Cass. pen. Sez. V, Sent., (ud. 24-06-2011) 25-08-2011, n. 32844 Associazione per delinquere

Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole direttore del sito giuridico http://www.gadit.it/

Svolgimento del processo – Motivi della decisione

Propone ricorso per cassazione S.N. avverso la ordinanza del Tribunale del riesame di Palermo in data 31 dicembre 2010 con la quale è stata confermata la ordinanza applicativa della misura cautelare della custodia in carcere in relazione alle contestazioni provvisorie indicate come segue:

– capo 16) concorso (con L.P.S., Lo.Pi.

S., C.G., Ci.Do. e L.V. G.) nel tentativo di estorsione aggravata, anche dalla L. n. 152 del 1991, art. 7, in danno di Cr.An.;

– capo 30) partecipazione ad associazione, operante in Palermo nel 2005, finalizzata al commercio di sostanze stupefacenti (unitamente a D.G., D.M.R., Lo.Pi.Sa. e N. A.);

– capo 31) partecipazione ad altra associazione dello stesso tipo di cui al capo che precede, operante anche su altre parti del territorio nazionale ed estero fino al 2008, unitamente a B.A., N.A., D.P.F.;

– capo 32) concorso, con i soggetti di cui al capo che precede, nella detenzione e vendita di cocaina.

Si era trattato di accuse originate sia dagli esiti delle perquisizioni e sequestri effettuati all’atto della cattura dei L. P., sia dalle dichiarazioni di collaboratori di giustizia.

In particolare la prima accusa era stata mossa sulla base del rinvenimento nel covo dei L.P. di un nastro per macchina da scrivere sul quale la Polizia scientifica era riuscita a rilevare le impronte di una precedente scrittura. In tale missiva, che poi si accertava – sulla base di una serie di elementi indiziari tra i quali anche la decifrazione di codici – essere stata diretta al ricorrente, Lo.Pi.Sa. chiedeva, nell’ottobre 2007, al destinatario, notizie di una certa somma di 50 milioni che tal " Cr." doveva loro impegnando l’interlocutore a darsi da fare per recuperarla. Era poi stato accertato che il nome indicato nella missiva era quello di un imprenditore effettivamente taglieggiato da organizzazioni mafiose che gli avevano richiesto, senza ottenerla, la somma in questione.

Il Tribunale argomentava poi un ragionevole convincimento circa il fatto che nel periodo in cui S. aveva goduto di libertà (tra agosto e novembre 2007) aveva potuto incontrare Lo.Pi.Sa., latitante. Di tale incontro si era fatto promotore il fratello del ricorrente, M., come da quest’ultimo comunicato al primo durante un colloquio in carcere, debitamente intercettato.

Il Tribunale osservava comunque che, tenuto conto la caratura mafiosa dell’estensore del messaggio (nota al S. che con il medesimo era stato già imputato e condannato per partecipazione ad associazione mafiosa), la esistenza del biglietto in sè era dimostrativa del fatto che S.N. era inserito a pieno titolo nel circuito delle relazioni illecite finalizzate ad estorcere la somma di 50000 Euro a Cr..

In ordine alle restanti contestazioni il Tribunale osservava essere state acquisite le convergenti e plurime dichiarazioni dei collaboratori di giustizia F.F., N.A. e B.A..

Deduce il ricorrente:

1) il vizio di motivazione e la violazione di legge in ordine alla contestazione di tentata estorsione.

Non sarebbe plausibile la motivazione riguardante la eventualità dell’incontro personale tra Lo.Pi.Sa. e S.N. durante i mesi di libertà che il primo aveva goduto nel 2007. Il Tribunale aveva confuso il canone della possibilità con quello della elevata probabilità.

In secondo luogo sarebbe rimasto indimostrato che il biglietto scritto dal Lo.Pi.Sa. effettivamente pervenne nelle mani del S.N.. Posto poi che Cr. ha riferito di essere stato oggetto di una prima richiesta estorsiva nell’ottobre 2007 e successivamente da altra porta in essere dal coindagato L.V., sarebbe rimasto ugualmente non argomentato il collegamento tra il L. V. e il ricorrente, di nuovo tornato in carcere;

2) la violazione di legge e il vizio di motivazione in relazione alle ulteriori contestazioni di reato.

Gli elementi indiziari a sostegno di tali ipotesi sarebbero dati dalle dichiarazioni dei collaboratori di giustizia che però non risultano assistite da riscontri individualizzanti ; esse non risultano neppure sottoposte ad adeguato vaglio sulla attendibilità e sulla convergenza.

