolutamente generici rispetto al luogo ove si sarebbe dovuta eseguire l’intercettazione, limitandosi ad indicare sic et simpliciter luoghi limitrofi alla persona del Ch.;

2) omessa, contraddittoria e manifestamente illogica motivazione nella parte in cui l’impugnata sentenza aveva dato credito alle contraddittorie dichiarazioni di Ca.Gi. (costituitosi parte civile), per più aspetti smentite dalla risultanze dibattimentali e di dubbia personali attendibilità, visti i suoi precedenti penali; mancava, poi, del tutto la motivazione in ordine ai capi per i quali la sentenza di primo grado, dichiarativa della prescrizione, era stata appellata per ottenere l’assoluzione nel merito;

3) altro vizio di motivazione si riscontrava riguardo alla credibilità intrinseca della persona offesa D.L.F. – sentito in qualità di imputato di reato connesso -, anche egli smentito da rilievi logici e altre risultanze testimoniali, oltre che dai suoi precedenti penali; inoltre, la Corte territoriale aveva trascurato l’elaborato del c.t.p. del C., dr. G., che escludeva che vi fosse prova della dazione delle somme in contanti asseritamene oggetto di usura;

4) violazione degli artt. 2 e 157 c.p., e art. 25 Cost., per avere la gravata pronuncia condannato il ricorrente anche per taluni capi per i quali il Tribunale aveva dichiarato la prescrizione alla luce del relativo regime anteriore alla L. n. 251 del 2005, mentre la Corte territoriale aveva applicato i termini, meno favorevoli, di cui alla legge medesima;

5) vizio di motivazione in ordine ai capi che vedevano come persona offesa Ch.Em., anche perchè il secondo assegno indicato dalla persona offesa per l’importo di L.. 15.500.000 era stato indicato in relazione a due diverse vicende usurarie e comunque per la già lamentata inattendibilità intrinseca del dichiarante e per la fallacia dei ritenuti riscontri individualizzanti (per di più relativi non già agli specifici reati, ma alle linee generali del suo narrato e a meri post facta come le restituzioni di denaro), a tal fine non bastando le dichiarazioni rese dal C. medesimo al PM e lo scadenziario che il Ch. teneva, essendo pacifico che egli dovesse del denaro al ricorrente, ma non anche la relativa entità; ancora non poteva valere come elementi di riscontro le vaghe dichiarazioni del collaboratore di giustizia P. o la deposizione dei testi L.M. e c.; ancora da censurarsi era il non avere i giudici del merito dato peso ai testimoni della difesa – che avevano concordemente riferito di aver ricevuto prestiti dal ricorrente senza però la pretesa di alcun interesse – e al c.t.p. dr. G. che aveva esaminato i movimenti in uscita dei c/c del C.;

6) vizio di motivazione in ordine all’entità della pena (assai discosta dai minimi edittali) e all’aumento per la continuazione.

Nel ricorso a firma dell’avv. Marazzita la difesa solleva 6 motivi di gravame. Preliminarmente l’avv. Marazzita eccepisce la prescrizione maturata o maturanda nel corso del giudizio per cassazione per i reati di cui ai capi 3) e 4) parte 2^ bis del decreto 659/03 e 1 e 12 del decreto 238/05 e quindi deduce i seguenti motivi:

1) e 2) vizio di motivazione circa i capi che vedevano come persone offese D.L.F. e Ca.Gi., avendo l’impugnata sentenza omesso di verificarne l’intrinseca credibilità e trascurandone le contraddizioni emerse durante l’esame dibattimentale rispetto a quanto asserito nell’atto di costituzione di parte civile, il tutto senza specificare i riscontri esterni individualizzanti che sarebbero stati necessari (tali non essendo gli assegni indicati dal D.L.); del pari l’impugnata sentenza aveva omesso di motivare sulle obiezioni difensive inerenti all’irragionevole valutazione del teste a discarico L.M. operata dal Tribunale; inoltre aveva illogicamente valutato a carico del ricorrente il suo attivarsi (emerso dalle intercettazioni nel carcere di (OMISSIS)) per reperire le fatture e quanto di utile a dimostrare la liceità dei suoi rapporti con il Ca.; ancora da censurarsi era la gravata pronuncia nella parte in cui non aveva dato peso ai testi a discarico e al c.t.p. dr. G.; ancora illogico era che la Corte territoriale avesse ritenuto non provato il prestito erogato dal C. al D.L. e, ciò nonostante, avesse qualificato come riscontro al narrato della persona offesa l’assegno da lui consegnato in restituzione;

