Cass. civ., sez. III 05-09-2006, n. 19056 RISCOSSIONE DELLE IMPOSTE – MODALITÀ DI RISCOSSIONE- ASSEGNAZIONE – BENI ASSEGNANDI – Esecuzione forzata esattoriale in danno di un coniuge- Concreta realizzazione del credito

Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole direttore del sito giuridico http://www.gadit.it/

Fatto

1. La s.p.a. Esagest, nella qualità di concessionaria del servizio di riscossione tributi della Provincia di Ancona, delegata dalla Serintancona s.p.a., instaurò un procedimento di esecuzione forzata per espropriazione presso terzi in danno di L.M.P., procedendo al pignoramento presso la Direzione Provinciale del Tesoro della sua pensione pubblica, in finzione della realizzazione coattiva di un credito per I.R.P.E.F. dovuta dal coniuge della L.. Il Pretore di Ancona, a seguito di positiva dichiarazione del terzo, con ordinanza del 31 marzo 1995 assegnò in pagamento del detto credito alla creditrice procedente un quinto delle somme mensilmente erogate dal terzo.

Con atto di citazione del 28 aprile 1995 la L. conveniva in giudizio, avanti al Tribunale di Ancona, la s.p.a. Ancona Tributi (subentrata alla concessionaria delegata e delegante) chiedendone la condanna, a titolo di risarcimento danni, al rimborso delle somme oggetto, anche de futuro, dell’assegnazione.

La convenuta si costituiva ed eccepiva in via preliminare l’inammissibilità dell’azione ai sensi del D.P.R. n. 602 del 1973, art. 55 del in quanto esperibile solo dopo l’esaurimento della procedura esecutiva, nonchè l’infondatezza della domanda nel merito.

Con sentenza del 23 maggio 1998 il Tribunale adito accoglieva l’eccezione preliminare, dichiarando improponibile l’azione, in quanto a suo dire esercitata prima del compimento della procedura esecutiva.

La sentenza veniva appellata dalla L. avanti alla Corte d’Appello di Ancona, che, con sentenza del 19 febbraio 2001, in totale sua riforma dichiarava illegittima l’esecuzione forzata per l’impignorabilità della pensione esecutata e condannava l’appellata al risarcimento del danno mediante restituzione delle somme corrispondenti agli importi delle trattenute effettuate ed effettuande, oltre rivalutazione ed interessi e col favore delle spese dei due gradi.

2. La sentenza, sul punto della proponibilità dell’azione risarcitoria ha dato rilievo in senso positivo al fatto che, con la pronuncia dell’ordinanza di assegnazione, la procedura esecutiva si era esaurita, ed ha escluso che fosse rilevante in contrario la concreta soddisfazione del credito da parte dell’esattore mediante l’effettuazione delle trattenute da parte del debitor debitoris sulla pensione.

Nel merito la Corte territoriale, dopo aver rilevato che la L. non contestava la propria qualità di debitrice solidale con il marito, per effetto di dichiarazione congiunta dei redditi ai sensi della L. n. 114 del 1977, art. 17 con riguardo al debito per I.R.P.E.F. del marito, realizzato con l’esecuzione forzata, ha ritenuto fondata la prospettazione della L. che nella specie l’esecuzione era avvenuta sulla pensione in violazione dei limiti di cui al D.P.R. n. 180 del 1950, art. 2, n. 3, comma 1, giacchè il credito tributario non poteva ritenersi facente capo alla L., quale titolare della pensione, sin dalla sua origine, come, invece, quella norma esigeva. In particolare, la Corte anconetana ha ritenuto che l’espressione normativa di cui a detta norma "facente carico, fin dalla loro origine, all’impiegato o salariato" alluda alla causa impositiva, cioè alla causa per cui nasce la pretesa tributaria, onde è necessario che il soggetto sottoposto a pignoramento sia titolare del reddito o del cespite che ha dato origine al tributo della cui riscossione si tratta e, sotto tale profilo, essendo il reddito che diede origine alla pretesa tributaria dell’esattore esclusivamente riferibile al marito della L. e derivando la posizione di obbligata di quest’ultima dalla presentazione congiunta della dichiarazione relativa ai rispettivi redditi, ha escluso che il tributo potesse considerarsi sin dall’origine dovuto alla L..

E, conseguentemente, ha considerato illegittima l’esecuzione forzata e fondata la domanda risarcitoria.

3. Contro questa sentenza ha proposto ricorso per cassazione, affidato a tre motivi la s.p.a. Ancona Tributi.

Ha resistito con controricorso la L..

Il ricorso, ai sensi dell’art. 374 c.p.c., venne assegnato alle Sezioni Unite di questa Corte, in quanto il secondo motivo prospettava questione di giurisdizione.

