Cass. pen. Sez. II, Sent., (ud. 21-06-2011) 19-08-2011, n. 32534

Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole direttore del sito giuridico http://www.gadit.it/

Svolgimento del processo – Motivi della decisione

Con sentenza in data 18 gennaio 2011 la Corte di appello di Palermo confermava la sentenza emessa il 17 marzo 2009 dal giudice dell’udienza preliminare del Tribunale di Palermo con la quale F.L., all’esito del giudizio abbreviato, era stato dichiarato colpevole dei reati di rapina aggravata, commessi in un ufficio postale di (OMISSIS) e in un ufficio postale di (OMISSIS), e dei connessi reati di sequestro di persona, detenzione e porto di armi comuni da sparo e ricettazione. Ritenuta la continuazione, con la diminuente per il rito, l’imputato era stato condannato alla pena di anni sei di reclusione ed Euro 1.600,00 di multa, con le pene accessorie dell’interdizione perpetua dai pubblici uffici e dell’interdizione legale durante l’esecuzione della pena, nonchè al risarcimento dei danni, da liquidarsi separatamente, e alla rifusione delle spese in favore della parte civile Poste italiane s.p.a. cui veniva assegnata una provvisionale di 61.774,25 Euro.

Avverso la predetta sentenza l’imputato ha proposto, tramite il difensore, ricorso per cassazione.

Con il ricorso si deduce:

1) la violazione di legge e il vizio della motivazione in relazione al mancato assorbimento del reato di sequestro di persona in quello di rapina aggravata, in quanto sarebbero state valutate erroneamente le circostanze del fatto attribuendo all’imputato la volontà di realizzare un sequestro di persona, mentre era effettiva intenzione del F. solo quella di impossessarsi definitivamente delle somme di denaro; i due impiegati degli uffici postali, inoltre, erano stati privati della libertà personale solo per il tempo necessario all’esecuzione delle rapine;

2) l’erronea applicazione della legge penale, in relazione all’art. 605 c.p., e la manifesta illogicità della motivazione per avere il giudice di appello, in violazione delle regole di giudizio indicate dall’art. 192 c.p.p., ritenuto sussistente l’elemento psicologico del reato di sequestro di persona, in mancanza di specifici e concreti elementi probatori al riguardo, sulla base di una ricostruzione dei fatti intenzionalmente univoca e fondata su mere congetture;

3) la violazione e falsa applicazione dell’art. 61 c.p., n. 2, art. 110 c.p., L. n. 497 del 1974, artt. 10, 12 e 14, circa il mancato assorbimento nel reato di rapina aggravata ai sensi dell’art. 628 c.p., comma 3, n. 1, della detenzione e porto dell’arma il cui uso costituisce una circostanza aggravante della rapina; peraltro l’aggravante in questione sussisterebbe, secondo il ricorrente, solo nel caso in cui l’arma venga usata accrescendo la forza intimidatrice della condotta.

Il ricorso è inammissibile.

Le doglianze formulate con il primo motivo riproducono pedissequamente uno degli argomenti prospettati nell’atto di appello, al quale la Corte territoriale ha dato adeguate e argomentate risposte, esaustive in fatto e corrette in diritto, che il ricorrente non considera nè specificatamente censura. Il giudice di appello – per affermare l’infondatezza della tesi difensiva dell’assorbimento nel caso concreto della limitazione della libertà personale del conducente del furgone postale R.U. (nel caso dell’episodio delittuoso commesso in (OMISSIS)) e dell’impiegato postale G.A. (in occasione della rapina di (OMISSIS)) nell’ipotesi aggravata di rapina – ha posto in evidenza che in entrambi i casi l’uso della violenza nei confronti dei due dipendenti postali era avvenuto ben prima dell’ingresso dei rapinatori negli uffici postali (il R. era stato costretto ad abbandonare il furgone e a trattenersi a terra in un luogo isolato senza poter utilizzare il proprio telefono cellulare per dare l’allarme e, quindi, senza essere mai nemmeno entrato nei locali dell’agenzia durante l’esecuzione della rapina; il G. era rimasto ostaggio dei rapinatori, con dei candelotti di esplosivo allacciati in vita per un lasso di tempo non minimo prima di essere condotto all’ufficio postale ove gli autori della rapina al suo seguito erano riusciti a penetrare agevolmente). Il giudice di appello ha, con argomentazioni ineccepibili sia logicamente che giuridicamente, rilevato che la condotta di sequestro di persona non costituisce il necessario antefatto (o postfatto) del reato di rapina, potendo l’agente, nell’ambito della sua strategia operativa, decidere di ricorrervi per accedere al bene oggetto di impossessamento violento o garantirsi un’agevole foga e che, comunque, i reati di rapina e di sequestro di persona possono concorrere tra loro attesa la diversità dei beni giuridici tutelati. La Corte territoriale si è quindi conformata alla consolidata giurisprudenza di legittimità (Cass. Sez. 2^ 21 maggio 2003 n. 29445, Notaro; sez. 2^ 5 maggio 2009 n.24837, Macovci;

