Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole direttore del sito giuridico http://www.gadit.it/
Svolgimento del processo – Motivi della decisione
Propone ricorso per cassazione L.G., parte civile (costituita in qualità di genitore esercente la potestà sul figlio minore C.V.) nel procedimento iscritto a carico di P.F. in ordine ai reati di lesioni personali volontarie aggravate in danno del C. e minacce gravi contro la medesima parte offesa.
Il Tribunale aveva assolto l’imputato perchè il fatto non sussiste non ritenendo credibile la versione della persona offesa e la Corte di appello di Reggio Calabria, adita dalla parte civile per i soli interessi civili, con la sentenza oggi impugnata pronunciata il 21 ottobre 2010, aveva confermato la pronuncia del giudice di primo grado.
Deduce la ricorrente la violazione di legge ( artt. 582 e 612 c.p.) e il vizio di motivazione.
La Corte, in primo luogo, avrebbe valorizzato la dichiarazione d’alibi fornita dal teste Ce. (che aveva affermato che l’imputato, al momento in cui sarebbe stato commesso il reato, si trovava in casa sua) mentre tale ricostruzione contrasterebbe con l’orario in cui i Carabinieri, chiamati dalla madre del ragazzo, avevano invece visto il prevenuto sul luogo dei fatti, subito dopo il loro verificarsi.
Inoltre non si era considerato che il Ce. era il genero dell’imputato cui era, ciononostante, dato credito, mentre alla madre della persona offesa lo stesso credito era stato negato in ragione di rilievi assolutamente inconferenti.
Era stata trascurata la valenza probatoria del certificato medico prodotto dalla persona offesa.
In ordine al reato di minacce poi, vi erano le dichiarazioni conformi del ragazzo e di sua madre.
Il ricorso è inammissibile perchè con esso vengono fatte valere ragioni diverse da quelle che sono assoggettabili al vaglio della Cassazione.
Le prove sulla effettiva compromissione dell’imputato nei fatti-reato ipotizzati a suo carico sono passate al vaglio di due ordini di giudici di merito che hanno concordemente escluso la relativa valenza dimostrativa.
In particolare i giudici dell’appello, sia pure ai soli effetti civili della pronuncia evocata, hanno ribadito che le perplessità evidenziate dal Tribunale sulla responsabilità del ricorrente non potevano dirsi superate dagli elementi valorizzati nell’atto di appello.
La Corte ha cioè dato atto della incongruenza della versione della persona offesa rispetto alle emergenze obiettive acquisite soffermandosi sulla dimostrata non veridicità del movente della azione asseritamente aggressiva del ricorrente e sulla eloquenza del certificato medico che attestava lesioni modestissime, reputate non compatibili con la dinamica della aggressione narrata dal ragazzo e invece compatibili con ordinari lavori manuali che il C. stava eseguendo in campagna.
La Corte ha attribuito un particolare peso indiziario al fatto che vi erano state pregresse contrapposizioni fra le famiglie dei protagonisti della odierna vicenda, sempre vinte anche nella sede giudiziaria dall’imputato che se ne era fatto promotore.
La motivazione così esibita si rivela del tutto congrua e plausibile e le censure del ricorrente si atteggiano ad improprie sollecitazioni, rivolte a questo giudice della legittimità, a rivisitare il compendio probatorio e indiziario già compiutamente analizzato dai giudici del merito.
E’ infatti da escludere che nella motivazione della sentenza impugnata sia stato dato un peso rilevante e tanto meno decisivo alle dichiarazioni del teste Ce. così come è del tutto infondato sostenere, come fa la ricorrente, che il tenore del certificato medico sarebbe stato ignorato.
Anche la deposizione della vittima come quella della madre hanno formato oggetto di puntuale disamina da parte della Corte che ha motivatamente rappresentato le ragioni del convincimento raggiunto a proposito della inattendibilità della versione degli autori delle accuse nei termini sopra ricordati.
Ha posto in evidenza più volte questa Corte che in tema di vizi della motivazione, il controllo di legittimità operato dalla Corte di cassazione non deve stabilire se la decisione di merito proponga effettivamente la migliore possibile ricostruzione dei fatti, ne1 deve condividerne la giustificazione, ma deve limitarsi a verificare se tale giustificazione sia compatibile con il senso comune e con i limiti di una plausibile opinabilità di apprezzamento (rv 215745).
Alla inammissibilità consegue, ex art. 616 c.p.p., la condanna della ricorrente al versamento, in favore della Cassa delle Ammende, di una somma che appare equo determinare in Euro 1.000,00.
P.Q.M.
Dichiara inammissibile il ricorso e condanna la ricorrente al pagamento delle spese del procedimento e a versare alla Cassa delle Ammende la somma di Euro 1.000,00.
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