Cass. pen. Sez. II, Sent., (ud. 21-06-2011) 19-08-2011, n. 32568 Misure cautelari

Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole direttore del sito giuridico http://www.gadit.it/

Svolgimento del processo – Motivi della decisione

Con ordinanza in data 25 febbraio 2011 il Tribunale di Torino rigettava l’appello proposto nell’interesse di G.G., sottoposto ad indagini in ordine al reato di concorso in rapina aggravata commesso il (OMISSIS) in un istituto di credito di Torino e al connesso reato di ricettazione di un’autovettura, avverso la richiesta di sostituzione della misura cautelare della custodia in carcere con quella degli arresti domiciliari.

Avverso la predetta ordinanza l’imputato ha proposto, tramite il difensore, ricorso per cassazione.

Con il ricorso si deduce la mancanza, contraddittorietà ed illogicità della motivazione essendo stato desunto il pericolo di recidiva dall’"attività di procacciamento di un’arma da usare nell’incursione", mentre la rapina contestata al G. era stata commessa senza l’uso di armi, e comunque dalla ritenuta "imponente attività organizzativa" dell’azione criminosa", mentre i due rapinatori avevano agito nell’orario di apertura della banca, arraffando i pochi soldi presenti nella cassa e fuggendo su una vecchia autovettura senza autista"; secondo il ricorrente la circostanza che i precedenti penali del G. risalissero ad oltre otto anni prima e, inoltre, la durata della custodia cautelare in carcere sofferta (circa otto mesi) avrebbero reso la misura degli arresti domiciliari adeguata a fronteggiare l’esigenza cautelare del pericolo di reiterazione dell’azione criminosa, considerato anche che il luogo degli arresti domiciliari sarebbe stato Catania, luogo molto distante da quelli in cui il ricorrente aveva commesso reati ((OMISSIS)). Del resto al G. detta misura cautelare meno afflittiva era stata applicata dal giudice dell’udienza preliminare del Tribunale di Bologna, dopo la sentenza di condanna in primo grado emessa nell’ambito dell’altro processo per rapina pendente a suo carico, e, comunque, la propensione del ricorrente a trasgredire le prescrizioni dell’Autorità ritenuta nell’ordinanza impugnata risulterebbe nell’ordinanza impugnata del tutto priva di giustificazione.

Il ricorso è inammissibile.

Le doglianze riproducono infatti sostanzialmente gli argomenti prospettati nell’atto di appello, ai quali il Tribunale ha dato congrue e argomentate risposte, esaustive in fatto e corrette in diritto, che il ricorrente non considera nè specificatamente censura. Il giudice di appello per affermare l’infondatezza delle deduzioni difensive tese a contrastare l’adeguatezza della misura della custodia cautelare in carcere a fronteggiare il pericolo di reiterazione della condotta criminosa ha infatti, con argomentazioni ineccepibili sia logicamente che giuridicamente, evidenziato che l’imputato era stato condannato in primo grado, all’esito del giudizio abbreviato, in ordine ai reati di rapina aggravata e ricettazione alla pena di anni sei, mesi quattro di reclusione ed Euro 2.400,00 di multa e che il pericolo di recidiva specifica – desumibile non solo dalle modalità e circostanze dei fatti, ma anche da taluni peculiari tratti di personalità del G. e dalla sua pregressa condotta di vita – era concreto e rilevante. In particolare il giudice di merito ha posto in rilievo la non estemporaneità della condotta criminosa definendo "imponente" l’attività organizzativa (anche se il generico riferimento – oltre che alla ricerca dell’obiettivo, ai sopralluoghi e al coinvolgimento di altri soggetti, tutti elementi che plausibilmente avevano preceduto la rapina – anche al procacciamento di un’arma appare effettivamente inappropriato rispetto al caso concreto, ma non idoneo tuttavia a scardinare la trama argomentativa dell’ordinanza impugnata), la mancanza di regolari e documentate fonti di reddito, i plurimi precedenti specifici (due dei quali per rapina) e la pendenza giudiziaria per un ulteriore episodio delittuoso dello stesso tipo commesso in (OMISSIS) (successivamente al fatto oggetto del presente procedimento). Correttamente, sulla base dei plurimi e significativi elementi sopra indicati e quindi con una motivazione esauriente e logicamente coerente, il Tribunale ha ritenuto che il pericolo di recidiva specifica avesse "un peso preminente rispetto agli indici di segno contrario desumibili dalla risalenza dei precedenti penali per reati contro il patrimonio risultanti a carico dell’appellante e dall’effetto deterrente che la ormai prolungata restrizione cautelare ha verosimilmente spiegato su di esso", in quanto "tali emergenze di segno positivo non paiono di per sè sole suscettibili di neutralizzare il sopra evidenziato rischio di futura ripresa di contatti e relazioni con ambienti dello stesso tipo di quelli che presiedettero alla perpetrazione delle condotte illecite per cui è causa". Quanto all’obiezione difensiva che il G. aveva commesso reati in luoghi ((OMISSIS)) molto distanti da quello ((OMISSIS)) in cui era stata richiesta l’applicazione della misura cautelare degli arresti domiciliari, la Corte osserva che l’art. 274 c.p.p., lett. c), non riguarda il rischio di commissione di ulteriori reati con i medesimi concorrenti e secondo le stesse modalità, ma fa riferimento alla probabile commissione di reati della stessa specie, cioè di reati che offendono lo stesso bene giuridico e non già di fattispecie omologhe a quelle per cui si procede (Cass. sez. 1^ 22 settembre 2006 n. 33928, Failla). A questo proposito nell’ordinanza impugnata sono stati ragionevolmente individuati nei due precedenti penali per rapina e nella pendenza per delitto dello stesso tipo, commesso in epoca recente, gli elementi rivelatori di una spiccata propensione del G. a trasgredire i comandi normativamente imposti e le prescrizioni dell’Autorità, mentre si è osservato che l’addotto effetto deterrente della custodia cautelare sofferta costituiva una mera asserzione e che il rispetto delle prescrizioni inerenti a misure cautelari non custodiali era affidato esclusivamente al senso di autodisciplina dell’interessato (e, come rilevava puntualmente il Tribunale, l’episodio delittuoso per cui si procedeva era avvenuto mentre il G. si trovava stabilmente inserito nel contesto familiare in cui aveva chiesto il trasferimento in regime di arresti domiciliari).

Di fronte a tale specifica e dettagliata motivazione, ancorata a principi giuridici corretti e immune da vizi logici, il ricorrente si limita a ribadire le tesi già esposta nei motivi di appello e confutate, con diffuse e ragionevoli argomentazioni, nell’ordinanza impugnata.

Alla inammissibilità del ricorso consegue ex art. 616 c.p.p., la condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali e di una somma in favore della Cassa delle ammende che, in ragione delle questioni dedotte, si stima equo determinare in Euro 1.000,00.

A norma dell’art. 94 disp. att. c.p.p., comma 1 ter, copia del presente provvedimento va trasmesso al Direttore dell’istituto penitenziario in cui il ricorrente è ristretto.

P.Q.M.

dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di Euro 1.000,00 alla Cassa delle ammende.

Si provveda a norma dell’art. 94 disp. att. c.p.p., comma 1 ter.

Testo non ufficiale. La sola stampa del bollettino ufficiale ha carattere legale.

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