Cass. civ., sez. III 20-09-2006, n. 20328 IMPUGNAZIONI CIVILI – CASSAZIONE – RESPONSABILITÀ CIVILE – IMPUGNAZIONI CIVILI – Sinistro stradale – Uscita di strada in tratto non delimitato da guard- Comportamento omissivo

Svolgimento del processo

§1. (A) e (B), nel dicembre 1994, convenivano in giudizio, avanti al Tribunale di Chiavari, il Comune di Zoagli per sentirlo condannare al risarcimento dei danni sofferti in conseguenza della morte della madre convivente (C), avvenuta il 17 dicembre 1989 allorché, nel mentre percorreva, alla guida della sua autovettura, la strada comunale da Zoagli alla frazione di Sant’Ambrogio, giunta in prossimità di un bivio situato immediatamente dopo una curva, aveva perso il controllo dell’autovettura ed era precipitata nella sottostante strada privata, decedendo successivamente in ospedale. A sostegno della domanda gli attori assumevano che il Comune era responsabile del fatto, quale ente proprietario della strada, ai sensi dell’art. 2043 cod. civ., in quanto il manto stradale presentava carenze di manutenzione, essendo logoro e sdrucciolevole, e non era stato mai rifatto ed inoltre in quanto mancava qualsiasi segnalazione di pericolo, che sarebbe stata necessaria, per la mancanza sia di condizioni di visibilità, a causa della presenza di alberi che si protraevano sulla strada, sia di mezzi di contenimento. La causa, non iscritta a ruolo, veniva riassunta e ne seguiva la costituzione del Comune, che contestava la propria responsabilità, sostenendo che il sinistro non era dovuto ad un insidia stradale, e chiedeva di essere autorizzata a chiamare in causa la s.p.a. (Y), sua assicuratrice per la responsabilità civile, provvedendo, peraltro, a svolgere la domanda di garanzia con autonomo giudizio, nel quale detta società si costituiva e sosteneva che il Comune non aveva alcuna responsabilità, giacché nella specie difettava la imprevedibilità del pericolo da parte della de cuius, trattandosi di strada tortuosa, priva di barriere di protezione e scarsamente illuminata, onde l’accaduto era dovuto alla colpa della stessa, che non aveva adeguato la velocità e la condotta di guida a quella situazione obiettiva. Riuniti i giudizi ed istruita la causa con prove testimoniali e documenti fotografici acquisiti nell’ambito del procedimento penale instauratosi sulla vicenda e conclusosi con decreto di archiviazione, l’adito Tribunale, con sentenza del 20 aprile 1999, condannava il Comune in solido con la (Y) nei limiti della polizza assicurativa al risarcimento agli attori del danno morale, liquidato in lire 40.000.000 per ciascuno, e di quello patrimoniale in lire 7.000.000, di cui 2.000.000 per spese funerarie e 5.000.000 per danni all’autovettura, oltre gli accessori.

§2. La sentenza veniva appellata dal Comune e, nella resistenza degli (A) e (B), che svolgevano appello incidentale, nonché con la costituzione della società assicuratrice, la Corte d’Appello di Genova, con sentenza del 17 dicembre 2002, accoglieva l’appello del Comune e, in riforma della sentenza di primo grado, rigettava la domanda degli (A) e (B) con compensazione integrale delle spese dei due gradi. La sentenza ha rovesciato l’esito del giudizio di primo grado assumendo che nella specie la strada (per quanto era emerso dal rapporto dei Carabinieri, dalle testimonianze e dalle fotografie in atti), nel punto in cui era avvenuto il sinistro, presentava «le tipiche caratteristiche di un percorso viario dell’entroterra ligure connotato da andamento curvilineo, ubicato fuori dal centro abitato e scarsamente trafficato, le cui condizioni di usura del manto stradale, di insufficiente illuminazione, di mancanza di segnaletica verticale ed orizzontale nonché di guardrail, erano al pari dell’esistenza dell’incrocio con la strada privata via Cornice di S. Ambrogio, non solo oggettivamente visibili, ma addirittura note a chi, abitando nella zona, avesse conoscenza dello stato dei luoghi». Tale conoscenza «escludeva il requisito soggettivo dell’imprevedibilità della situazione anzidetta», tenuto conto che la (C) percorreva abitualmente la strada e, quindi, per le su condizioni doveva essere conscia della necessità di effettuare il percorso con particolare cautela, specie in considerazione dell’ora serale e del fatto che pioveva. Inoltre, rappresentava una circostanza di valore neutro il fatto che il Comune, successivamente al sinistro, avesse effettuato interventi di collocazione di segnaletica e paracarri nel tratto di strada e provveduto alla manutenzione ed al rifacimento, atteso che in tal modo il Comune aveva esercitato un potere discrezionale e che l’omesso esercizio precedente poteva trovare giustificazione in esigenze di bilancio, onde non costituiva il relativo comportamento un’ammissione di responsabilità. §3. Contro questa sentenza hanno proposto ricorso per cassazione gli (A) e (B), sulla base di due motivi. Hanno resistito con distinti controricorsi il Comune di Zoagli e la (Y).

