Cass. pen. Sez. I, Sent., (ud. 05-07-2011) 01-09-2011, n. 32982 Detenzione, spaccio, cessione, acquisto

Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole direttore del sito giuridico http://www.gadit.it/

Svolgimento del processo – Motivi della decisione

1. Avverso l’ordinanza del Tribunale di Padova, in funzione di giudice dell’esecuzione, con la quale, in data 25 giugno 2010, veniva rigettata la sua domanda volta all’applicazione della disciplina di favore di cui all’art. 671 c.p.p., comma 1, in relazione a quattro sentenze di condanna, tre delle quali per violazione del D.Lgs. n. 286 del 1998, art. 14, comma 5 ter, una per violazione del D.P.R. n. 309 del 1990, art. 73, comma 5, e l’ultima per violazione dell’art. 495 c.p., contestata, questa, con una delle precedenti violazioni del D.Lgs. n. 268 del 1998, art. 14, comma 5 ter, violazioni consumate in (OMISSIS), le prime tre, ed in (OMISSIS) l’ultima, tra il 21.5.2009 ed il 21.1.2010, propone ricorso per cassazione M.A., personalmente, denunciandone l’illegittimità per difetto di motivazione.

2. Lamenta, in particolare, la difesa ricorrente che il giudice del merito ha rigettato l’istanza volta all’applicazione dell’art. 81 c.p., comma 2, in sede di esecuzione delle sentenze di cui innanzi, rilevando la distanza temporale tra le varie condotte e la mancanza di elementi dai quali dedurre l’unicità del disegno criminoso in capo al ricorrente, mentre, in realtà, le violazione relative alla disposizione di cui al D.Lgs. n. 286 del 1998, art. 14 comma 5 ter, alle quali parte istante ha poi limitato l’impugnazione di legittimità, risultano consumate nell’arco di otto mesi e sorrette dall’intendimento iniziale dell’istante medesimo, rimasto poi costante nel tempo, di rimanere sul suolo nazionale benchè clandestino.

3. 11 P.G. in sede depositava requisitoria scritta con la quale concludeva per la inammissibilità del ricorso dappoichè congrue e logiche le motivazioni impugnate.

4. Il ricorso merita positiva valutazione anocrchè per ragioni diverse da quelle comunque opportunamente illustrate dalla difesa istante.

4.1 In data 28 aprile 2011 è stata depositata la sentenza emessa dalla Corte di Giustizia dell’Unione Europea nel procedimento C-61/11 PPU, avente ad oggetto la domanda di pronuncia pregiudiziale ai sensi dell’art. 267 T.F.U.E., proposta dalla Corte d’appello di Trento nell’ambito del procedimento a carico di H.E.D., imputato del reato di cui al D.Lgs. n. 286 del 1998, art. 14, comma 5 ter, in relazione alla direttiva del Parlamento Europeo e del Consiglio 16 dicembre 2008, 2008/115/CE, recante "norme e procedure comuni applicabili negli Stati membri al rimpatrio di cittadini di paesi terzi il cui soggiorno è irregolare". Con tale sentenza la Corte Europea afferma che "la direttiva 2008/115, in particolare i suoi artt. 15 e 16, deve essere interpretata nel senso che essa osta ad una normativa di uno Stato membro, come quella in discussione nel procedimento principale, che preveda l’irrogazione della pena della reclusione al cittadino di un paese terzo il cui soggiorno sia irregolare per la sola ragione che questi, in violazione di un ordine di lasciare entro un determinato termine il territorio di tale Stato, permane in detto territorio senza giustificato motivo".

Spetta perciò al giudice nazionale "disapplicare ogni disposizione del D.Lgs. n. 286 del 1998, contraria al risultato della direttiva 2008/115, segnatamente l’art. 14, comma 5 ter, di tale decreto legislativo-, tenendo altresì nel debito conto il principio ®dell’applicazione retroattiva della pena più mite, il quale fa parte delle tradizioni costituzionali comuni agli Stati membri". 4.2 La pronunzia richiamata è stata assunta, come detto, in relazione all’ipotesi del D.Lgs. n. 286 del 1998, art. 14, comma 5 ter.

A ragione della decisione, la Corte di giustizia ha osservato: che la successione delle fasi della procedura di rimpatrio stabilita dalla direttiva 2008/115 risponde a una esigenza di "gradazione delle misure da prendere per dare esecuzione alla decisione di rimpatrio, gradazione che va dalla misura meno restrittiva per la libertà dell’interessato – la concessione di un termine per la sua partenza volontaria – alla misura che maggiormente limita la sua libertà – il trattenimento in un apposito centro -, fermo restando in tutte le fasi di detta procedura, l’obbligo di osservare il principio di proporzionalità";