In particolare le dichiarazioni accusatone del F. risultano formulate non sin dal primo interrogatorio ma solo a partire del luglio 2009 dopo che ebbe ad ascoltare l’interrogatorio del coimputato N.;

3) la violazione dell’art. 297 c.p.p., comma 3, posto che i fatti oggetto della presente ordinanza erano già tutti noti all’atto della adozione di precedente ordinanza di custodia cautelare nei confronti del medesimo ricorrente il quale dunque aveva diritto alla retrodatazione della data di inizio di esecuzione della custodia cautelare.

Il ricorso è infondato e deve essere rigettato.

Il primo motivo è invero inammissibile perchè sostanzialmente volto a sollecitare un non consentito giudizio sul merito da parte della Cassazione.

Tutti gli elementi gravemente indiziari a sostegno della ipotesi accusatoria sono stati adeguatamente vagliati dal Tribunale della libertà il quale quindi ha reso una ricostruzione del tutto plausibile, tale da sottrarsi all’ulteriore sindacato di questa Corte.

Il rinvenimento del biglietto dall’inequivocabile tenore e la sua destinazione al S. sono stati razionalmente ritenuti dal Tribunale come elementi gravemente sintomatici della intraneità del S. al progetto criminoso, passato anche alla fase attuativa come riferito dalla persona offesa e volto a ottenere da quest’ultima il pagamento di un "pizzo" per avere costei realizzato opere immobiliari sul territorio dominato dalla cosca mafiosa di interesse per il ricorrente.

Oltre che versati in fatto risultano dunque del tutto incapaci di incidere sulla tenuta di tale ragionamento i dubbi sollevati dalla difesa circa la effettività o meno di un incontro fisico tra Lo.

P.S. e S.N. durante il periodo in cui questi rimase libero nel 2007; la consegna del biglietto non è infatti legata indissolubilmente alla eventualità di un simile incontro, anzi è smentita posto che l’incontro avrebbe consentito il raggiungimento dello scopo perseguito coll’invio della missiva.

Il secondo motivo è in parte infondato e per taluni aspetti inammissibile.

E’ infondato laddove denuncia la illegittimità di indizi che, nel caso di specie, sarebbero stati individuati in dichiarazioni di collaboratori di giustizia non corroborate da riscontri esterni.

In verità la motivazione del provvedimento impugnato si snoda nella ricostruzione sistematica ed analitica di dichiarazioni accusatone dei tre collaboratori, con sottolineatura proprio dei numerosi elementi di coincidenza e di convergenza.

Sul punto la giurisprudenza è chiara nell’ammettere che, in tema di valutazione della prova o anche degli indizi, i riscontri esterni alle chiamate in correità possono essere costituiti anche da ulteriori dichiarazioni accusatone, le quali devono presentare il carattere della convergenza, della indipendenza e della specificità, nel senso che la c.d. convergenza del molteplice deve essere sufficientemente individualizzante e riguardare sia la persona dell’incolpato sia le imputazioni a lui ascritte, fermo restando che non può pretendersi una completa sovrapponibilità degli elementi d’accusa forniti dai dichiaranti, ma deve privilegiarsi l’aspetto sostanziale della loro concordanza sul nucleo centrale e significativo della questione fattuale da decidere (Rv. 239744).

La difesa prova invero a rimarcare il mancato rispetto di tali ultimi canoni (soprattutto quello della indipendenza) ma lo fa inammissibilmente mediante la allegazione di circostanze di fatto che non risultano denunciate anche al giudice del merito: circostanze che, dunque, questa Corte non può apprezzare in via diretta essendo il giudice biella motivazione, nel senso della sua logicità e completezza rispetto alle sollecitazioni specificamente devolutegli dalla parte.

Per quanto infine concerne il terzo motivo lo stesso si rivela manifestamente infondato alla luce dei principi espressi in proposito dalla giurisprudenza di questa Corte, già regolarmente citati nel provvedimento impugnato: nel procedimento di riesame, cioè, non è deducibile la questione relativa all’inefficacia sopravvenuta dell’ordinanza di custodia cautelare per decorrenza dei termini di fase, in relazione all’asserita contestazione a catena, poichè il giudizio di riesame è preordinato alla verifica dei presupposti legittimanti l’adozione del provvedimento cautelare, e non anche di quelli incidenti sulla sua persistenza (Rv. 239016 Massime precedenti Conformi: N. 41044 del 2005 Rv. 232697; Rv. 237991; Rv. 226286; Rv.

228053; Rv. 237991).

P.Q.M.

Rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese del procedimento.

Testo non ufficiale. La sola stampa del bollettino ufficiale ha carattere legale.

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