Motivi della decisione

§1. Con il primo motivo si deduce «violazione o falsa applicazione dell’art. 2051 c.c. e dell’art. 112 c.p.c. (art. 360 n. 3 c.p.c.), nonché omessa e contraddittoria motivazione in ordine ad un punto decisivo della controversia». La Corte territoriale avrebbe omesso di pronunciarsi sull’esistenza di una responsabilità ai sensi dell’art. 2051 cod. civ. Già nella citazione in primo grado era stata invocata tale responsabilità, in quanto essi ricorrenti avevano sostenuto che «le cause (dell’evento) mortale devono essere attribuite all’amministrazione comunale quale ente proprietario della strada» e, successivamente, l’invocazione sarebbe stata da cogliere nella pagina 1 della memoria 9 gennaio 1997 (precisamente nell’espressione «diverso invece l’atteggiamento che si tiene per ottenere un risarcimento ai sensi dell’art. 2043 e/o 2051 c.c. in sede civile per il danno che la vicenda ha loro cagionato»), nella pagina 2 della comparsa conclusionale 17 ottobre 1997 (precisamente nell’espressione «parte attrice? affermava in sede civile la responsabilità del Comune, proprietario della strada, nella morte della madre per omissione del dovere di osservanza oltre che delle norme vigenti in materia di sorveglianza/gestione/manutenzione del demanio stradale comunale» previste dal C.d.S. dlg. 285/92 e dpr 495/92), anche delle più comuni norme di prudenza e diligenza ex art. 2043 c.c. in materia di responsabilità aquiliana o per norma meglio vista (2051 c.c. ecc.), e nelle pagine 2 e 3 della comparsa di risposta e appello incidentale del 22 novembre 2000 (precisamente nell’espressione «parte attrice sosteneva la responsabilità dal Comune di Zoagli, quale ente proprietario della strada, per omissione non solo del dovere di osservanza delle norme vigenti in materia di sorveglianza-gestione-manutenzione della strada ma anche dalle più comuni norme di prudenza e diligenza ex art. 2043 c.c. e comunque sotto il profilo di quanto disposto dall’art. 2051 c.c.»).

D’altro canto la stessa sentenza del Tribunale di Chiavari, ad avviso dei ricorrenti, sembrerebbe avere accolto la domanda tanto alla stregua dell’art. 2043 che dell’art. 2051 cod. civ., come rivelerebbe il seguente passo della motivazione (a p. 5 della sentenza) : «il sinistro che ha causato la morte della sig.ra (C) in (X), madre degli attori, causalmente riconducibile oltreché al pessimo stato di manutenzione di quel tratto di strada ove è avvenuto il sinistro, ed alla carenza di illuminazione al momento dell’incidente, anche al fatto che il luogo in cui è avvenuto il sinistro nascondeva insidie e pericoli non visibili neppure ipoteticamente e genericamente segnalati». Sulla base di tali elementi si sostiene che la Corte territoriale, dopo avere escluso la responsabilità ai sensi dell’art. 2043 cod. civ., avrebbe dovuto esaminare la responsabilità del Comune alla stregua dell’art. 2051 cod. civ.

Il motivo si articola, quindi, in una serie di argomentazioni che tendono a dimostrare che nella specie la responsabilità ai sensi di tale norma sarebbe sussistita nonostante la demanialità del bene ed il suo uso generalizzato da parte degli utenti.

§1.1. Il motivo non è fondato.