3) vizio di motivazione in ordine al capo di accusa (n. 67) relativo a presunta usura in danno di Ch.Em. (per il quale il ricorrente, assolto in prime cure, era stato invece condannato in appello a seguito dell’impugnazione del PM): anche a tale riguardo mancavano la previa valutazione dell’intrinseca credibilità del Ch. e i dovuti riscontri esterni, tali non essendo le dichiarazioni del teste c., che in realtà smentivano il narrato della persona offesa; quanto all’intercettazione ambientale presso il bar (OMISSIS), i giudici del gravame non spiegavano da cosa emergesse la sussistenza del denunciato prestito usurario erogato al Ch.;

4) vizio della motivazione in relazione alla ritenuta responsabilità del C. per i capi 70, 71, 72, 73, 74 e 75. Al riguardo si duole della mancata verìfica in ordine alla credibilità soggettiva del Ch. e contesta l’esistenza di riscontri individualizzanti;

5) violazione di legge in relazione all’intercettazione ambientale del 28.1.04 relativa all’incontro presso il bar (OMISSIS) fra il ricorrente e il Ch. risultava effettuata in violazione dell’art. 267 c.p.p., comma 2, perchè il relativo decreto del PM non motivava esaurientemente sulle eccezionali ragioni di urgenza;

6) vizio di motivazione in rapporto all’entità della pena e all’aumento per la continuazione, atteso che – contrariamente a quanto ritenuto dall’impugnata sentenza – la pena era distante dai minimi edittali.

Motivi della decisione

Entrambi i ricorsi proposti nell’interesse di C.P. sono inammissibili in quanto fondati su motivi non consentiti nel giudizio per cassazione e comunque manifestamente infondati.

Preliminarmente occorre rilevare che è manifestamente infondata l’eccezione di violazione di legge in punto di prescrizione sollevata con il motivo 4 del ricorso a firma dell’avv. Calabrese. Nel caso di specie la disciplina più favorevole all’imputato è quella introdotta dalla novella di cui alla L. n. 251 del 2005. Nel vecchio regime, infatti, la prescrizione per il reato di usura (considerando la pena edittale di sei anni) maturava nel termine di 15 anni.

Pertanto la Corte d’appello ha correttamente applicato il principio di cui all’art. 2 c.p., prendendo in considerazione la nuova disciplina dell’art. 157 c.p. e ss., in virtù della quale, esattamente, è stato calcolato in undici anni e tre mesi il termine massimo di prescrizione, termine non ancora maturato per i reati per cui è intervenuta condanna quando è stata pronunziata la sentenza di secondo grado.

Occorre poi rilevare che sono manifestamente infondate le censure in punto di inutilizzabilità dell’intercettazione ambientale del 28/1/2004, relativa al colloquio fra l’imputato e la persona offesa Ch.Em., di cui ai motivi 1 (ric. Calabrese) e 5 (ric. Marazzita).

La Corte territoriale, infatti, ha respinto l’analoga eccezione sollevata con i motivi d’appello (fol. 30), richiamando l’arresto di questa Corte che ha statuito che: "La utilizzabilità delle intercettazioni regolarmente autorizzate dall’autorità giudiziaria ed eseguite nelle forme di legge non viene meno per la circostanza che uno dei partecipanti alle conversazioni sia a conoscenza dello svolgimento delle intercettazioni. In questo caso non opera, infatti, la sanzione di inutilizzabilità applicabile nella diversa fattispecie in cui la polizia guidi la registrazione del contenuto di colloqui privati da parte di uno degli interlocutori, con propri apparecchi che possano captarne il contenuto durante il loro svolgimento e consentirne l’ascolto diretto, così realizzando indirettamente una intercettazione di conversazioni senza la previa autorizzazione dell’autorità giudiziaria" (Cass. Sez. 1, Sentenza n. 46274 del 07/11/2007 Cc. (dep. 12/12/2007) Rv. 238488).