3 giugno 2009 n.26279; sez. 1^ 1 luglio 2010 n. 31735, Samuele), puntualmente richiamata nella motivazione della sentenza impugnata, secondo la quale la privazione della libertà personale costituisce ipotesi aggravata del delitto di rapina (e rimane in essa assorbita) solo quando la stessa si trovi in rapporto funzionale con la esecuzione della rapina medesima, mentre, nell’ipotesi in cui la privazione della libertà non abbia una durata limitata al tempo strettamente necessario alla consumazione della rapina, ma ne preceda o ne segua l’attuazione, in ogni caso protraendosi oltre il suddetto limite temporale, il reato di sequestro di persona concorre con quello di rapina.

Tale specifica e dettagliata motivazione il ricorrente non prende nemmeno in considerazione, limitandosi a ribadire la tesi già esposta nei motivi di appello e confutata, con diffuse e ragionevoli argomentazioni, nella sentenza impugnata.

Il secondo motivo è generico, reiterativo di analoga doglianza formulata con i motivi di appello e, comunque, manifestamente infondato. La Corte territoriale ha correttamente desunto la sussistenza dell’elemento psicologico dalle concrete circostanze e dalle modalità esecutive dell’azione criminosa dalle quali, con processo logico deduttivo, è possibile risalire alla sfera intellettiva e volitiva del soggetto. Nel caso concreto, come si desume dalla motivazione della sentenza di primo grado che ricostruisce nel dettaglio le due azioni criminose e che è stata legittimamente richiamata per relationem dal giudice di appello (f.3 motivazione della sentenza impugnata), risulta che in entrambi i casi gli autori della rapina si erano appostati per sorprendere il conducente del furgone postale R. (spinto all’interno di un’autovettura, condotto da due rapinatori in un luogo isolato e privato del telefono cellulare, mentre uno dei due rapinatori rimasti nei pressi dell’ufficio postale, poi identificato nel ricorrente F., prelevava dal furgone un pacco recante il logo "Poste italiane" e si faceva aprire dagli impiegati le porte dell’agenzia fingendosi un fattorino) e l’impiegato postale G. (affiancato e costretto a fermarsi, mentre a bordo della propria autovettura si recava all’ufficio postale, da un altro autoveicolo a bordo del quale si trovavano due individui qualificatisi come agenti della Polizia di Stato, che sotto la minaccia di una pistola l’avevano condotto all’ufficio postale, dopo che sull’addome gli era stata messa una cintura con dei candelotti rossi con micce e filo, e costretto a farsi aprire la porta dell’ufficio postale). In entrambi i casi gli autori delle azioni criminose hanno agito in modo tale da dimostrare di conoscere la funzione dei due dipendenti postali (il G. era stato addirittura chiamato per nome) e di averli seguiti e preordinatamente privati della libertà personale al fine di poter entrare negli uffici postali senza destare sospetti. Le modalità di commissione dei fatti sono state quindi ritenute, con argomentazione del tutto logica, indicative della sussistenza dell’elemento soggettivo del reato di sequestro di persona, rivelando inequivocabilmente la coscienza e la volontà di sequestrare il R. e il G. seguendo un piano accuratamente predisposto per agevolare la commissione delle rapine.

Con il terzo motivo si ripropone una doglianza cui nella motivazione della sentenza impugnata si è già data adeguata risposta. Nel corso di entrambe le rapine si è fatto uso di armi, essendo state le due direttrici degli uffici postali e gli altri impiegati minacciate con la pistola da uno dei rapinatori (come risulta dalla dettagliata ricostruzione dei fatti contenuta nella motivazione della sentenza di primo grado e come evidenziato specificamente dal giudice di appello nella motivazione della sentenza impugnata). Quanto alla compatibilità tra l’aggravante dell’uso dell’arma e la fattispecie criminosa della detenzione e del porto abusivi di un’arma, la Corte territoriale ha fatto correttamente rilevare, conformandosi alla giurisprudenza di legittimità (Cass. Sez. 2^ 30 ottobre 2008 n.44906, Chitè), che le due previsioni normative corrispondono a finalità diverse e tutelano beni giuridici diversi (nel caso dell’aggravante si tutela il patrimonio sanzionando più incisivamente la pena nel caso di rapina commessa attraverso uno strumento di coazione dotato di più intensa capacità intimidatoria, indipendentemente dal fatto che l’arma sia detenuta e portata illegalmente; nel caso delle fattispecie criminose autonome si punisce penalmente la disponibilità e il porto di un’arma non autorizzati).

Alla inammissibilità del ricorso consegue ex art. 616 c.p.p. la condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali e di una somma in favore della Cassa delle ammende che, in ragione delle questioni dedotte, si stima equo determinare in Euro 1.000,00.

P.Q.M.

dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di Euro 1.000,00 alla Cassa delle ammende.

Testo non ufficiale. La sola stampa del bollettino ufficiale ha carattere legale.

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