Va premesso che, come di recente si è rilevato, la differenza fra l’omessa pronuncia di cui all’art. 112 cod. proc. civ. e l’omessa motivazione su un punto decisivo della controversia di cui al n. 5 dell’art. 360 cod. proc. civ. si coglie nel senso che nella prima l’omesso esame concerne direttamente una domanda od un’eccezione introdotta in causa (e, quindi, nel caso del motivo d’appello uno dei fatti costitutivi della domanda di appello), mentre nel caso dell’omessa motivazione l’attività di esame del giudice che si assume omessa non concerne la domanda o l’eccezione direttamente, bensì una circostanza di fatto che, ove valutata avrebbe comportato una diversa decisione su uno dei fatti costitutivi della domanda o su un’eccezione e, quindi su uno dei fatti cosiddetti principali della controversia (Cass. n. 5444 del 2006). Peraltro, nella specie non si pone un problema di interpretazione del motivo ai fini della riconduzione all’uno o all’altro vizio, atteso che le argomentazioni con le quali il motivo è articolato sono senza dubbio riconducibili all’omissione di pronuncia ai sensi dell’art. 112 cod. proc. civ., addebitandosi al giudice d’appello di avere omesso l’esame della vicenda alla stregua dell’art. 2051 cod. civ. Ciò premesso, il motivo così inquadrato è privo di pregio, in quanto: a) in disparte la questione del se la domanda ai sensi dell’art. 2051 potesse ritenersi proposta già con la citazione introduttiva del giudizio o comunque con la memoria cui i ricorrenti hanno fatto riferimento e pur ammettendolo, dall’esame degli atti emerge che la sentenza di primo grado – che si rinviene nel fascicolo d’ufficio della Corte d’Appello – aveva chiaramente affermato la responsabilità ai sensi dell’art. 2043 (come risulta proprio dalla pagina 5), contrariamente a quanto affermato dai ricorrenti, i quali, del resto, per sostenere il contrario evocano un passo motivazionale che, riferendosi al concetto di insidia, è certamente riconducibile alla responsabilità ai sensi di quella norma, tradizionalmente imperniata su quel concetto;

b) una volta considerato che, in conseguenza, la questione dell’applicabilità dell’art. 2051 cod. civ., in quanto tale norma non era stata applicata dal giudice di primo grado, non poteva risultare automaticamente devoluta al giudice d’appello per effetto dell’appello principale, si deve rilevare che altrettanto infondato è l’assunto dei ricorrenti di avere fatto valere quella questione con la comparsa di risposta recante l’appello incidentale, giacché le espressioni con le quali essa si vorrebbe riproposta risultano contenute nella parte della comparsa dedicata al riassunto dello svolgimento processuale e per ciò solo non possono in alcun modo, secondo i principi di buona fede processuale, reputarsi idonee a ribadire nel giudizio d’appello, in vista della devoluzione nascente dall’appello principale del Comune, la prospettazione ipoteticamente fatta valere, in primo grado circa l’applicabilità dell’art. 2051 cod. civ. Invero, il ribadire tale prospettazione, se non postulava la proposizione di un appello incidentale (si veda, in proposito, da ultimo Cass. n. 17764 del 2005), ma poteva avvenire con la semplice riprospettazione nella comparsa della relativa questione di qualificazione, purtuttavia esigeva, perché il giudice d’appello ne fosse investito, l’uso di espressioni idonee al raggiungimento di tale scopo, che non possono in alcun modo intravedersi, non solo per la sede, ma anche per il loro obiettivo tenore per come sopra riferito, in quelle indicate dai ricorrenti.

Non può, pertanto, in alcun modo sostenersi che la corte territoriale abbia omesso l’esame della questione di qualificazione della vicenda alla stregua dell’art. 2051 cod. civ., in quanto tale questione non era stata prospettata dai ricorrenti.

