Cass. civ., sez. Unite 18-09-2006, n. 20076 COMPETENZA CIVILE – COMPETENZA PER TERRITORIO – SOCI E CONDOMINI – Contributi condominiali – Riscossione – Domanda proposta dall’amministratore nei confronti dei condomini

Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole direttore del sito giuridico http://www.gadit.it/

Svolgimento del processo

G. B. ha convenuto il Condominio Villaggio P. n. 1 di D. M. innanzi al GdP di Catanzaro, con opposizione al decreto ingiuntivo emesso nei suoi confronti da quell’ufficio per la somma di lire 485.024 ex adverso pretesa quale quota di pertinenza d’oneri condominiali, eccependo, preliminarmente in rito, l’incompetenza per territorio del giudice adito, su la considerazione che questa dovesse essere determinata con riferimento al luogo ove trovasi, non già l’ufficio de l’amministratore ma l’immobile condominiale, e contestando, nel merito, la propria qualità di condomino in re azione ai contributi richiesti e la regolarità della costituzione del condominio.

Ne ha deciso il giudice di pace di Catanzaro, con sentenza 25 febbraio 2000, respingendo dapprima l’eccezione in rito sul rilievo che nella città aveva domicilio l’ufficio del condominio cui affluivano tutti i pagamenti delle quote condominiali, e quindi quelle nel merito.

Detta pronunzia G. B. ha impugnato con ricorso per cassazione affidato a due motivi, nel primo dei quali ripropone la questione di competenza denunziando la violazione dell’articolo 23 c.p.c..

Discussa la causa innanzi alla seconda Sezione civile, questa, con ordinanza 28 settembre 2005, ha rimesso la causa al Primo Presidente, avendo rilevato un contrasto d’orientamenti, tra le sezioni semplici ed interno alla medesima sezione, sulla questione se la previsione dell’articolo 23 c.p.c., per la quale la cognizione delle cause tra condomini è devoluta al giudice del luogo in cui si trova la cosa comune, debba trovare applicazione alle sole controversie sul diritto di proprietà od altri diritti inerenti alla disponibilità ed all’uso della cosa comune, ovvero debba essere estesa anche a quelle sulle obbligazioni nascenti pro quota a carico dei singoli condomini dalla loro partecipazione alla comunione.

La causa è stata, quindi, assegnata a queste Sezioni Unite per la soluzione del contrasto.

Motivi della decisione

Come questa Corte ha già avuto occasione d’evidenziare con una pronuncia che già espone, sulla base di una disamina complessiva dell’istituto alla luce anche della prevalente giurisprudenza, tutti i criteri interpretativi necessari ad una corretta applicazione della normativa in materia (Cassazione 6319/03), nel vigente c.p.c., con il quale il legislatore s?è impegnato a realizzare coerenti indirizzi di politica giudiziaria, la competenza per territorio prevede un foro generale ed una serie di fori speciali e la ratio di tali previsioni risiede, quanto all’uno, nell’opportunità che le persone fisiche e giuridiche siano chiamate a comparire al giudice del luogo nel quale è per loro meno oneroso convenire, quanto agli altri, nell’opportunità di prescindere dalla regola generale in funzione del maggior vantaggio che entrambe le parti possano conseguire nel radicare la lite innanzi al giudice del luogo in cui è collocato l’oggetto dei contrapposti interessi, oppure delle particolari esigenze di determinati procedimenti in relazione agli oggetti od ai soggetti.

Quanto ai fori speciali, attesto il fatto stesso che sono individuati, con riferimento ad una specifica loro utilità, in via d’eccezione rispetto alla regola costituita dal foro generale, devesi ritenere, per il principio genus per speciem derogatur, che siano configurati dal legislatore come prevalenti rispetto al foro generale; inoltre, non essendo per essi prevista la facoltà di scelta alternativa viceversa espressamente consentita rispetto al foro generale per le cause relative ai diritti d’obbligazione, devesi ritenere, per il principio ubi lex dixit voluti ubi non dixit noluit, che sia stato loro attribuito il carattere dell’esclusività.

In definitiva, la statuizione del foro speciale esclude sia il foro generale sia quello alternativo.

Ex articolo 23 c.p.c., costituisce foro speciale quello per le cause tra i soci e tra i condomini che, per i sopra richiamati principi, prevale rispetto al foro generale e costituisce un foro esclusivo, in suscettibile di deroga in favore di fori alternativi rimessi alla scelta dell’attore in base a diversi criteri territoriali di collegamento, onde le controversie de quibus devono proporsi necessariamente, davanti al giudice del luogo in cui si trovano i beni comuni o la maggior parte di essi.

