Cass. civ., sez. III 05-09-2006, n. 19069 PERSONALITÀ (DIRITTI DELLA) – RISERVATEZZA – IMMAGINE – TUTELA – Tutela del diritto alla riservatezza del minore -Preminenza di detto diritto sull’opposto valore costituzionale riconducibile al diritto di cronaca

Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole direttore del sito giuridico http://www.gadit.it/

Fatto

Con atto di citazione dinanzi al Tribunale di Milano, A. T., in proprio e quale esercente la potestà genitoriale sul figlio minore C.E., chiedeva la condanna della s.p.a. Rusconi Editore al pagamento di L. 300.000.000 a titolo di risarcimento dei danni derivati dalla pubblicazione di una foto del figlio, apparsa sul (?) della rivista (?). L’attrice precisava che: -la riproduzione fotografica del minore non era stata autorizzata;

– la fotografia raffigurava il figlio vicino ad una donna in "topless" (l’attrice televisiva P.M.) nell’atto di quella che era definita dall’ A. come una lotta lasciva con il padre del minore (all’epoca non ancora separato dalla parte attrice);

– tale fotografia aveva leso gravemente il decoro e l’onorabilità sia della A. che del figlio minore di lei: motivo per il quale la attrice agiva sia in nome proprio che come titolare della potestà genitoriale sul minore, ai sensi della L. n. 633 del 1941, art. 10 del c.c. ed artt. 87,92 e artt. 96,98.

La convenuta, costituendosi in giudizio, chiedeva il rigetto della domanda.

Con sentenza 1 maggio – 28 giugno 1999 il Tribunale di Milano respingeva la domanda, condannando l’attrice alle spese.

Avverso tale decisione proponeva appello la A., per sè e per il figlio, chiedendo la riforma della sentenza e l’accoglimento delle domande proposte con l’atto di citazione.

Con sentenza 17 ottobre – 4 dicembre 2001, la Corte d’Appello di Milano confermava integralmente la decisione di primo grado.

Osservava la Corte territoriale che il tema della diffamazione esulava dall’ambito del presente giudizio, che riguardava esclusivamente la tutela del diritto alla immagine.

Il servizio fotografico, ad avviso dei giudici di appello, non era tale da ledere la dignità del minore nè quella della madre.

Peraltro, costituiva domanda nuova quella relativa al pregiudizio arrecato dalla fotografia alla madre, poichè tale domanda non era stata proposta in primo grado.

Precisava la Corte territoriale che:

– il servizio fotografico non era attuato con modalità tali da ledere la dignità del minore o quello della A.;

– che non era ravvisabile, nella fotografia in questione, l’aspetto lascivo denunciato dall’ A.. Era del tutto evidente che tra l’attrice televisiva ed il marito dell’ A., raffigurati insieme con il figlio minore E. di otto anni, era in corso una lotta scherzosa, frequente tra i giovani sulla spiaggia, che normalmente non suscita riprovazione tra gli altri bagnanti. Per il fatto stesso di essere effettuato alla luce del sole ed in mezzo alla gente, tale gioco era privo di ogni possibile connotazione diversa da quella scherzosa.

Il costume indossato dalla M.P. non presentava poi alcuna particolarità, suscettibile di riprovazione o di un giudizio di immoralità Il figlio della A. era indicato genericamente come un ragazzino, e, quindi, dalla sua mera presenza alla fotografia non poteva derivare alcun pregiudizio al decoro ed alla reputazione per il minore o per la di lui madre.

Ancora, i giudici di appello ricordavano sotto un profilo generale che in base alla L. n. 633 del 1941, art. 97, comma 1, non può ritenersi vietata la riproduzione della immagine quando sia ricollegata a fatti svoltisi in pubblico.

Nel caso di specie, pertanto, doveva ritenersi consentita la riproduzione dell’immagine del minore su di una spiaggia pubblica, dove era stato condotto in compagnia di una attrice televisiva famosa – come tale soggetta all’interesse dei fotografi di riviste del tipo di quelle per cui è causa – dal padre, all’epoca ancora esercente la potestà su di lui.

L’ A., infine, non aveva dimostrato l’esistenza di danni patrimoniali, per cui, in ogni caso, la domanda doveva essere respinta per mancanza di qualsiasi prova sia sull’an che sul quantum.

i danni morali dovevano poi essere esclusi, in mancanza di accertamento di qualsiasi reato.

Contro questa decisione l’ A. ha proposto ricorso per cassazione, sorretto da tre motivi, illustrati da memoria.

Resiste la Hachette Rusconi con controricorso.

Diritto

Con il primo motivo la ricorrente, quale esercente la potestà sul figlio minore C.E., denuncia violazione e falsa applicazione dell’artt. 10 e 2043 c.c., della L. n. 633 del 1941, artt. 96,97 in relazione all’art. 360 c.p.c., nn. 3 e 5 e comunque omessa e insufficiente motivazione, ai sensi dell’art. 360 c.p.c., n. 5.