ÿ, poi, appena il caso di rilevare che il danneggiato da un incidente stradale, che nei gradi di merito abbia dedotto la responsabilità dell’ente proprietario della strada sotto il profilo della mancata eliminazione di una situazione di pericolo occulto (cosiddetta insidia o trabocchetto), non può dedurre per la prima volta in sede di legittimità la questione della responsabilità dello stesso a norma dall’art. 2051 cod. civ., trattandosi di norma che implica, sul piano eziologico e probatorio, nuovi e diversi accertamenti, inammissibili in sede di legittimità (Cass. sez. un. n. 10893 del 2001). Ne consegue – ma lo si rileva per mera completezza, atteso che ne mancano i presupposti – che non gioverebbe ai ricorrenti nemmeno un’interpretazione del motivo nel senso della postulazione per la prima volta avanti a questa Corte della qualificazione dell’azione alla stregua dell’art. 2051 cod. civ. §2. Con il secondo motivo si denuncia «violazione o falsa applicazione dell’art. 2043 c.c. (art. 360 n. 3 c.p.c.), nonché omessa insufficiente e contraddittoria motivazione in ordine ad un punto decisivo della controversia (art. 360 n. 5 c.p.c.) ».

Sulla premessa che l’avere la (C) subìto un malore nei momenti antecedenti il sinistro era rimasta solo un’ipotesi e comunque anche dando per vera tale circostanza, si assume che già con la citazione introduttiva di giudizio e poi con la memoria del 9 gennaio 1997 (in primo grado) si era sostenuto che il sinistro era stato causato, oltre che dal cattivo stato di manutenzione della sede stradale, dall’assenza, non solo di appositi segnali e di illuminazione, ma «anche di qualsiasi mezzo di contenimento, paracarri, guardrail, la cui installazione era stata più volte sollecitata dai proprietari delle abitazioni sottostanti al luogo dell’incidente se ne fa discendere che, essendo certo che la (C), dopo aver perso il controllo del veicolo, era caduta nel dirupo sottostante alla strada, la Corte territoriale «avrebbe dovuto quindi domandarsi quali conseguenze avrebbe potuto avere la perdita di controllo da parte della (C) del veicolo» se nel punto in cui si era verificata l’uscita di strada vi fosse stato un guardrail. In particolare, la Corte genovese si sarebbe dovuta domandare se, «in base agli ordinari criteri della regolarità causale, la mancanza di una barriera fosse idonea a provocare eventi analoghi a quello che si era in concreto verificato o ad aggravarne le conseguenze stabilendo sulla scorta di tale apprezzamento se essa costituisse o no una condizione necessaria (non dell’impatto), ma dell’evento di danno; e solo in esito a tale valutazione, avrebbe poi potuto affermare che (eventualmente) la causa prossima (uscita di strada dovuta alla guida imperita, ad un malore, alla cattiva manutenzione della sede stradale o ad altre cause) era connotata da peculiarità tali da essere da sola sufficiente a determinarlo». In sostanza ci si duole che la Corte genovese non abbia preso in considerazione quale incidenza causale avrebbe potuto avere la presenza del guardrail e, al riguardo, si sottolinea: a) che già altre autovetture erano precipitate nel punto del sinistro, come era emerso dalla dichiarazione del teste (D), escusso il 3 dicembre 1997, il quale aveva dichiarato di sapere che si erano verificati altri incidenti su quella strada e che «ivi erano altre vetture sul bordo della strada»; b) che era stata depositata con la citazione in riassunzione una nota, nella quale «un abitante della zona teatro del sinistro», il signor (E), sollecitava il posizionamento di un guardrail nei punti pericolosi; c) che la velocità di marcia della (C) non era tale da far supporre che l’autovettura non sarebbe stata contenuta dalle barriere di protezione. Sotto tali profili, si deduce che la Corte territoriale, omettendo di prendere in considerazione la rilevanza che avrebbe potuto avere la presenza di un guardrail, avrebbe violato i principi in tema di rapporto di causalità, ignorando, in particolare quello, secondo cui non è consentito escludere l’efficienza causale tra una condotta ed un evento di danno solo perché è incerto il grado di incidenza causale di altra concausa, dovendo invece positivamente risultare che questa è stata da sola sufficiente a determinarlo (viene citata Cass. n. 488 del 2003).

§2.1. Il motivo non merita accoglimento, in quanto inidoneo a giustificare la cassazione della sentenza per come proposto. Esso, infatti, per quanto attiene al profilo inerente l’affermata violazione di legge non è idoneo a prospettarla, con la conseguenza che, anche per quanto attiene alla censura ai sensi del n. 5 dell’art. 360 cod. proc. civ., i profili che, in ipotesi, dovrebbero individuarla, in quanto funzionali pur sempre alla censura di violazione di legge, restano anch’essi del tutto inidonei.