Alla previsione della norma in esame, per la prevalente giurisprudenza, vanno ricondotte tutte le ipotesi di comunione ex articolo 1100 Cc e non solo quella dei condomini d’edificio diviso per piano o porzioni di piano (Cassazione 1365/99, 10863/98, 5267/96, 2026/94, 8734/93).

Presupposto per l’applicabilità della stessa è, ovviamente, che sia l’attore sia il convenuto abbiano la qualità di condomino in relazione ai ?beni comuni? o alla maggior parte di essi che si trovino nel luogo ove va incardinato il giudizio; non di meno, sempre per la giurisprudenza prevalente, anche le controversie che insorgono tra l’amministratore del condominio ed il singolo condominio in ordine all’attività di gestione della cosa comune e, particolarmente, alla riscossine dei contribuenti dovuti da ciascun condominio in ragione della sua partecipazione alla comunione, vanno considerate alla stregua delle liti tra condomini e, quindi, regolate, quanto all’individuazione della competenza per territorio del giudice destinato a conoscerne, dalla disposizione dell’articolo 23 c.p.c. (oltre alla già richiamata, Cassazione 2172/04, 12274/02, 2026/94, 8734/93, 9828/92).

Ciò in quanto, l’attività dell’amministrazione del condominio volgendosi in due diverse direzioni, id est nei confronti dei terzi per conto dell’intero gruppo dei condomini e nei riguardi dei singoli partecipanti alla comunione, va in essa ravvisata una diversità di posizioni giuridiche riconducibili, rispettivamente, ai rapporti esterni ed a quelli interni alla sfera condominiale, nei quali ultimi, relativi anche alla riscossione dei contributi condominiali della quale si discute, rappresentando l’amministratore in tale attività gli altri condomini in ragione d’un mandato con rappresentanza, caratterizzato da tratti distintivi in ordine alle modalità di costituzione del rapporto ed al contenuto ?sociale? della gestione, la controversia proposta è in definitiva una lite tra condomini.

Né alla tesi prospettata può utilmente opporsi il dato testuale del riferimento normativo ai ?beni comuni? ed alla cause ?tra condomini? per ritenere che il legislatore abbia inteso includere nell’articolo 23 c.p.c. le sole controversie aventi ad oggetto l’uso delle cose comuni e quelle di carattere reale fra condomini.

Invero, l’argomento letterale sul quale essa precipuamente si fonda, ossia il fatto che l’articolo 23 c.p.c. faccia riferimento alle ?cause tra condomini? e non a quelle tra condominio e condomini, è del tutto fallace, poiché una siffatta distinzione non ha alcun senso ove si consideri che il condominio, a differenza dalla società, non è un oggetto dotato di una propria personalità, sia pure attenuata, o di una propria autonomia patrimoniale rispetto ai soggetti che ne fanno parte, ma si configura come gestione collegiale d’interessi individuali facenti capo a questi ultimi, onde il suo amministratore ? la cui nomina, per altro, è prescritta dall’articolo 1129 Cc soltanto quando i condomini siano più di quattro ? non può considerarsi investito d’un potere di rappresentanza organica ma ha la semplice rappresentanza volontaria di ciascuno dei partecipanti, alla stregua d’un comune mandatario, come dispone espressamente l’articolo 1131 Cc (Cassazione 8734/93, 9628/87, 1720/81, 2668/63).

Ne consegue che qualunque controversia possa insorgere nell’ambito condominiale per ragioni afferenti al condominio, quand’anche veda contrapposto un singolo partecipante a tutti gli altri, ciascuno dei quali è singolarmente rappresentato dall’amministratore, è perciò sempre una controversia ?tra condomini? la cui cognizione ratione loci spetta esclusivamente e senza alternative, in forza del citato articolo 23 c.p.c., al giudice del luogo dove si trovano i beni comuni o la maggior parte di essi.

ÿ arbitraria, dunque, la pretesa di limitare la sfera di applicazione del ripetuto articolo 23 alle liti tra singoli condomini attinenti ai rapporti giuridici derivanti dalla proprietà delle parti comuni dell’edificio o dall’uso e godimento delle stesse, con esclusione di quelle attinenti ai diritti di obbligazione e, in particolare, alla riscossione dei contributi condominiali necessari alla gestione.

