Cass. pen. Sez. II, Sent., (ud. 10-05-2011) 19-08-2011, n. 32516 Poteri della Cassazione

Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole direttore del sito giuridico http://www.gadit.it/

Svolgimento del processo – Motivi della decisione

Con sentenza del 24.6.2010 la Corte d’Appello di Caltanisetta in parziale riforma della sentenza emessa dal Tribunale di Gela che aveva condannato T.M., in concorso con altri, per estorsione e tentata estorsione in danno di M.R., ritenuta la continuazione, ad anni 3 di recl. ed Euro 600,00 di multa, riduceva la pena ad anni 2, mesi 4 di recl. ed Euro350,00 di multa.

Riteneva la Corte di merito insussistenti i presupposti per configurare il reato di cui all’art. 392 c.p. perchè, ancorchè soggetto attivo del reato possa essere anche persona diversa dal titolare del diritto illecitamente tutelato, quando agisce secondo lo schema della negotiorum gestio, la pretesa posta alla base dei fatti nel caso in esame era certamente illecita, non potendosi sostenere che il T. abbia agito per esercitare un preteso diritto.

L’adempimento di un accordo illecito, quale quello derivante dalla pretesa di corresponsione di somme di denaro per avere fatto venire in Italia delle straniere (con spese sostenute dalle donne stesse) e per avere cercato loro un lavoro non era un accordo tutelato dall’ordinamento, essendo impossibile il ricorso al giudice.

Rigettava la richiesta di audizione della teste C.M. (convivente del coimputato R.S., rispetto al quale la sentenza era divenuta definitiva) non ritenendo la sua deposizione indispensabile ai fini della decisione. Con riguardo alla specifica responsabilità del T. sottolineava la Corte nissena che la teste G.A.M. non era incorsa in alcuna contraddizione in ordine alla sua identificazione indicandolo come M., M. dei (OMISSIS) e che sapeva chiamarsi M., fornendo altresì una plausibile spiegazione in ordine al movente dei fatti.

Aggiungeva di averlo visto chiedere soldi al suo fidanzato, M. R.A..

Ricorre per Cassazione il difensore dell’imputato deducendo che la sentenza impugnata è incorsa in:

1. motivazione illogica e apparente in ordine alla commissione del reato indipendentemente dalla sua qualificazione giuridica. Contesta la sussistenza dell’elemento soggettivo del reato e l’illogicità della motivazione della Corte di merito laddove confonde la posizione del R. con quella del T. (la donna era una cosa sua del R. e non loro).

2. mancanza di prova precisa e concordante. Sostiene che l’intervento della polizia, avvenuto in accordo con il M., nessuna valenza probatoria poteva assumere nei confronti del T..

3. mancata audizione della teste C.M..

4. violazione dell’art. 521 c.p. in quanto la condotta contestata doveva essere ricondotta alla violazione dell’art. 393 c.p., e art. 612 c.p..

Il primo motivo e il secondo motivo di ricorso sono inammissibili perchè generici e versati in fatto.

Lamenta il ricorrente un vizio di motivazione. Sul punto va ricordato che anche alla luce del nuovo testo dell’art. 606 c.p.p., comma 1, lett. e), come modificato dalla L. 20 febbraio 2006, n. 46, non è consentito alla Corte di Cassazione di procedere ad una rinnovata valutazione dei fatti ovvero ad una rivalutazione del contenuto delle prove acquisite, trattandosi di apprezzamenti riservati in via esclusiva al giudice del merito. La previsione secondo cui il vizio della motivazione può risultare, oltre che dal "testo" del provvedimento impugnato, anche da "altri atti del processo", purchè specificamente indicati nei motivi di gravame, non ha infatti trasformato il ruolo e i compiti del giudice di legittimità, il quale è tuttora giudice della motivazione, senza essersi trasformato in un ennesimo giudice del fatto. In questa prospettiva il richiamo alla possibilità di apprezzarne i vizi anche attraverso gli "atti del processo" rappresenta solo il riconoscimento normativo della possibilità di dedurre in sede di legittimità il cosiddetto "travisamento della prova", in virtù del quale la Corte, lungi dal procedere ad una (inammissibile) rivalutazione del fatto (e del contenuto delle prove), prende in esame gli elementi di prova risultanti dagli atti per verificare se il relativo contenuto è stato preso in esame, senza travisamenti, all’interno della decisione.