Invero, i ricorrenti, quanto alla violazione di legge, si sono limitati a dedurre che l’impugnata sentenza avrebbe fatto cattiva applicazione dei principi di diritto in tema di nesso di causalità, in quanto avrebbe omesso di considerare l’efficienza causale, se del caso concorrente con altri elementi (come l’eventuale imprudente condotta di guida della (C), della mancanza sul luogo del sinistro della presenza di un guardrail. In tal modo, il motivo prospetta la violazione di legge sotto il profilo dell’omessa considerazione del rilievo causale di un fatto negativo, rappresentato dalla mancanza del guardrail, sostanzialmente ravvisando in ciò solo detta violazione.

Ma così facendo il motivo omette ogni rilievo sull’imputabilità sul piano normativo di tale mancanza al Comune resistente.

Poiché l’omissione di un certo comportamento, come emerge dalla norma dell’art. 41 cod. pen. rileva, quale condizione determinativa del processo causale dell’evento dannoso, soltanto quando si tratti di omissione di un comportamento imposto da una norma giuridica specifica (omissione specifica), purché la condotta omissiva non sia essa stessa considerata fonte di danno dell’ordinamento (come, sul piano penale, per i reati omissivi propri) ovvero, in relazione al configurarsi della posizione del soggetto cui si addebita l’omissione, siccome implicante l’esistenza a suo carico di particolari obblighi di generica prevenzione dell’evento poi verificatosi e, quindi, di un generico dovere di intervento (omissione generica) in funzione dell’impedimento di quell’evento, è di tutta evidenza che, a differenza di quando si consideri come parte di una serie causale un fatto positivo, il giudizio relativo alla sussistenza del nesso causale non può limitarsi alla mera valutazione della materialità fattuale, bensì postula a monte la preventiva individuazione dell’obbligo specifico o generico di tenere la condotta omessa in capo al soggetto. L’individuazione di tale obbligo si connota come preliminare per l’apprezzamento di una condotta omissiva sul piano della causalità giuridica, nel senso che se prima non si individua, in relazione al comportamento che non risulti tenuto, il dovere generico o specifico che la imponeva non è possibile apprezzare l’omissione dal comportamento sul piano causale. Il rilievo causale dell’omissione, dunque, a differenza di quello del fatto commissivo, non può avvenire soltanto su base naturalistica, cioè della constatazione che una condotta è mancata, ma suppone necessariamente un giudizio normativo, che, appunto, deve seguire quello naturalistico ed evidenziare che la condotta non verificatasi (il fatto mancante) era dovuta specificamente o genericamente dal soggetto cui viene addebitata la responsabilità. Tale giudizio, peraltro, non ha niente a che vedere con quello sull’attribuibilità della condotta omissiva sul piano soggettivo a colui che era tenuto alla condotta positiva e, quindi, con il giudizio sull’elemento soggettivo dell’illecito, che postula la tenuta del comportamento omissivo con dolo o colpa e, dunque, il relativo concreto accertamento, e che si colloca, pertanto, su un piano successivo a quello dell’accertamento del nesso di causalità e presuppone quest’ultimo (si veda, tuttavia, in un’ottica che ritiene sussistente in relazione all’omissione sul piano del nesso di causalità un intreccio con la colpa, e, dunque, con l’elemento soggettivo, Cass. n. 11609 del 2005). Si deve, dunque, considerare che, quando si affronta il problema dalla causalità omissiva punto essenziale è l’individuazione dall’obbligo giuridico specifico o generico che imponeva la tenuta della condotta omessa e non è possibile ricostruire la serie causale, sulla base della almeno iniziale applicazione del noto principio della c.d. equivalenza condizionale (teorica c.d. conditio sine qua non), cioè cominciando con l’attribuire rilievo a tutte le condizioni che appaiono causalmente rilevanti per la determinazione dell’evento e, quindi, considerando l’oggettiva materiale mancanza di una certa condotta come tale, o meglio di quelli che avrebbero dovuto essere i suoi effetti, senza domandarsi se tale oggettiva mancanza si ricolleghi all’esistenza in capo ad un soggetto (Id est al soggetto asseritamente danneggiante) di un obbligo giuridico o specifico di tenere la condotta che avrebbe determinato gli effetti di cui si constata la mancanza. La preliminare individuazione di siffatto obbligo deve precedere il momento di apprezzamento successivo della causalità omissiva, che, com’è noto, consiste nell’accertare se l’evento sia effettivamente ricollegabile in tutto od in parte all’omissione, nel senso che esso non si sarebbe verificato se l’agente avesse posto in essere la condotta doverosa impostagli (e, dunque, anche escludendo il rilievo di concause che abbiano potuto rendere irrilevante l’omissione), con l’ulteriore avvertenza che l’evento dannoso deve essere anche riconducibile sua tipologia di eventi che l’obbligo specifico o generico di tenere la condotta omessa intendeva evitare. §2.2. Ciò chiarito, il motivo in esame, per quanto attiene alla violazione di legge, si risolve nell’enunciazione di una erronea applicazione dei principi sul nesso di causalità, che, in relazione alla circostanza materiale risultante per effetto della condotta che si assume omessa nella specie dalla Pubblica amministrazione (il Comune di Zoagli), cioè la mancanza dell’apposizione del guardrail, vorrebbe farla discendere esclusivamente dalla mancata considerazione da parte della sentenza impugnata di detta circostanza (che effettivamente la stessa sentenza considera pacifica), senza che venga altresì prospettato, come invece era necessario, l’obbligo giuridico specifico o generico che nella specie avrebbe imposto all’epoca del sinistro di realizzare il guardrail in tal modo, il vizio di violazione di legge risulta denunciato in maniera assolutamente inidonea a configurare l’errore nell’applicazione dei principi in tema di nesso di causalità, tenuto conto che i ricorrenti nell’esposizione del motivo, se fanno riferimento ad una sede processuale nella quale avevano sostenuto l’inesistenza del guardrail e assunto la sua necessità (la memoria del 9 gennaio 1997, della quale trascrivono un passo da cui ciò risulta), evocano in tal modo un assunto svolto in modo del tutto generico nelle fasi di merito, del tutto inidoneo a prospettare la fonte dell’obbligo specifico o generico che avrebbe imposto il posizionamento del guardrail. A tale prospettazione, del resto, non provvedono nemmeno nell’esposizione del motivo, posto che non specificano in alcun modo i termini normativi da cui sarebbe dovuta emergere tale necessità, limitandosi a lamentare l’omessa considerazione della mancanza di guardrail. Né, in tale situazione, può ipotizzarsi che sia questa Corte ad individuare nell’esercizio dei poteri di rilevazione d’ufficio in diritto nell’ambito del motivo, se esisteva detto obbligo, posto che ciò supporrebbe inammissibili accertamenti di fatto sulla situazione dei luoghi, ben al di là di quanto emerge dal modo in cui li descrive la sentenza impugnata, riferendosi alle affermazioni del rapporto del sinistro redatto dai Carabinieri.

