T.A.R. Lazio Roma Sez. I bis, Sent., 19-09-2011, n. 7358 U. S. L.

Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole direttore del sito giuridico http://www.gadit.it/

Svolgimento del processo – Motivi della decisione

Con il ricorso in esame, i ricorrenti impugnano le note provvedimentali in epigrafe (n. 1182 del 20 maggio 1994 e n. 685 del 14 aprile 1994) con le quali l’intimata amministrazione comunica all’Associazione A. di "provvedere ad espletare presso questo Servizio le pratiche tendenti ad ottenere l’autorizzazione ad esercitare l’attività come ambulatorio".

In punto di fatto, gli interessati espongono che:

i medici chirurghi Giancotti e Richter costituivano una associazione professionale denominata A. per l’espletamento di attività professionale in campo odontoiatrico;

poiché tale attività richiede l’utilizzazione di apparecchiature RX, essi inviavano la prescritta comunicazione alla USL RM/11;

in data 5 aprile 1994, gli stessi inviavano la documentazione;

con nota del 14 aprile 1994, la USL comunicava che "dall’esame della documentazione si è rilevato che l’associazione ha un proprio numero di partita Iva e, secondo le attuali disposizioni, questa si configura come una società di fatto. Pertanto, è necessario che codesta associazione provveda ad espletare le relative pratiche con il servizio di igiene pubblica di questa USL… per ottenere l’autorizzazione ad esercitare l’attività come ambulatorio;

con successiva nota n. 1182 del 20 maggio 1994, la USL precisava che "… si è rilevato che l’associazione ha un proprio numero di partita Iva per cui si configura una società di fatto secondo le vigenti disposizioni. Ai sensi dell’art. 193 del TULS facendo riferimento al Bollettino Ufficiale regione Lazio del 19/12/1992, nota allegata al n. d’ordine 5, codesta associazione deve provvedere ad espletare presso questo Servizio pratiche tendenti ad ottenere l’autorizzazione ad esercitare l’attività come ambulatorio".

I ricorrenti nell’impugnare le suddette note, deducono un unico, articolato motivo di ricorso per: violazione dell’art. 193 del TU n. 1265/1934, del DPR n. 633/1972, della L. R. Lazio n. 30/1980, della L. n. 241/1990, degli artt. 222 e segg. c.c. nonché eccesso di potere.

Contestano gli atti impugnati in quanto l’amministrazione sanitaria, illegittimamente:

ha qualificato l’attività dell’associazione professionale come "Ambulatorio", assoggettandola al requisito della autorizzazione di cui all’art.193 del regio decreto n. 1265/1934;

ha trascurato che l’attribuzione all’associazione di un proprio numero di partita Iva non comporta in alcun modo che la stessa venga configurata come società di fatto;

che il suo reddito, infatti, viene valutato ai fini fiscali come reddito professionale non come reddito di impresa;

difettano i requisiti obiettivi che consentono di qualificare coma "ambulatorio" l’intrapresa attività che è, e resta, di tipo professionalepersonale da parte degli associati;

non ha esplicitato una congrua motivazione sugli elementi che indicevano a qualificare come "ambulatorio" l’attività in questione.

Si è costituita l’amministrazione sanitaria.

Con memoria depositata il 29 aprile 2011, i ricorrenti insistono per l’accoglimento del gravame.

All’udienza del 1 giugno 2011, la causa è stata trattenuta per la decisione.

Il ricorso è infondato.

La USL evocata in giudizio ha motivato i propri atti sul triplice profilo che:

l’associazione ha un proprio numero di partita Iva;

si configura come associazione di fatto;

detiene apparecchio RX per uso odontoiatrico e perciò, ai sensi della nota allegata al n. d’ordine 5 del B.U.R. L. del 19/12/1992, necessita espletare le pratiche tendenti ad ottenere l’autorizzazione ad esercitare l’attività come ambulatorio.

