T.A.R. Lazio Roma Sez. II, Sent., 19-09-2011, n. 7421 Sanzioni disciplinari

Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole direttore del sito giuridico http://www.gadit.it/

Svolgimento del processo

Nell’ambito del procedimento penale iscritto al n.558/98 del R.G.N.R., instaurato presso la Procura della Repubblica presso il Tribunale di Ravenna (successivamente confluito nel procedimento n.1056/98 del R.N.R. instaurato dalla Procura della Repubblica presso il Tribunale di Venezia), emergevano fatti riconducibili alla persona del ricorrente.

In particolare veniva accertato che nelle date del 26 febbraio e del 4 marzo 1997 il ricorrente – che all’epoca era Comandante del Nucleo Provinciale di Polizia Tributaria di Padova, con il grado di capitano – aveva intrattenuto conversazioni telefoniche con un conoscente (successivamente risultate intercettate), nel corso delle quali gli aveva fornito informazioni riguardanti indagini di polizia giudiziaria a suo carico (indagini che stava svolgendo un altro reparto del Corpo).

Da tale condotta non scaturiva alcuna iniziativa da parte dell’Autorità giudiziaria.

Tuttavia alla conclusione della fase delle indagini preliminari, con nota n.20069/P del 22.2.2001 il Comando Regionale della Toscana trasmetteva gli atti al Comandante del Nucleo Regionale di Polizia Tributaria della Toscana dal quale il ricorrente dipendeva, perché valutasse se nella sua condotta fossero ravvisabili illeciti di natura disciplinare.

Con note n.4826 del 5.3.2001 e n.6386 del 20.3.2001, il predetto Comandante chiedeva dettagliati chiarimenti all’interessato, che forniva le sue giustificazioni con le note n.4775 dell’8.3.2001 e n.4987 del 22.3.2001.

Con nota n.6912 del 28.3.2001 il Comandante contestava formalmente al ricorrente:

di non aver rispettato l’obbligo del riserbo su questioni relative al servizio, avendo fornito dati e notizie riguardanti operazioni in corso da parte di altro Comando;

e di aver ottemperato inadeguatamente alla richiesta di chiarimenti sulla vicenda, avendo fornito risposte imprecise in ordine alla reale portata della sua condotta.

Infine, dopo aver vagliato le ulteriori giustificazioni addotte dal ricorrente con la nota n.5141/G.O.A. del 30.3.2001, l’Autorità disciplinare gli infliggeva la sanzione disciplinare del "rimprovero".

Avverso tale provvedimento disciplinare, con nota n.5346 del 15.5.2001 l’interessato proponeva ricorso gerarchico al Comandante Regionale della Toscana.

Ma con la determinazione n.76534 del 19.7.2001 quest’ultimo lo ha rigettato, non avendo rilevato nel provvedimento alcun vizio.

Con il ricorso in esame il ricorrente ha impugnato innanzi a questo TAR la predetta determinazione e gli atti ad essa presupposti e connessi, e ne chiede l’annullamento, con vittoria di spese, per le conseguenti statuizioni reintegratorie e di condanna.

Ritualmente costituitasi, l’Amministrazione ha eccepito l’infondatezza del gravame, chiedendone il rigetto con vittoria di spese.

Con successivi atti difensivi le parti hanno insistito nelle rispettive richieste ed eccezioni.

Infine, all’udienza dell’11.5.2011, udite le conclusioni dei Difensori presenti in udienza (indicati nell’apposito verbale), la causa è stata posta in decisione.

Motivi della decisione

1. Il ricorso è infondato.

Con unico articolato motivo di gravame il ricorrente lamenta violazione dell’art.3 della L. 7.8.1990 n.241, nonché degli artt.19, lett. b e 25 del Regolamento di disciplina militare approvato con DPR 18.7.1986 n.545 e della Circolare n.1/2000 del Comando Generale della Guardia di Finanza, ed eccesso di potere per difetto di istruttoria, travisamento dei fatti e disparità di trattamento, deducendo:

che illegittimamente l’Amministrazione non ha tenuto conto della circostanza che le competenti Procure della Repubblica hanno escluso che la sua condotta potesse integrare fattispecie di reato (nella specie: di quelle previsto e punito dall’art.326 del codice penale) ed hanno disposto l’archiviazione del procedimento;

che il procedimento disciplinare è stato avviato parimenti illegittimamente in quanto l’Amministrazione ha omesso di effettuare la formale contestazione degli addebiti e di acquisire le formali giustificazioni;

che erroneamente, ed a seguito di una istruttoria approssimativa e lacunosa, l’Amministrazione ha ritenuto che egli abbia diffuso notizie riservate ed informazioni concernenti indagini in corso;

che nei confronti di due colleghi (nominativamente indicati) ai quali erano stati contestati addebiti più gravi, non è stato adottato alcun provvedimento disciplinare.