Si ricorda, all’uopo, che, in ragione della funzione del giudizio di legittimità di garantire l’osservanza e l’uniforme interpretazione della legge, nonché per omologia con quanto prevede la norma di cui al secondo comma dell’art. 384 cod. proc. civ. (là dove consente la salvezza dell’assetto di interessi, per come regolato dalla sentenza di merito, allorquando la soluzione della questione di diritto data dalla sentenza impugnata sia errata e, tuttavia, esista una diversa ragione giuridica, che, senza richiedere accertamenti di fatto, sia idonea a giustificare la soluzione della controversia sancita dal dispositivo della sentenza in relazione alla questione sollevata dal motivo di ricorso), deve ritenersi che, nell’esercizio del potere di qualificazione in diritto dei fatti, la Corte di cassazione può ritenere fondata la questione, sollevata dal ricorso, per una ragione giuridica diversa da quella specificamente indicata dalla parte e individuata d’ufficio, con il solo limite che tale individuazione deve avvenire sulla base dei fatti per come accertati nelle fasi di merito ed esposti nel ricorso per cassazione e nella stessa sentenza impugnata, senza cioè che sia necessario l’esperimento di ulteriori indagini di fatto, fermo restando, peraltro, che l’esercizio del potere di qualificazione non deve inoltre confliggere con il principio del monopolio della parte nell’esercizio della domanda e delle eccezioni in senso stretto, con la conseguenza che resta escluso che la Corte possa rilevare l’efficacia giuridica di un fatto se ciò comporta la modifica della domanda per come definita nelle fasi di merito o l’integrazione di una eccezione in senso stretto (Cass. n. 19132 del 2005).

