Cass. pen. Sez. feriale, Sent., (ud. 17-08-2011) 23-08-2011, n. 32820 Misure cautelari

Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole direttore del sito giuridico http://www.gadit.it/

Svolgimento del processo

1. Con sentenza del 18/7/2011 la Corte di Appello di Palermo, in applicazione della L. n. 69 del 2005, art. 17, accoglieva la richiesta di consegna del cittadino rumeno P.I., richiesta avanzata con mandato di arresto Europeo (M.A.E.) del 13/10/2009, fondato su una condanna definitiva alle pena di anni 2 di reclusione, per guida in stato di ebbrezza e senza patente (sentenza emessa dalla A.G. rumena il 16/11/2007).

Nel valutare la legittimità della richiesta, la Corte territoriale rilevava l’inapplicabilità del caso di rifiuto di consegna di cui all’art. 18, lett. r), relativamente a cittadini dell’Unione stabilmente residenti o dimoranti in Italia, ai fini dell’espiazione della pena in Italia. Osservava la corte che il P. non aveva documentato tale situazione, se non producendo un certificato di stato di famiglia emesso dal Comune di Marsala di contenuto generico.

2. Avverso la sentenza ha proposto ricorso il difensore dell’imputato, lamentano la violazione di legge, laddove a fronte di un articolato interrogatorio in cui il P. aveva riferito circostanze specifiche del suo stabile radicamento familiare e residenziale in Italia, la corte territoriale non aveva attivato alcun approfondimento istruttorie, ai sensi della Legge M.A.E., art. 16, comma 2, al fine di accertare la veridicità delle dichiarazioni, eventualmente chiedendo informazioni presso enti pubblici e previdenziali. Il ricorrente, inoltre, allegava documentazione circa la richiesta di iscrizione all’anagrafe avanzata al comune di Marsala il 3/7/2008 e buste paga ricevute dal maggio 2009 all’aprile 2011.

Motivi della decisione

3. Il ricorso è fondato.

3.1. Dispone la L. n. 69 del 2005, art. 18, lett. r), che la corte di appello rifiuta la consegna "se il mandato d’arresto Europeo è stato emesso ai fini della esecuzione di una pena o di una misura di sicurezza privative della libertà personale, qualora la persona ricercata sia cittadino italiano, sempre che la corte di appello disponga che tale pena o misura di sicurezza sia eseguita in Italia conformemente al suo diritto interno".

Con la sentenza nr. 227 del 12/5/2010 la Corte Costituzionale ha dichiarato illegittima tale lettera, nella parte in cui non prevede il rifiuto di consegna anche del cittadino di un altro Paese membro dell’Unione Europea, che legittimamente ed effettivamente abbia residenza o dimora nel territorio italiano, ai fini dell’esecuzione della pena detentiva in Italia conformemente al diritto interno.

Ha osservato il giudice delle leggi che la declaratoria di illegittimità si imponeva per rispettare il divieto di discriminazione dei cittadini dell’Unione in base alla nazionalità, divieto sancito dall’art. 18 del Trattato sul funzionamento dell’Unione Europea.

La corretta interpretazione della norma, come più volte ribadito dalla Corte di giustizia, intende accordare una particolare importanza alla possibilità di accrescere le opportunità di reinserimento sociale della persona ricercata, una volta scontata la pena cui essa è stata condannata. In tal senso, il criterio per individuare il contesto sociale, familiare e lavorativo, nel quale si rivela più facile e naturale la risocializzazione del condannato, durante e dopo la detenzione, non è tanto e solo la cittadinanza, ma la residenza stabile, il luogo principale degli interessi, dei legami familiari, della formazione dei figli e di quant’altro sia idoneo a rivelare la sussistenza di un radicamento reale e non estemporaneo dello straniero in Italia.

Pertanto, all’autorità giudiziaria competente spetta accertare la sussistenza del presupposto della residenza o della dimora, legittime ed effettive, all’esito di una valutazione complessiva degli elementi caratterizzanti la situazione della persona, quali, tra gli altri, la durata, la natura e le modalità della sua presenza in territorio italiano, nonchè i legami familiari ed economici che intrattiene nel e con il nostro Paese, in armonia con le nozioni comunitarie di residenza e di dimora e con le indicazioni fornite al riguardo dalla Corte di giustizia.

3.2. Se questa è la ratio della disposizione normativa, come reinterpretata dalla corte costituzionale, la corte di appello non ne ha fatto una corretta applicazione. Infatti, a fronte delle dichiarazioni del P., il quale ha riferito di avere da anni una stabile residenza ed attività di lavoro subordinato in Italia (circostanze nel ricorso documentate da richiesta di iscrizione all’anagrafe avanzata al comune di Marsala il 3/7/2008 e da buste paga ricevute dal maggio 2009 all’aprile 2011 con annesse trattenute fiscali e previdenziali), non ha inteso svolgere alcun approfondimento istruttorio benchè tale facoltà sia prevista dalla Legge M.A.E., art. 16, comma 2, laddove è previsto che "La corte di appello, d’ufficio o su richiesta delle parti, può disporre altresì ogni ulteriore accertamento che ritiene necessario al fine della decisione".

L’ingiustificato rifiuto di approfondimenti istruttori, a fronte di precise allegazioni difensive, impone l’annullamento con rinvio della sentenza.

Provvedere infatti la corte distrettuale a chiedere informazioni ad enti pubblici ed enti previdenziali, nonchè al datore di lavoro, onde valutare la sussistenza del requisito della stabile residenza o dimora, presupposto imprescindibile per il rifiuto di consegna.

A tale incombente deve provvedere la corte di merito in quanto la previsione del ricorso in cassazione anche per il merito (Legge M.A.E., art. 22) attribuisce a questa Corte di legittimità solo la possibilità di verificare pure gli apprezzamenti di fatto operati dal giudice della consegna, ma nessun potere cognitivo sostitutivo o integrativo, e tanto meno istruttorie (cfr. cass. sez. 6, Sentenza n. 13812 del 25/03/2009 Cc. (dep. 30/03/2009), Rv. 243415; Cass. Sez. 6, Sentenza n. 3461 del 16/01/2007 Cc. (dep. 30/01/2007), Rv. 235476).

Gli atti vanno, pertanto, trasmessi alla Corte d’appello di Palermo, mandando alla Cancelleria di provvedere alle incombenze di cui alla L. n. 69 del 2005, art. 22, comma 5.

P.Q.M.

Annulla l’impugnato provvedimento con rinvio ad altra sezione della Corte di Appello di Palermo.

Manda alla cancelleria per gli adempimenti di cui alla L. n. 60 del 2005, art. 22, comma 5.

Testo non ufficiale. La sola stampa del bollettino ufficiale ha carattere legale.

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