In occasione della decisione delle SS.UU. la ricorrente depositò memoria.

Con sentenza n. 493 del 2006 le SS.UU. hanno dichiarato inammissibile il secondo motivo di ricorso e rimesso gli atti a questa Sezione semplice.

In vista della nuova discussione la ricorrente ha depositato memoria.

Diritto

1. Con il primo motivo di ricorso si deduce "violazione e/o falsa interpretazione ed applicazione del D.P.R. n. 602 del 1973, artt. 53 e 54 nel testo precedente alle modifiche di cui al D.Lgs. n. 46 del 1999".

Si sostiene che l’interpretazione dell’espressione "compimento dell’esecuzione", contenuta nel citato D.P.R., art. 54 e costituente, in base alle norme di cui si denuncia la violazione, il discrimine ai fini della possibilità di far valere avanti all’A.G.O. l’illegittimità dell’azione esecutiva esattoriale in funzione risarcitoria, non potrebbe essere intesa in senso esclusivamente processuale, come avrebbe fatto la Corte territoriale, ma andrebbe posta in relazione con il presupposto dell’azione, cioè il verificarsi dei danni, e con il suo scopo, il risarcimento.

Nel caso della espropriazione presso terzi l’estinzione della procedura certamente si verificherebbe con il provvedimento di assegnazione, ma, essendo l’azione del citato D.P.R., ex art. 54, diretta a tutelare un diritto soggettivo, quest’ultimo non potrebbe sorgere prima che il danno si verifichi. Il provvedimento di assegnazione, in quest’ottica, sarebbe soltanto potenzialmente lesivo, in quanto "se ? per le ragioni più disparate il terzo non provvede alla ritenuta ed al versamento non può verificarsi concretamente alcun danno in capo al debitore il quale non acquisisce quel diritto al risarcimento che rende proponibile la relativa azione", la quale, dunque, sarebbe esperibile "solo dopo che il terzo abbia versato al creditore tutte le somme già di competenza del debitore di imposta, che ne viene ad essere privato". Poichè nella specie l’azione venne proposta il 28 aprile 1995 e l’erogazione delle somme da parte del terzo cominciò "soltanto dal rateo pensionistico del settembre 1995", al momento della sua proposizione l’esecuzione esattoriale non aveva prodotto danno e, quindi, non poteva considerarsi compiuta.

Con il secondo motivo era stato dedotto "difetto di giurisdizione" sotto il profilo che, se l’intervento dell’A.G.O. può avvenire solo dopo il compimento dell’esecuzione nel senso appena indicato con la prospettazione a sostegno del primo motivo, nella specie la giurisdizione difettava.

Con il terzo motivo si deduce "violazione e/o errata l’interpretazione ed applicazione del D.P.R. n. 180 del 1950, in specie dell’art. 2, n. 3, comma 1; della L. n. 114 del 1977, in specie art. 17; dell’art. 1292 c.c.".

Si lamenta che la Corte territoriale avrebbe erroneamente negato che il debito tributario per cui venne promossa l’esecuzione esattoriale facesse capo fin dall’origine alla L.. Infatti, la dichiarazione congiunta ha l’effetto di sommare i debiti di imposta dei coniugi e di renderli solidalmente obbligati nei confronti del fisco, onde si avrebbe che in conseguenza di tale somma i coniugi sono fin dall’origine costituiti debitori con vincolo di solidarietà. L’iscrizione a ruolo a nome del marito sarebbe una semplice necessità pratica, essendo la L. n. 114 del 1977, art. 17 finalizzato a considerare la moglie quale debitrice principale alla stessa stregua del marito, tanto che l’esattore può chiederle direttamente il pagamento e la stessa non risponde solo per il caso di inadempimento del marito, mentre la dizione del D.P.R. n. 180 del 1950, art. 2 si riferirebbe appunto ai casi di responsabilità per l’inadempimento di un debitore principale.

2. In ordine all’eccezione di acquiescenza tacita formulata dalla resistente si osserva che essa è stata disattesa dalle SS.UU., là dove Esse hanno disposto la prosecuzione del giudizio avanti a questa sezione semplice per l’esame dei motivi di ricorso non propositivi della questione di giurisdizione.