ÿ comunque da rilevare che, in ragione dell’epoca del sinistro, non esistendo una normativa specifica che imponesse di realizzare il guardrail in una strada come quella su cui esso avvenne (il decreto del Ministro dei Lavori Pubblici del 18 gennaio 1993, n. 223 è successivo e la stessa cosa dicasi dell’art. 2 della l. 22 marzo 2001, n. 85), nella specie verrebbe in rilievo il principio (nella sostanza evocato dalla stessa sentenza impugnata con generico riferimento all’intera situazione del tratto di strada in cui avvenne il sinistro), secondo cui gli enti pubblici che hanno la gestione e l’obbligo di manutenzione di strade ordinarie non sono tenuti a realizzare, in ogni caso, tutte le strutture accessorie ad esse (quali ad es. canali di scolo delle acque, reti di protezione per caduta massi ecc.) né tutte le misure cautelari (muretti laterali, guardrail, segnalazioni luminose ai bordi stradali ecc.) dipendendo l’esigenza di adottare tali misure dalle caratteristiche e dalla natura di ciascuna strada, secondo una valutazione discrezionale della pubblica amministrazione, la quale pertanto potrà dotare di dette protezioni solo alcune parti di una strada e non altre, purché la soluzione di continuità dell’opera protettiva sia visibile per l’utente e purché l’opera, per come in concreto realizzata, non costituisca essa stessa un’insidia e cioè una situazione di pericolo così non visibile e non prevedibile (Cass. n. 10247 del 1998; Cass. n. 6516 del 2004 e Cass. n. 15710 del 2002, entrambe in motivazione; Cass. n. 6388 del 1986, nello stesso senso, sostanzialmente, la giurisprudenza penale: Cass. pen. n. 12826 del 2000; n. 31302 del 2005; n. 23970 del 2004).

Da tanto discende che nella specie sarebbe dovuta risultare la caratterizzazione del tratto di strada, per effetto della mancanza del guardrail nel senso di situazione costituente insidia, cioè di pericolo non visibile e non prevedibile, il che conferma l’accennata necessità di accertamenti di fatto in questa sede preclusi. In base alle svolte considerazioni va, dunque, ribadito che la denunciata violazione di legge è stata prospettata in modo del tutto incongruo.

§2.3. Poiché, sia pure ad altri effetti, nell’esposizione del motivo viene evocata la sentenza n. 488 del 2003 di questa Sezione, sia pure all’effetto di supportare l’erroneità della mancanza di considerazione del rilievo della mancanza del guardrail, si rileva che in quella decisione la Corte cassò con rinvio una decisione di merito, che aveva negato il nesso causale fra la mancanza dello stesso e l’evento, per esservi incertezza circa l’idoneità della presenza del guardrail ad evitare l’evento, ritenendo per questo espressamente irrilevante l’accertamento dell’esistenza dell’obbligo giuridico di posizionamento del guardrail. In quel caso, la motivazione della sentenza impugnata era imperniata sulla negazione del nesso causale per una ragione successiva e prescindere dal rilievo giuridico dell’omissione e, dunque, lo stato processuale era diverso da quello qui scrutinato, in quanto la sentenza aveva espressamente negato (con l’indicata motivazione) rilevanza causale alla mancanza della presenza del guardrail, onde si trattava di censurare in prima battuta siffatta motivazione e non assumeva diretto rilievo l’errore di prospettiva insito nell’avere proceduto al giudizio sul nesso causale prescindendo dalla previa individuazione dell’obbligo giuridico di installare il guardrail.

§2.4. L’incongruità della prospettazione del vizio di violazione di legge rende di riflesso in ogni caso incongrua anche la prospettazione del vizio di cui al n. 5 dell’art. 360 cod. proc. civ., ammesso che potesse in qualche modo effettivamente individuarsi nelle enunciazioni di cui all’esposizione del motivo. §3. Il ricorso è conclusivamente rigettato.

Ricorrono giusti motivi per la compensazione delle spese di lite fra tutte le parti, che, in relazione alla natura ed all’oggetto del giudizio, si ravvisano negli esiti radicalmente contrastanti delle fasi di merito del giudizio, che possono in qualche modo rendere scusabile la proposizione del giudizio di legittimità.

P.Q.M.

La Corte rigetta il ricorso.

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