Il Collegio condivide tale orientamento ed esclude che l’intercettazione ambientale, effettuata con la collaborazione della parte offesa, possa ritenersi prova assunta in violazione di legge, ove sia stata ritualmente autorizzata, a norma dell’art. 267 c.p.p..

In proposito il ricorso a firma dell’avv. Marazzita deduce violazione di legge, eccependo che il decreto autorizzativo d’urgenza, emesso dal P.M., ex art. 267, comma 2, sarebbe viziato da motivazione apparente. Tale censura, oltre che infondata nel merito, appare inammissibile, ex art. 606 c.p.p., comma 3, non essendo stata dedotta con i motivi d’appello.

Per quanto riguarda le censure relative ai reati che vedono come persona offesa Ca.Gi., sollevate con il motivo 2 (ric. Calabrese) ed 1 (ric. Marazzita), D.L.F., sollevate con il motivo 3 (ric. Calabrese) e 2 (ric. Marazzita), Ch.Em., sollevate con i motivi 5 (ric. Calabrese) e 3 e 4 (ric. Marazzita), con le quali si deducono vizi di motivazione sotto diversi profili, va richiamata la ormai pacifica giurisprudenza, più volte riaffermata anche a Sezioni Unite, secondo cui l’indagine di legittimità sul discorso giustificativo della decisione ha un orizzonte circoscritto, dovendo il sindacato demandato alla Corte di Cassazione essere limitato – per espressa volontà del legislatore – a riscontrare l’esistenza di un logico apparato argomentativo sui vari punti della decisione impugnata, senza possibilità di verificare l’adeguatezza delle argomentazioni di cui il giudice di merito si è avvalso per sostanziare il suo convincimento, o la loro rispondenza alle acquisizioni processuali. L’illogicità della motivazione, come vizio denunciabile, deve essere evidente, cioè di spessore tale da risultare percepibile "ictu oculi", dovendo il sindacato di legittimità al riguardo essere limitato a rilievi di macroscopica evidenza, restando ininfluenti le incongruenze logiche che non siano manifeste, ossia eclatanti, assolutamente incompatibili con altri passaggi argomentativi risultanti dal testo del provvedimento impugnato e considerandosi disattese le deduzioni delle parti che, anche se non espressamente confutate, siano logicamente incompatibili con la decisione adottata, purchè siano spiegate in modo logico e adeguato le ragioni del convincimento. Ne consegue che non possono trovare ingresso in sede di legittimità i motivi di ricorso fondati su una diversa prospettazione dei fatti nè su altre spiegazioni formulate dal ricorrente, per quanto plausibili o logicamente sostentili alla pari di quelle accolte dal giudice, (cfr.

Cass. SS.UU. 24/1999 Spina, rv. 214794; SS.UU. 12/2000 Jakani 216260).