In altri termini si può parlare di travisamento della prova nei casi in cui il giudice di merito abbia fondato il proprio convincimento su una prova che non esiste o su un risultato di prova incontestabilmente diverso da quello reale. Non spetta invece alla Corte di cassazione "rivalutare" il modo con cui quello specifico mezzo di prova è stato apprezzato dal giudice di merito, giacchè attraverso la verifica del travisamento della prova il giudice di legittimità può e deve limitarsi a controllare se gli elementi di prova posti a fondamento della decisione esistano o, per converso, se ne esistano altri inopinatamente e ingiustamente trascurati o fraintesi, (cfr. tra le tante: Cass. Sez. 2 n. 38915/07; Cass. Sez. 4 n. 35683/07; Cass. Sez. 4 n. 15556/08; Cass. Sez. 6 n. 18491/10).

Ciò detto le censure del ricorrente si appalesano manifestamente infondata perchè il T., sotto il profilo del vizio di motivazione, sollecita alla Corte una diversa lettura dei dati di fatto non consentita in questa sede. Il giudizio di cassazione, rimane infatti sempre un giudizio di legittimità, nel quale rimane esclusa la possibilità che la verifica sulla correttezza e completezza della motivazione (cui deve limitarsi la corte di cassazione) possa essere confusa con una nuova valutazione delle risultanze acquisite, da contrapporre a quella effettuata dal giudice di merito Nel caso in esame la Corte territoriale ha dato contezza con argomentazione coerente e logica delle ragione che l’hanno portata ad affermare la responsabilità dell’imputato rispondendo a tutte le doglianze.

Manifestamente infondato è anche il terzo motivo di ricorso. La decisione istruttoria del giudice di appello è censurabile ai sensi dell’art. 606 c.p.p., lett. e), sotto il solo profilo della mancanza o manifesta illogicità della motivazione, come risultante dal testo (Cass., sez. 6^, 30 Aprile 2003, n. 26713). Sotto questo profilo, occorre peraltro che la prova negata, confrontata con le ragioni addotte a sostegno della decisione, sia di natura tale da poter determinare una diversa conclusione del processo (Cass., sez. 2^, 17 maggio 2001, n. 49587). La corte territoriale ha dato conto dell’esaustività delle prove e dunque della superfluità della riapertura del dibattimento, che è istituto eccezionale;legato al presupposto rigoroso dell’impossibilità di decidere allo stato degli atti ( art- 603 c.p.p., comma 1) (cfr. N. 34643/08 N. 10858 del 1996 Rv. 207067, N. 6924 del 2001 Rv. 218279, N. 26713 del 2003 Rv.

227706, N. 44313 del 2005 Rv. 232772, N. 4675 del 2006 Rv. 235654).

Tale valutazione è di merito e la motivazione può essere implicita (v. Cass. Sez. 5 sent. n. 6379 del 17.3.1999 dep. 21.5.1999 rv 213403; Cass. n. 8891/2000 Rv 217209: "In tema di rinnovazione, in appello, della istruzione dibattimentale, il giudice, pur investito – con i motivi di impugnazione – di specifica richiesta, è tenuto a motivare solo nel caso in cui a detta rinnovazione acceda; invero, in considerazione del principio di presunzione di completezza della istruttoria compiuta in primo grado, egli deve dare conto dell’uso che va a fare del suo potere discrezionale, conseguente alla convinzione maturata di non poter decidere allo stato degli atti. Non così, viceversa, nella ipotesi di rigetto, in quanto, in tal caso, la motivazione potrà anche essere implicita e desumìbile dalla stessa struttura argomentativa della sentenza di appello, con la quale si evidenzia la sussista di eletti sufficienti alla affermazione, o negazione, di responsabilità.

Il quarto motivo è inammissibile perchè manifestamente infondato e per la presenza di questioni non dedotte con i motivi di appello (violazione dell’art. 612 c.p.).

Ai fini della sussistenza del delitto di esercizio arbitrario delle proprie ragioni (in luogo di quello di estorsione) occorre che infatti che l’agente sia soggettivamente – pur se erroneamente – convinto dell’esistenza de. proprio diritto, e che detto diritto riceva astrattamente tutela giurisdizionale. La sentenza in esame ha specificato che l’adempimento di un accordo illecito quale quello derivante dalla pretesa di corresponsione di somme di denaro per avere fatto venire in Italia delle straniere (con spese sostenute dalle donne stesse) e per avere cercato loro un lavoro non è un accordo tutelato dall’ordinamento, essendo impossibile il ricorso al giudice.

Il ricorso deve pertanto essere dichiarato inammissibile.

Ai sensi dell’art. 616 c.p.p., consegue la condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma, che si ritiene equo liquidare in Euro 1.000,00 in favore della Cassa delle Ammende.

P.Q.M.

Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali e di Euro mille alla Cassa delle ammende.

Testo non ufficiale. La sola stampa del bollettino ufficiale ha carattere legale.

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