Cass. pen. Sez. II, Sent., (ud. 21-06-2011) 19-08-2011, n. 32533

Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole direttore del sito giuridico http://www.gadit.it/

Svolgimento del processo – Motivi della decisione

Con sentenza in data 21 ottobre 2010 la Corte di appello di Napoli riformava la sentenza emessa in data 10 novembre 2009 dal giudice per le indagini preliminari del Tribunale di S. Maria Capua Vetere con la quale F.G., all’esito del giudizio abbreviato, era stato dichiarato colpevole del reato di rapina aggravata, commesso in (OMISSIS) in concorso con D.R.P. giudicato separatamente, ed era stato condannato, con le circostanze attenuanti generiche equivalenti alle aggravanti e con la diminuente per il rito, alla pena di anni tre, mesi quattro di reclusione, con la pena accessoria dell’interdizione dai pubblici uffici per anni cinque. La Corte territoriale riduceva la pena ad anni due, mesi otto di reclusione ed Euro 600,00 di multa, revocando la pena accessoria.

Avverso la predetta sentenza l’imputato ha proposto, tramite il difensore, ricorso per cassazione.

Con il ricorso si deduce:

1) la violazione ed erronea applicazione della legge penale sostanziale e processuale in relazione all’art.628 c.p. in quanto la ricostruzione del fatto criminoso non sarebbe aderente alle risultanze processuali avendo la persona offesa G.L. dichiarato di aver consegnato liberamente al D.R. la somma di 1.500,00 Euro per l’acquisto di un quantitativo di hashish e che solo successivamente era intervenuto il F. il quale, usando una pistola giocattolo per minacciarlo, si era impossessato dei suoi due telefoni cellulari e del denaro già entrato nella disponibilità del D.R.; almeno riguardo alla somma di denaro non sussisterebbero, secondo il ricorrente, gli estremi del reato di rapina;

2) la violazione ed erronea applicazione della legge penale sostanziale e processuale in relazione agli artt. 56 e 628 c.p., e art. 125 c.p.p., comma 3, in quanto lo spossessamento della res non sarebbe mai avvenuto essendosi la persona offesa posta all’inseguimento dell’autovettura con a bordo il F. e il D. R. avvisando per telefono le forze dell’ordine; il reato si sarebbe pertanto fermato alla fase della sottrazione, con la conseguenza che sarebbe configurabile solo l’ipotesi del tentativo di rapina;

3) la violazione di legge in relazione all’art. 125 c.p.p., comma 3, e artt. 132 e 133 c.p., in relazione al mancato giudizio di prevalenza delle circostanze attenuanti generiche, nonostante il buon comportamento processuale del ricorrente che aveva fatto ritrovare l’arma e reso ampia confessione rendendo anche dichiarazioni etero accusatorie e permettendo una prima ricostruzione dei fatti.

Il ricorso è inammissibile.

Il primo motivo è fondato su una diversa lettura degli elementi di fatto posti a fondamento della decisione la cui valutazione è compito esclusivo del giudice di merito e non è censurabile in questa sede, essendo stato comunque l’obbligo di motivazione esaustivamente soddisfatto nella sentenza impugnata con valutazione critica di tutti gli elementi offerti dalle emergenze investigative e con indicazione, pienamente coerente sotto il profilo logico – giuridico, degli argomenti a sostegno dell’affermazione di responsabilità. Del resto con i motivi di appello il F. – come evidenziato anche nella sentenza impugnata nella quale si sosteneva che emergeva chiaramente dagli atti, nemmeno contestati dall’appellante "nella loro chiarezza", che l’imputato si era appropriato sia del denaro contante che dei due telefoni cellulari sottraendoli alle persone offese, condotte dal complice su sua indicazione in un luogo isolato – non aveva confutato la ricostruzione accusatoria, essendosi limitato a contestare la qualificazione giuridica del fatto come rapina consumata e il trattamento sanzionatorio.

Il secondo motivo è manifestamente infondato.

Secondo il ricorrente non vi sarebbe stato spossessamento della res, nonostante le persone offese fossero riuscite a recuperare quanto era stato loro sottratto solo dopo un lungo inseguimento e con l’intervento della Polizia.

La giurisprudenza di questa Corte (Cass. sez. 2^ 9 giugno 2010 n. 35006, Pistola) è tuttavia consolidata nel senso che il reato di rapina si consuma nel momento in cui la cosa sottratta cade nel dominio esclusivo del soggetto agente, anche se per breve tempo e nello stesso luogo in cui si è verificata la sottrazione, e pur se, subito dopo il breve impossessamento, il soggetto agente sia costretto ad abbandonare la cosa sottratta per l’intervento dell’avente diritto o della forza pubblica.

Manifestamente infondato è anche il terzo motivo.

Infatti la pena base è stata sensibilmente ridotta dal giudice di appello, in misura non lontana dal minimo edittale. In questo caso l’obbligo motivazionale previsto dall’art. 125 c.p.p., comma 3, deve ritenersi assolto anche attraverso espressioni che manifestino sinteticamente il giudizio di congruità della pena o richiamino sommariamente i criteri oggettivi e soggettivi enunciati dall’art. 133 c.p. (Cass. sez. 6^ 12 giugno 2008 n.35346, Bonarrigo; sez. 3^ 29 maggio 2007 n. 33773, Ruggieri). Quanto alla mancata prevalenza delle circostanze attenuanti genetiche, il giudice di appello ha motivato il rigetto della richiesta difensiva con argomentazioni logicamente coerenti, osservando che l’ammissione di responsabilità con l’indicazione del luogo in cui era stata gettata l’arma utilizzata per commettere la rapina non era un elemento significativo "ove si consideri che gli elementi a carico del prevenuto erano già nell’immediato imponenti e tali da non consentirgli di eludere le investigazioni, mentre il ritrovamento della pistola è stato un risultato tutto sommato utile per il F., perchè ha consentito di appurare che si trattava di un’arma giocattolo". Si tratta di una valutazione rispondente al parametro della capacità a delinquere dell’imputato, con riferimento al comportamento successivo alla commissione del reato, considerato dall’art. 133 c.p., e applicabile anche ai fini dell’art. 69 c.p., a fronte della quale il ricorso non evidenzia alcun ulteriore significativo elemento di segno opposto rispetto a quelli già considerati per il riconoscimento delle attenuanti con giudizio di equivalenza.

Alla inammissibilità del ricorso consegue ex art. 616 c.p.p., la condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali e di una somma in favore della Cassa delle ammende che, in ragione delle questioni dedotte, si stima equo determinare in Euro 1.000,00.

P.Q.M.

dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di Euro 1.000,00 alla Cassa delle ammende.

Testo non ufficiale. La sola stampa del bollettino ufficiale ha carattere legale.

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