che, in quest’ottica, persino il trattenimento, che rappresenta la misura più restrittiva della libertà consentita dalla direttiva, è strettamente regolamentato, quanto a durata e modalità, "allo scopo di assicurare il rispetto dei diritti fondamentali dei cittadini interessati dei paesi terzi" e di "limitare la privazione della libertà dei cittadini di paesi terzi in situazione di allontanamento coattivo" entro termini ragionevoli – vale a dire non superiori al tempo necessario per raggiungere lo scopo perseguito – e i più brevi possibili – in conformità all’ammonizione già impartita dall’ottavo dei "Venti orientamenti sul rimpatrio forzato" adottati il 4 maggio 2005 dal Comitato dei Ministri del Consiglio d’Europa; che gli Stati membri non possono introdurre, al fine di ovviare all’insuccesso delle misure coercitive adottate per procedere al rimpatrio coattivo conformemente all’art. 8 n. 4 della direttiva, una pena detentiva quale quella prevista dal D.Lgs. n. 286 del 1998, art. 14, comma 5 ter, "solo perchè un cittadino di un paese terzo, dopo che gli è stato notificato un ordine di lasciare il territorio di uno Stato membro e che il termine impartito con tale ordine è scaduto, permane in maniera irregolare nel territorio nazionale", dovendo "essi Stati invece, continuare ad adoperarsi per dare esecuzione alla decisione di rimpatrio, che continua a produrre i suoi effetti";

che una regolamentazione nazionale quale quella oggetto d’esame finisce per ostacolare la stessa applicazione delle misure di cui all’art. 8, n. 1, della direttiva medesima (in base alla quale "Gli Stati membri adottano tutte le misure necessarie per eseguire la decisione di rimpatrio qualora non sia stato concesso un periodo per la partenza volontaria a norma dell’art. 7, paragrafo 4, o per mancato adempimento dell’obbligo di rimpatrio entro il periodo per la partenza volontaria concesso a norma dell’art. 7") e ritardare l’esecuzione della decisione di rimpatrio.

4.3 La decisione della Corte di Giustizia, interpretando in maniera autoritativa il diritto dell’Unione con effetto diretto per tutti gli Stati membri e le rispettive giurisdizioni, incide sul sistema normativo impedendo la configurabilità del reato.

L’effetto è paragonabile a quello della legge sopravvenuta (cfr. C. Cost. nn. 255 del 1999, 63 del 2003, 125 del 2004 e 241 del 2005 secondo cui "i principi enunciati nella decisione dalla Corte di giustizia si inseriscono direttamente nell’ordinamento interno, con il valore di jus superveniens, condizionando e determinando i limiti in cui quella norma conserva efficacia e deve essere applicata anche da parte del giudice nazionale") con portata sostanzialmente (tamquam non esset) abolitrice della norma incriminatrice.

4.4 In relazione a fattispecie quale quella in esame, realizzata prima della scadenza dei termini per il recepimento della direttiva, deve per conseguenza affermarsi che il fatto non è più preveduto dalla legge come reato.

La formula è in linea con quanto già ritenuto, in relazione a ipotesi in qualche modo simile, da questa Corte, sez. 1, sentenza del 20.1.2011, imp. Titas Luca, allorchè ha osservato che la pronunzia della Corte di Giustizia che accerta l’incompatibilità della norma incriminatrice con il diritto Europeo (si trattava del caso Schwibbert) "si incorpora nella norma stessa e ne integra il precetto con efficacia immediata" (cfr. Corte Cost. nn. 13 del 1985, 389 del 1989, 168 del 1991), così producendo "una sorta di abolitio criminis" che impone, in forza di interpretazione costituzionalmente necessitata, di estendere a siffatte situazioni di sopravvenuta inapplicabilità della norma incriminatrice nazionale, la previsione dell’art. 673 c.p.p., disciplinante, come è noto, la revoca della sentenza per abolizione del reato da parte del giudice dell’esecuzione.

5. Sulla scorta delle illustrate premesse, l’ordinanza impugnata va annullata senza rinvio in relazione alle condotte sanzionate a mente del D.Lgs. n. 286 del 1998, art. 14 comma 5 ter, con la revoca delle relative sentenze di condanna ai sensi dell’art. 673 c.p.p..

P.Q.M.

la Corte annulla senza rinvio l’ordinanza impugnata relativamente alle violazioni del D.Lgs. n. 286 del 1998, art. 14, comma 5 ter, e, visto l’art. 673 c.p.p., revoca, perchè i fatti non sono previsti dalla legge come reato, le sentenze di condanna per violazione della suddetta norma emesse nei confronti di M.A. il 22/5/09 ed il 31/10/09 dal Tribunale di Sanremo, nonchè la sentenza di condanna nella parte riguardante la suddetta norma emessa il 21/1/2010 dal Tribunale di Padova; dichiara cessata l’esecuzione delle relative pene ed ordina la immediata liberazione del M. se non detenuto per altra causa e che sia data comunicazione della decisione al Procuratore della Repubblica presso il Tribunale di Padova.

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