Orbene, in punto di fatto consta che i medici chirurghi hanno costituito una associazione professionale che ha una propria sede operativa ed una propria organizzazione di mezzi (vedi apparecchio RX).

Recita l’art. 193 del T.U.LL.SS. approvato con regio decreto n. 1265/1934:

"Nessuno può aprire o mantenere in esercizio ambulatori, case o istituti di cura medicochirurgica o di assistenza ostetrica, gabinetti di analisi per il pubblico a scopo di accertamento diagnostico, case o pensioni per gestanti, senza speciale autorizzazione del prefetto, il quale la concede dopo aver sentito il parere del consiglio provinciale di sanità.

L’autorizzazione predetta è concessa dopo che sia stata assicurata la osservanza delle prescrizioni stabilite nella legge di pubblica sicurezza per l’apertura dei locali ove si da alloggio per mercede.

omissis….

Ritiene il Collegio, aderendo ad un indirizzo interpretativo dominante, che l’autorizzazione di cui all’art. 193, T.U. 27 luglio 1934 n. 1265 è funzionale alla esigenza di uno specifico controllo di tutte quelle attività svolte con finalità speculative e non istituzionali da operatori privati e, comunque, non facenti parte dell’apparato sanitario pubblico.

Segnatamente, l’autorizzazione all’esercizio di attività sanitarie di cui all’art. 193 citato è richiesta per gli studi odontoiatrici (ed in genere, di medici e di altre professioni sanitarie) ove attrezzati per erogare prestazioni di chirurgia ambulatoriale, ovvero procedure diagnostiche e terapeutiche di particolare complessità o che comportino un rischio per la salute del paziente.

Gli studi odontoiatrici, all’interno dei quali si svolgono prestazioni del tipo di quelle sopra indicate, possono, dunque, concretamente operare solo se muniti di specifica autorizzazione, la cui necessità è prevista da una vigente legge dello Stato per le esigenze di controllo appena evidenziate.

Nella fattispecie, lo studio odontoiatrico dei ricorrenti rientra certamente nell’ambito degli istituti indicati nell’art. 193 del testo unico delle leggi sanitarie trattandosi di luogo ove si esercita una prestazione di carattere sanitario tecnicamente qualificata ed ove esiste una certa organizzazione strumentale (apparecchio RX).

In particolare, detto studio ben può qualificarsi come vero e proprio ambulatorio medico e cioè come luogo destinato ad attività terapeutiche che non richiedono ospedalizzazione e nel quale i medici ricorrenti intendono svolgere operazioni di tipo invasivo sul paziente, anche assistite da interventi di anestesia, che certamente possono farsi rientrare nell’ambito delle procedure terapeutiche potenzialmente rischiose per colui che ne è sottoposto.

Le prefate considerazioni inducono a ritenere sussistenti, nella fattispecie, i presupposti di fatto legittimanti le determinazioni impugnate.

Ed invero, l’intimata amministrazione si è determinata nei divisati sensi sul presupposto della organizzazione strutturale dello studio medico richiamando, a tal fine, il contenuto prescrittivo della nota allegata al n. d’ordine 5 del B.U.R. L. del 19/12/1992.

Nel caso di specie assume, dunque, rilievo decisivo il prevalente profilo organizzativo dell’attività esercitata su quello professionale con la conseguenza che l’attività in questione va qualificata come "ambulatorio" e non come studio professionale rendendosi, pertanto, necessaria, la richiesta di autorizzazione di cui all’articolo 193 del r.d. n. 1265/1934.

Il ricorso è, in definitiva, infondato e va, perciò, respinto mentre le spese di giudizio possono trovare compensazione in ragione della difesa formale opposta dall’amministrazione sanitaria.

P.Q.M.

Il Tribunale Amministrativo Regionale per il Lazio (Sezione Prima Bis) definitivamente pronunciando sul ricorso, come in epigrafe proposto, lo respinge.

Spese compensate.

Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall’autorità amministrativa.

Testo non ufficiale. La sola stampa del bollettino ufficiale ha carattere legale.

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