Nessuno dei quattro profili di doglianza merita accoglimento.

1.1. La tesi secondo cui l’Amministrazione avrebbe dovuto tener conto dell’intervenuta archiviazione del procedimento penale – e, conseguentemente, non avviare il procedimento disciplinare o avviarlo e concluderlo con una "assoluzione" conforme e simmetrica a quella già intervenuta – non può essere condivisa.

Secondo un principio costituente ormai jus receptum nel nostro Ordinamento, vi sono condotte che pur non integrando fatti di reato possono essere considerate censurabili sotto il profilo disciplinare e costituire illeciti disciplinari.

Per questa ragione l’Amministrazione può valutare la condotta del dipendente ai fini dell’eventuale avvio del procedimento disciplinare (e dunque avviarlo ai fini della eventuale comminazione di sanzioni disciplinari), anche nel caso in cui l’azione penale si sia conclusa con un proscioglimento (istruttorio) o con un’assoluzione, e finanche se il procedimento sia stato archiviato dal PM (per accertata o ritenuta inconsistenza della c.d. "notizia criminis") prima del vero e proprio avvio dell’azione penale.

Ciò è confermato (e non smentito) dall’art.653 del codice di procedura penale.

Tale norma stabilisce che "la sentenza penale irrevocabile di assoluzione ha efficacia nel giudizio per responsabilità disciplinare davanti alle pubbliche autorità quanto all’accertamento che il fatto non sussiste o non costituisce illecito penale ovvero che l’imputato non lo ha commesso".

Il che significa che l’Ordinamento contempla la possibilità che una Pubblica Amministrazione avvii un procedimento disciplinare anche in caso di assoluzione; e conferma l’assunto secondo cui l’oggetto del predetto procedimento è differente da quello del procedimento penale (in quanto – lo si ribadisce – il primo è finalizzato all’accertamento della sussistenza di illeciti disciplinari mentre il secondo all’accertamento della sussistenza di illeciti penali).

Ciò che l’Amministrazione non può fare in sede di verifica della sussistenza di responsabilità disciplinari è smentire il contenuto di una sentenza irrevocabile del Giudice penale riguardante gli accertamenti di fatto esperiti nel corso del relativo giudizio o le valutazioni giuridiche (e cioè le cc.dd. "qualificazioni giuridiche" date ai fatti) in merito alla responsabilità penale dell’imputato.

La doglianza del ricorrente appare pertanto infondata per due ragioni.

Innanzitutto in quanto la tesi difensiva volta a valorizzare la presunta (o pretesa) illibatezza della sua condotta non è coperta da alcun formale giudicato, com’è agevolmente desumibile dal fatto che l’azione penale non è stata avviata (essendo stato chiuso il relativo procedimento con un decreto di archiviazione, atto che non ha la stessa valenza ed efficacia di una sentenza).

Ed in secondo luogo in quanto l’Amministrazione non ha comunque smentito:

né le qualificazioni giuridiche svolte dall’Autorità giudiziaria in sede penale, la quale ha valutato la condotta del ricorrente esclusivamente al fine di verificare la sussistenza di illeciti penali (e, nella specie, del reato previsto e punito dall’art.326 del codice penale);

né gli accertamenti di fatto effettuati dalla predetta Autorità, accertamenti che hanno acclarato che il ricorrente ha effettivamente divulgato alcune notizie riservate concernenti indagini in corso.

Ed è evidente, per quanto fin qui detto, che il fatto che tale condotta sia stata ritenuta penalmente irrilevante (e non integrante il reato di cui all’art.326 del codice penale, che vieta e punisce la rivelazione ed utilizzazione dei segreti di ufficio da parte del pubblico ufficiale) non esclude una diversa valutazione sotto il profilo disciplinare.

Ragioni, queste, per le quali l’azione dell’Amministrazione (la quale – lo si sottolinea ulteriormente – non ha contraddetto né smentito in alcun modo le risultanze del procedimento svolto dall’Autorità giudiziaria), ben resiste – sia dal punto di vista procedimentale che da quello sostanziale – alla dedotta censura.

1.2. Il secondo profilo di doglianza, con cui il ricorrente lamenta la mancata formale contestazione degli addebiti e la mancata acquisizione delle sue giustificazioni da parte dell’Ufficiale istruttore in sede di procedimento disciplinare, non può essere condivisa.

Con note n.4826 del 5.3.2001 e n.6386 del 20.3.2001, il Comandante del Nucleo Regionale di Polizia Tributaria della Toscana chiedeva dettagliati chiarimenti all’interessato che forniva le sue giustificazioni con le note n.4775 dell’8.3.2001 e n.4987 del 22.3.2001.