Una siffatta limitazione urta, peraltro, contro il decisivo rilievo che, ove per ?cause tra condomini?, ex articolo 23 c.p.c., dovessero intendersi solo quelle a carattere reale testé indicate, non si comprenderebbe la necessità della norma in parola con riferimento al condominio, visto che già il precedente articolo 21 c.p.c. prevede, quale foro speciale per le cause relative a diritti reali immobiliari quello del luogo dove è posto l’immobile o la parte di esso soggetta a maggiore tributo verso lo Stato.

Aggiungasi che la previsione, nella stessa norma e con analoghi criteri, del foro per le cause societarie, per lo più di natura obbligatoria, lascia intendere che si sia inteso soltanto devolvere allo stesso giudice cause altrimenti proponibili innanzi a più fori concorrenti.

La soluzione seguita dalla indicata giurisprudenza dominante, della quale si sono riportate le principali argomentazioni, appare, in tal modo, esaurientemente motivata, potendo il suo percorso argomentativi contare non solo su di una interpretazione del dato letterale della norma alla luce della specificità dell’istituto del condominio, ma anche su di una lettura sistematica della disposizione in coordinamento con le altre norme in tema di forme speciali, in particolare con l’articolo 21 per le cause relative ai diritti reali, ed, infine, sulla considerazione della ratio legis ispiratrice della previsione del foro speciale per le cause condominiali.

Tenuto conto delle considerazioni che precedono, è agevole risolvere la segnalata divergenza d’opinioni che trae origine da tre pronunce (Cassazione, Sezione seconda, 12208/93; 2249/00; Sezione terza, 269/03) le affermazioni delle quali sul thema decidendum, oltre a porsi in contrasto con la ricordata prevalente difforme opinione giurisprudenziale, emergono, tra l’altro, da contesti non significativi.

La sentenza 12208/93 non affronta affatto la questione della competenza territoriale in ordine alle controversi aventi ad oggetto la corresponsione degli oneri condominiali con riferimento all’articolo 23 c.p.c., norma il cui disposto e le problematiche eventualmente poste dalla sua applicabilità nel caso di specie vengono del tutto ignorati, bensì, pedissequamente seguendo gli argomenti del giudice a quo e delle parti, imposta la soluzione della controversia con esclusivo riferimento all’individuazione del luogo d’adempimento dell’obbligazione, che individua nel domicilio del creditore questo ritenendo doversi far coincidere, per il condominio, con quello privato dell’amministratore che lo rappresenta, quindi, in applicazione degli articoli 18 e 20 c.p.c., in relazione a quello stesso luogo individua il giudice competente a decidere della causa.

La tesi seguita nella sentenza in esame è indubbiamente conforme alla prevalente opinione giurisprudenziale in materia, che, tuttavia, si è formata e permane in tema non d’individuazione non del luogo ove debbono svolgersi i giudizi in tema d’adempimento agli oneri condominiali, bensì d’individuazione del luogo ove debba effettuarsi tale adempimento ed ove debbano effettuarsi le notificazioni degli atti giudiziari nei confronti del condominio, giurisprudenza nella quale giustamente si rileva come l’uno e le altre, in mancanza di diverse espresse previsioni del regolamento e/o di locali presso lo stabile comune specificamente destinati all’organizzazione dell’attività condominiale, debbano avere luogo presso il domicilio dell’amministratore.

Vi risultano, dunque, del tutto neglette, non solo il fondamentale argomento a contrario costituito dall’esistenza d’una norma speciale, quella posta dall’articolo 23 c.p.c., la quale stabilisce che per le cause tra condomini è competente il giudice del luogo dove si trova l’edificio condominiale, ma anche, pur facendo riferimento all’amministratore quale mandatario con rappresentanza dei singoli condomini, la sopra riportata prevalente opinione giurisprudenziale, per la quale le controversie che sorgono in sede di riscossione dei contributi dovuti da ciascun condominio per l’utilizzazione delle cose comuni, proprio in ragione di tale qualificazione dell’amministratore, agendo questi, nell’attività di riscossione, in rappresentanza volontaria di ciascuno degli altri condomini, costituiscono liti tra condomini, soggette appunto, quanto alla competenza territoriale, all’articolo 23 c.p.c..

l’ordinanza 269/03, della Terza sezione, invece, si è pronunciata, in effetti, sulla questione e, nella convinzione di dare continuità a quanto già in altre occasioni affermato al riguardo in armonia con la stessa formulazione letterale della disposizione, ha ritenuto che, ai fini dell’applicabilità della disciplina dell’articolo 23 c.p.c. sulla competenza territoriale in ordine alle liti tra i partecipanti alla comunione, debba intendersi per causa vertente tra condomini quella in cui si controverta in tema di rapporti giuridici attinenti al diritto reale di proprietà ed all’uso delle cose comuni, onde la disposizione non possa invocarsi nella diversa ipotesi in cui l’amministratore pretenda nei confronti del singolo condominio il pagamento delle spese condominiali.