La sentenza impugnata ha ritenuto lecita la riproduzione fotografica del figlio della ricorrente, di otto anni, nell’atto di assistere ad una lotta tra il padre, C.P. (allora ancora marito non separato della ricorrente) e l’attrice francese M. P., in topless sulla spiaggia.

1 La Corte territoriale era giunta a questa decisione dopo un esame del tutto approssimativo e superficiale delle fotografie.

I giudici di appello non avevano fatto alcun riferimento al testo giornalistico contenuto nel servizio fotografico, ad esso collegato, che faceva riferimento ad un "vero assalto erotico, messo a segno nei confronti del suo compagno P." cui aveva assistito il ragazzo "probabilmente? un parente di P.".

In tal modo, secondo la ricorrente, tuttavia, i giudici di appello non avevano colto il senso delle domande svolte dall’ A. che erano dirette principalmente a tutelare i diritti del minore, di appena otto anni.

La ricorrente censura anche la sentenza della Corte milanese nella parte in cui la stessa non aveva ritenuto sconveniente – e tale comunque da arrecare pregiudizio al decoro del minore ed a quello della madre di lui – la presenza del figlio alla scena di seduzione posta in essere dalla compagna del marito.

Secondo i principi generali, è vietato esporre, riprodurre o mettere in commercio il ritratto di una persona senza il consenso di questa.

Nel caso di specie, tale consenso era mancato (nè poteva presumersi il consenso implicito del padre, anch’egli all’epoca esercente la potestà sul figlio).

Non vi è necessità di consenso della persona ritratta, quando la riproduzione è collegata a fatti, avvenimenti, cerimonie di interesse pubblico o svoltisi in pubblico, a meno che ciò non rechi pregiudizio all’onore, alla reputazione od anche al decoro della persona (L. n. 633 del 1941, art. 97).

Non era possibile, tuttavia, sostenere, come erroneamente aveva ritenuto la Corte territoriale, che la riproduzione fotografica del minore fosse consentita perchè lo stesso era stato ritratto in compagnia di una attrice famosa, "come tale notoriamente soggetta all’interesse dei fotografi di riviste del tipo di quella per cui è causa".

Infatti, nel caso di specie, la riproduzione dell’immagine – di cui si assumeva l’illiceità – non riguardava la famosa attrice nè il padre del minore, entrambi oggetto dello scoop dei fotografi, bensì il minore medesimo, fotografato in modo tale da renderlo perfettamente riconoscibile, mentre dinanzi ai suoi occhi si svolgeva una scena, definita dallo stesso giornalista che aveva redatto l’articolo come un "assalto erotico".

Con il secondo motivo la ricorrente denuncia violazione e falsa applicazione della L. n. 176 del 1991, artt. 3, 4 e 16, della normativa a tutela dei minori, con riferimento agli artt. 2 e 31 della Cost., in relazione all’art. 360 c.p.c., n. 3 e comunque omessa motivazione ai sensi dell’art. 360 c.p.c., n. 5.

La ricorrente richiama le disposizioni della Convenzione di New York, ratificata in Italia con L. 27 maggio 1991, n. 176 diretta a conferire una protezione legale accentuata in tutte le decisioni relative ai minori, " di competenza sia delle istituzioni pubbliche o private di assistenza sociale, dei tribunali, della autorità amministrative o degli organi legislativi". L’interesse superiore del fanciullo, da tutte queste istituzioni, deve essere una "considerazione preminente".

La ricorrente richiama, poi, alcune disposizioni successive, come la Carta di Treviso del 1990 (non consacrata tuttavia in norme di legge e definita come "soft law": confermata in un Convegno di giornalisti del novembre 1995, di intesa con telefono Azzurro) nella quale sono stati ribaditi i principi a salvaguardia della dignità e dello sviluppo equilibrato dei bambini e degli adolescenti.

La ricorrente richiama anche la Convenzione dell’ONU del 1989, la direttiva comunitaria n. 95/48 CE e 108/81 del Consiglio di Europa sul diritto alla riservatezza e le leggi successive ai fatti di causa, tra le quali la L. n. 675 del 1996 che ha attuato la convenzione n. 108, in materia di trattamento dei dati personali, le quali pongono limiti alla riproduzione di immagini, qualora permettano di identificare un soggetto, anche in via indiretta, attraverso il collegamento con altre informazioni.

I due motivi possono essere esaminati congiuntamente in quanto connessi tra di loro.

Essi sono fondati nei limiti di seguito indicati.

Nel quadro normativo all’epoca vigente, come ha ricordato la ricorrente nel secondo motivo di ricorso, era stata ratificata la Convenzione sui diritti del fanciullo, fatta a New York il 20 novembre 1989 (L. 27 maggio 1991, n. 176).