E successivamente, con nota n.6912 del 28.3.2001 il predetto Comandante contestava formalmente al ricorrente:

– di non aver rispettato l’obbligo del riserbo su questioni relative al servizio, avendo fornito dati e notizia riguardanti operazioni in corso da parte di altro Comando;

– e di aver ottemperato inadeguatamente alla richiesta di chiarimenti sulla vicenda, avendo fornito risposte imprecise in ordine alla reale portata della sua condotta.

Infine, dopo aver vagliato le ulteriori giustificazioni addotte dal ricorrente con la nota n.5141/G.O.A. del 30.3.2001, l’Autorità disciplinare gli infliggeva la sanzione disciplinare del "rimprovero".

La tesi secondo cui le note n.4826 del 5.3.2001 e n.6386 del 20.3.2001, nonché la nota n.6912 del 28.3.2001, sottoscritte dal Comandante del Nucleo Regionale di Polizia Tributaria non avrebbero costituito idonei mezzi di contestazione degli addebiti appare, pertanto, pretestuosa ed infondata, posto che il ricorrente ha fornito le proprie giustificazioni, dimostrando di aver ricevuto le note in questione e di aver ben compreso di cosa trattassero.

1.3. Del pari infondato si appalesa il terzo profilo di doglianza, con cui il ricorrente lamenta che l’Amministrazione avrebbe effettuato una istruttoria sommaria e lacunosa, a seguito della quale avrebbe erroneamente valutato la sua condotta.

Ed invero dagli atti relativi al procedimento emerge che l’istruttoria condotta nel corso del procedimento disciplinare è stata utile (quale mezzo al fine) ed efficace, avendo acclarato che il ricorrente ha effettivamente intrattenuto rapporti telefonici con il soggetto sottoposto alle indagini, assicurandogli che si sarebbe informato in ordine agli sviluppi delle stesse per poi riferirgli più dettagliatamente e rassicurandolo con toni amichevoli sullo stato attuale della vicenda.

Così agendo il ricorrente ha violato l’art.19 del Regolamento di disciplina, che vieta all’Ufficiale di divulgare informazioni acquisite per ragioni d’ufficio o in occasione dell’espletamento di funzioni o di attività connesse con obblighi d’ufficio, "anche se insignificanti".

Il che, evidentemente, è sufficiente per concludere che la sua condotta ben poteva (e può) essere considerata irregolare (id est: disciplinarmente scorretta) dalle competenti Autorità in sede di procedimento disciplinare, posto che appare (ictu oculi) contrario al precetto testè indicato (di cui al citato art.19 del Regolamento) siccome inopportuno e pregiudizievole per l’immagine del Corpo, oltreché tendenzialmente pregiudizievole per le indagini in corso, e certamente contrario al principio di imparzialità dell’azione amministrativa, il comportamento dell’Ufficiale che si intrometta occultamente nell’attività investigativa diretta dai colleghi al fine di acquisire (rectius: carpire) informazioni riservate allo scopo da estenderle al soggetto indagato per rendergli un favore, pur se ciò avvenga per ragioni squisitamente amicali (e cioè a titolo di pura cortesia e senza l’effetto né l’intento di alterare il normale corso delle investigazioni).

Ed essendo altresì evidente che nel caso in cui un Ufficiale ed un soggetto sottoposto ad indagini siano legati da rapporti di amicizia, il primo – pur potendo mantenere il suo rapporto amicale – ha il dovere di astenersi da qualsiasi atto che possa intralciare l’attività investigativa e/o agevolare indebitamente la persona conosciuta.

1.4. Anche l’ultimo profilo di doglianza – con cui il ricorrente lamenta eccesso di potere per disparità di trattamento – non può essere condiviso.

La giurisprudenza afferma costantemente che il vizio di disparità di trattamento è rilevabile solamente in presenza di situazioni soggettivamente ed obiettivamente identiche (CS, 12.12.1975 n.790).

E poiché le vicende giudiziarie dei colleghi del ricorrente hanno in comune con le sue esclusivamente il procedimento penale (trattandosi di vicende e di imputazioni collegate sotto il vincolo del concorso), mentre le singole posizioni processuali (e le accuse ed imputazioni) sono differenti, è agevole osservare che la lamentata disparità di trattamento non sussiste.

2. In considerazione delle superiori osservazioni, il ricorso va respinto.

Si ravvisano giuste ragioni per condannare il ricorrente al pagamento, in favore dell’Amministrazione, delle spese processuali che si liquidano in complessivi Euro.1000,00, oltre IVA e CPA.

P.Q.M.

definitivamente pronunciando, respinge il ricorso.

Condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali in favore dell’Amministrazione, nella misura indicata in motivazione.

Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall’autorità amministrativa.

Testo non ufficiale. La sola stampa del bollettino ufficiale ha carattere legale.

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