Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole direttore del sito giuridico http://www.gadit.it/
Svolgimento del processo – Motivi della decisione
Con sentenza in data 4 maggio 2010 la Corte d’Appello di Genova, in parziale riforma della decisione assunta dal Tribunale di Savona, pur tenendo ferma la responsabilità di N.S. in ordine al delitto di cui all’art. 497 bis c.p., comma 1, ha escluso l’applicabilità dell’aggravante di cui al comma 2 dello stesso articolo.
In fatto era accaduto che il N., nel tentativo di sottrarsi alle ricerche seguite alla sua evasione dagli arresti domiciliari, avesse esibito una carta d’identità recante la sua fotografia, con false generalità. La Corte d’Appello ha motivato l’esclusione dell’aggravante in base al convincimento che la detenzione del documento contraffatto fosse finalizzata a un uso esclusivamente personale.
Ha proposto ricorso per cassazione l’imputato, per il tramite del difensore, affidandolo a un solo motivo. Con esso lamenta l’omessa risposta alle doglianze elevate nell’atto di appello e denuncia carenza di motivazione in ordine alla sussistenza del reato.
Sostiene, al riguardo, che nell’art. 497 bis c.p., commi 1 e 2, sono previste due distinte ipotesi criminose, tra loro non compatibili:
sicchè l’imputato, avendo detenuto il documento per uso personale, avrebbe dovuto essere mandato assolto dall’imputazione di cui al secondo comma, con rimodulazione della pena stabilita per il reato di cui al comma 1.
Il ricorso è inammissibile in quanto manifestamente infondato.
Contrariamente a quanto mostra di ritenere il ricorrente, l’ipotesi di detenzione del falso documento per fini diversi dall’uso personale, contemplata nel secondo comma dell’art. 497 bis c.p., non delinea un’autonoma fattispecie di reato rispetto a quella descritta nel comma 1, ma soltanto una forma aggravata di essa.
Conseguentemente, l’avere la Corte d’Appello escluso la sussistenza di fini diversi dall’uso personale ha dato luogo all’esclusione dell’aggravante di cui al secondo comma e la conseguente applicazione dell’ipotesi non circostanziata di cui al comma 1 dell’articolo citato.
La statuizione così – legittimamente – assunta non ha comportato l’applicazione di alcuna esimente e non ha, dunque, richiesto una pronuncia di proscioglimento, ma soltanto la rimodulazione del trattamento sanzionatone correttamente ricondotto entro i parametri fissati dall’art. 497 bis c.p., comma 1.
Per completezza vale la pena di aggiungere che, quand’anche potesse aderirsi alla tesi difensiva che tende a delineare due distinte ipotesi criminose nel primo e nel comma 2, dell’articolo applicato, esulerebbe comunque dal quadro giuridico la configurabilità del vizio ipotizzato dal ricorrente, appartenendo al giudice di merito il potere di dare al fatto una definizione giuridica diversa da quella enunciata nel capo d’imputazione ( art. 521 c.p.p., comma 1).
Alla declaratoria di inammissibilità del ricorso conseguono le statuizioni di cui all’art. 616 c.p.p..
P.Q.M.
la Corte dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di Euro 1.000,00 in favore della Cassa delle Ammende.
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