Nella fattispecie le censure sollevate dai difensori del ricorrente, costituiscono, con tutta evidenza, reiterazione delle difese di merito ampiamente e compiutamente disattese dai giudici del merito, oltre che censura in punto di fatto della sentenza impugnata, inerendo esclusivamente alla valutazione degli elementi di prova ed alla scelta delle ragioni ritenute idonee a giustificare la decisione, cioè ad attività che rientrano nel potere discrezionale del giudice di merito, il cui apprezzamento è insindacabile in sede di legittimità se sorretto, come nel caso in esame, da adeguata e congrua motivazione esente da vizi logico-giuridici. Tali censure non scalfiscono l’impostazione della motivazione e non fanno emergere profili di manifesta illogicità della stessa; nella sostanza, al di là dei vizi formalmente denunciati, esse svolgono, sul punto dell’accertamento della responsabilità, sia in ordine al reato di cui al capo 67, sia in ordine ai reati di cui ai capi 70, 71, 72, 73, 74 e 75, sia in ordine ai reati di cui ai capi 3) e 4) parte 2^ bis del decreto 659/03 e 1 e 12 del decreto 238/05, considerazioni in fatto insuscettibili di valutazione in sede di legittimità, risultando intese a provocare un intervento in sovrapposizione di questa Corte rispetto ai contenuti della decisione adottata dal Giudice del merito. Come tali sono inammissibili. In particolare risultano manifestamente infondate le censure in punto di violazione delle regole che governano la formazione della prova in ordine alle dichiarazioni rese da coimputato o da imputato di un procedimento connesso, in quanto la Corte territoriale nel suo percorso argomentativo ha svolto una penetrante analisi della credibilità delle dichiarazioni rese dal teste Ca. e dai testi coindagati D.L.F. e Ch.Em., indicando specificamente i riscontri individualizzanti a carico del C..

Infine risultano manifestamente infondate le censure in punto di trattamento sanzionatorio (motivo n. 6, ric. Calabrese e Marazzita).

Il fatto che la Corte territoriale abbia indicato la pena base come prossima al minimo edittale, sebbene all’epoca del fatto il minimo edittale fosse di anni uno, è una semplice imperfezione argomentativa, che non vizia la motivazione, giacchè la motivazione della impugnata sentenza, su tale punto, è conforme a quella del primo giudice con la quale si integra vicendevolmente, formando un tutto organico ed inscindibile, una sola entità logico- giuridica, alla quale occorre fare riferimento per giudicare della congruità della motivazione. Tanto premesso, nessuna censura può essere mossa alla motivazione in punto di trattamento sanzionatorio poichè:

"La specifica e dettagliata motivazione in ordine alla quantità di pena irrogata, specie in relazione alle diminuzioni o aumenti per circostanze, è necessaria soltanto se la pena sia di gran lunga superiore alla misura media di quella edittale, potendo altrimenti essere sufficienti a dare conto dell’impiego dei criteri di cui all’art. 133 c.p., le espressioni del tipo: "pena congrua", "pena equa" o "congruo aumento", come pure il richiamo alla gravità del reato o alla capacità a delinquere" (Cass. Sez. 2, Sentenza n. 36245 del 26/06/2009 Ud. (dep. 18/09/2009) Rv. 245596).

Da ultimo deve essere rilevato che l’inammissibilità del ricorso per cassazione (nella specie, per manifesta infondatezza) preclude ogni possibilità sia di far valere sia di rilevare di ufficio l’eventuale estinzione di taluni reati per prescrizione maturata nel corso del giudizio per cassazione (Cass. Sez. 3, Sentenza n. 42839 del 08/10/2009 Ud. (dep. 10/11/2009) Rv. 244999).

Ai sensi dell’art. 616 c.p.p., con il provvedimento che dichiara inammissibile il ricorso, l’imputato che lo ha proposto deve essere condannato al pagamento delle spese del procedimento, nonchè – ravvisandosi profili di colpa nella determinazione della causa di inammissibilità – al pagamento a favore della Cassa delle ammende di una somma che, alla luce del dictum della Corte costituzionale nella sentenza n. 186 del 2000, si stima equo determinare in Euro 1.000,00 (mille/00), nonchè alla rifusione in favore delle parti civili Ca.Gi. e D.L.F. delle spese dalle stesse sostenute in questo grado di giudizio, che si liquidano in complessivi Euro. 2.500,00 per ciascuna di esse, oltre IVA CPA e spese generali.

P.Q.M.

Dichiara inammissibili i ricorsi di C.P. e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali ed al versamento della somma di Euro.1.000,00 alla Cassa della ammende; e condanna il ricorrente alla rifusione in favore delle parti civili Ca.

G. e D.L.F. delle spese dalle stesse sostenute in questo grado di giudizio, liquidate in complessivi Euro. 2.500,00 per ciascuna di esse, oltre IVA CPA e spese generali.

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