L’art. 16 di tale Convenzione espressamente ribadisce, in armonia con i principi espressi dagli artt. 2 e 31 della Cost., che "Nessun fanciullo sarà oggetto di interferenze arbitrarie o illegali nella sua privata, nella sua famiglia, nel suo domicilio o nella sua corrispondenza, e neppure di affronti illegali al suo onore e alla sua riputazione" e che "il fanciullo ha diritto alla protezione della legge contro tali interferenze o tali affronti".

L’art. 3 della stessa Convenzione sottolinea che:

"1. In tutte le decisioni relative ai fanciulli, di competenza sia delle istituzioni pubbliche o private di assistenza sociale, dei tribunali, della autorità amministrative o degli organi legislativi, l’interesse superiore del fanciullo deve essere una considerazione preminente".

Alla luce di tali disposizioni, che costituivano all’epoca dei fatti, norme di diritto vigenti all’interno dell’ordinamento, i giudici di appello avrebbero dovuto esaminare il contesto nel quale era stata riprodotta la immagine del minore.

Ciò al fine di stabilire se il suo diritto alla riservatezza fosse stato, o meno, leso o minacciato.

Omettendo, al contrario, qualsiasi riferimento alle discipline normative in vigore, poste a tutela dei minori, comprensive del diritto assoluto alla riservatezza, i giudici di appello sono incorsi nelle violazioni di legge specificate nei primi due motivi di ricorso.

Ad avviso del Collegio, non vi è dubbio che il diritto alla riservatezza del minore debba essere, nel bilanciamento degli opposti valori costituzionali (diritto di cronaca e diritto alla privacy) considerato assolutamente preminente, secondo le indicazioni derivanti dalle norme ora richiamate, laddove si riscontri che non vi sia l’utilità sociale della notizia (quindi con l’unico limite del pubblico interesse).

Sussiste, tuttavia, anche il vizio di motivazione denunciato negli stessi motivi. Infatti, i giudici di appello non hanno preso in considerazione il testo scritto che accompagnava le fotografie che effigiavano il figlio dell’attrice vicino al padre ed alla M..

I giudici di appello avrebbero dovuto prendere in considerazione la circostanza che la riproduzione della immagine riguardava direttamente il minore, ritratto senza particolari cautele per renderlo non riconoscibile (vi era nel testo che accompagnava la fotografia la precisazione che si trattava di un parente di C.P.).

I giudici di appello avrebbero dovuto prendere in considerazione tutto il contesto nel quale si collocavano le fotografie, in modo da poter motivatamente decidere se tale riproduzione fotografica, per tutto quanto la accompagnava, fosse o meno tale da danneggiare lo sviluppo psichico del minore ed il suo diritto alla riservatezza.

La A., del resto, con l’atto introduttivo del giudizio aveva denunciato la illecita riproduzione fotografica del proprio figlio "nel contesto dell’articolo " P. non può sfuggire alla M.: guardatela, è una vera "piovra", facendo chiaro riferimento all’articolo nel suo complesso.

Con il terzo motivo la ricorrente denuncia violazione e falsa applicazione degli artt. 10 e 2056 c.c., in relazione all’art. 360 c.p.c., n. 3 e comunque omessa motivazione ai sensi dell’art. 360 c.p.c., n. 5.

La sentenza era errata nella parte in cui aveva, in ogni caso, affermato che l’ A. non avrebbe provato il danno patrimoniale sofferto a seguito della riproduzione della immagine del figlio (come si è già ricordato, nel ricorso per cassazione la ricorrente agisce solo nella qualità di esercente la potestà sul figlio minore).

L’art. 2056 c.c. ammette, in ogni caso, la valutazione equitativa del danno da parte del giudice.

Una volta dimostrata la lesione all’immagine del minore, pertanto, il giudice di merito avrebbe dovuto e potuto riconoscere anche il danno valutandolo equitativamente, senza necessità di una prova precisa in ordine al suo effettivo ammontare.

Dalla motivazione della sentenza, invece, risultava che i giudici avevano rigettato la domanda anche per la mancanza di qualsiasi prova sul quantum.

Osserva il Collegio:

questo ultimo motivo deve considerarsi assorbito per effetto dell’accoglimento dei due motivi che precedono.

Conclusivamente il ricorso deve essere accolto per quanto di ragione, con rinvio ad altra Sezione della Corte d’Appello che procederà a nuovo esame, attenendosi al principio di diritto sopra enunciato.

Lo stesso giudice provvederà anche in ordine alle spese del presente giudizio di cassazione.

P.Q.M.

La Corte accoglie il ricorso per quanto di ragione.

Cassa la sentenza impugnata in relazione alle censure accolte e rinvia alla Corte d’Appello di Milano, altra sezione, anche per le spese di questo giudizio di cassazione.

Testo non ufficiale. La sola stampa del bollettino ufficiale ha carattere legale.

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