A fondamento dell’affermata intenzione di ?dare continuità? all’interpretazione giurisprudenziale della norma, l’ordinanza in esame richiama il solo precedente in termini di Cassazione 2249/00 e, pur dando atto, contestualmente, della difforme opinione espressa, al riguardo, da Cassazione 8734/93 e 12274/02, singolarmente non si sofferma affatto a spiegare per quale ragione accolta l’una piuttosto che l’altra tesi.

La sentenza della seconda sezione 2249/00 è richiamata anche dall’ordinanza che ha denunciato il contrasto.

In proposito deve, tuttavia, osservarsi come la citazione, nell’un caso e nell’altro, di tale precedente non sembri affatto determinante e trovi origine da una lettura non della sentenza quanto piuttosto della sola massima, nella quale è estrapolata l’affermazione per cui «le cause tra i condomini sono quelle in cui si controverte in ordine ai rapporti giuridici attinenti al diritto reale di proprietà ed all’uso delle cose comuni» che, nell’economia della decisione, rappresenta, invece, un obiter dictum apodittico ed, in quanto tale, un evidente lapsus di redazione (quandoque et bonus dormitat Homerus).

La sentenza di cui trattasi risulta, infatti, pronunziata in un giudizio l’oggetto del quale era costituito dal diritto di credito vantato dall’amministratore in rappresentanza dei condomini nei confronti d’un singolo condominio per il pagamento di oneri condominiali, bensì dalla pretesa d’un singolo condominio (nella specie, coerede), che agiva in via surrogatoria avendo soddisfatto il credito dell’amministratore (nella specie, giudiziario di beni ereditari alla riscossione del proprio compenso nei confronti dei condomini tutti, nella specie l’altro coerede); la ratio decidendi, del tutto corretta, nell’escludere la competenza del giudice del forum rei sitae, vi risulta chiaramente indicata nel carattere eminentemente obbligatorio e personale del diritto di rivalsa e dell’azione proposta onde conseguirne il soddisfacimento, fondata sull’anticipazione della somma corrisposta al creditore comune e non sul rapporto di comunione, onde il riferimento, non condivisibile per quanto già evidenziato all’identificazione delle ?cause tra condomini? come cause attinenti ?al diritto reale di proprietà ed all’uso delle cose comuni? vi appare, come già rilevato, superfluo e non determinante ai fini dell’adottata decisione sul punto.

La stessa originaria pretesa dell’amministratore, d’altronde, attenendo ad obbligazione nascente dal rapporto di mandato tra mandatario e mandanti, era estranea al rapporto di condominio, che verte soltanto tra i proprietari delle singole porzioni del bene di pertinenza esclusiva e contestualmente comproprietari delle parti comuni, onde la competenza a conoscere della relativa controversia non poteva essere determinata ex articolo 23 c.p.c. ma doveva necessariamente esserlo ex articoli 18 e 20 c.p.c. (Cassazione 5235/00).

In conclusine, il primo motivo del ricorso, con il quale si è dedotta l’incompetenza per territorio del GdP di Catanzaro ad emettere il decreto ingiuntivo opposto, va accolto e va dichiarata la competenza per territorio del GdP di D.; ne consegue l’assorbimento degli altri motivi di ricorso, concernenti il merito della controversia, la quale, in ragione di quanto sopra, può essere definita in questa sede, ex articolo 384 c.p.c., con l’accoglimento dell’opposizione e la revoca del decreto ingiuntivo opposto in quanto emesso da giudice incompetente.

In considerazione dell’esaminato contrasto giurisprudenziale, si ravvisano giusti motivi per la compensazione delle spese d’entrambe le fasi del presente giudizio.

P.Q.M.

La Corte accoglie il primo motivo di ricorso, dichiara assorbiti gli altri, dichiara la competenza del GdP di D., cassa senza rinvio l’impugnata sentenza in relazione al motivo accolto e, decidendo nel merito, accoglie l’opposizione, revoca il decreto ingiuntivo opposto, compensa le spese d’entrambe le fasi del giudizio.

Testo non ufficiale. La sola stampa del bollettino ufficiale ha carattere legale.

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