In ogni caso l’eccezione era anche infondata, in quanto deve escludersi che il preteso comportamento che avrebbe integrato acquiescenza abbia avuto tale idoneità. Esso sarebbe ravvisabile nella disposizione da parte della ricorrente all’I.N.P.D.A.P. (debitor debitoris) di cessare le ritenute disposte dal provvedimento di assegnazione e di rimborsare alla L. le somme trattenute e non ancora versate, disposizione della quale la resistente ha preso conoscenza chiedendone copia all’I.N.P.D.A.P. Senonchè, la ricorrente ha replicato nella memoria che detto comportamento è stato posto in essere, in quanto la sentenza impugnata, accogliendo la domanda di risarcimento del danno ha disposto che le somme trattenute e da trattenersi in esecuzione del provvedimento di assegnazione in sede esecutiva dal terzo fossero corrisposte dall’esattrice ricorrente alla resistente.

Ne discende che nessuna acquiescenza si è potuta verificare, volta che si consideri che "l’acquiescenza alla sentenza, preclusiva dell’impugnazione ai sensi dell’art. 329 c.p.c. (configurabile solo anteriormente alla proposizione del gravame, giacchè successivamente allo stesso è possibile solo una rinunzia espressa all’impugnazione da compiersi nella forma prescritta dalla legge), consiste nell’accettazione della pronuncia, ovverosia nella manifestazione, da parte del soccombente, della volontà di non impugnare, la quale può avvenire sia in forma espressa che tacita ed in quest’ultimo caso è configurabile soltanto quando l’interessato abbia posto in essere atti da quali sia possibile desumere, in maniera precisa ed univoca, il proposito di non contrastare gli effetti giuridici della pronuncia, e cioè qualora gli atti stessi siano assolutamente incompatibili con la volontà di avvalersi dell’impugnazione" (così, da ultimo, Cass. n. 4650 del 2006): nella specie il comportamento tenuto dalla ricorrente non appare assolutamente incompatibile con la volontà di impugnare la sentenza, tenuto conto che il disposto di essa aveva anche efficacia esecutiva.

3. Sempre in via preliminare va rilevato che nella memoria la parte ricorrente, sostenendo che la pronuncia resa dalle SS.UU. presenterebbe una motivazione insoddisfacente, ha chiesto a questa Sezione Semplice di esaminare se la questione di giurisdizione sollevata con detto motivo si possa definitivamente ritenere superata "o non piuttosto possa essere ancora riproposta stante la rilevabilità del vizio di giurisdizione in ogni stato e grado del giudizio".

La sollecitazione rivolta a questa Sezione Semplice è irricevibile.

Ai sensi dell’art. 142 delle disp. att. c.p.c., nel testo anteriore alla sostituzione operatane a decorrere dal 2 marzo 2006 del D.Lgs. n. 40 del 2006, art. 19 e rimasto comunque applicabile al presente giudizio per effetto del disposto dell’art. 27, comma 2, di detto D.Lgs., "se nel ricorso sono contenuti insieme con motivi di competenza delle sezioni unite motivi di competenza delle sezioni semplici, queste pronunciano con separata sentenza dopo la pronuncia delle sezioni unite". ÿ di tutta evidenza che il potere decisorio della sezione semplice, dopo la rimessione della decisione sui motivi non di competenza delle sezioni unite rimane limitato esclusivamente a tali motivi. Ne consegue che la decisione delle Sezioni Unite sul motivo di giurisdizione assume la veste di decisione che, essendo stata resa dalla Corte di Cassazione e non essendo le pronunce della Corte di Cassazione suscettibili di impugnazione (salva l’assoggettabilità a revocazione nei limitati casi indicati dall’art. 391 bis), si presenta co

perta dalla cosa giudicata formale ai sensi dell’art. 324 c.p.c.. Allorquando, come nella specie il tenore della decisione delle Sezioni Unite è di natura processuale, avendo le SS.UU. dichiarato inammissibile la questione di giurisdizione, disconoscendo nella specie la sua effettività come tale, il giudicato formale interno che cosi si è formato sulla detta inammissibilità, determina che il relativo motivo di ricorso deve ritenersi deciso in via definitiva nei sensi della pronuncia delle SS.UU., senza che possa essere più ridiscusso nell’ambito del giudizio cui pertiene il ricorso, attesa la natura processuale della decisione. Tale indiscutibilità, avendo il giudizio nella presente fase di cassazione un’appendice di trattazione avanti a questa Sezione Semplice, opera automaticamente in essa come giudicato interno.

Pertanto, la presente decisione non può che concernere solo il primo ed il terzo motivo.

4. Il primo motivo è privo di pregio.

La norma del D.P.R. 29 settembre 1973, n. 602, art. 54, comma 3, nel testo applicabile nella controversia ratione temporis (ed anteriore alla sostituzione dell’intero Titolo 2^ di detto D.P.R. da parte del D.Lgs. n. 46 del 1999, art. 16), disponeva che "i soggetti indicati dal primo comma dell’articolo precedente che si ritengono lesi dall’esecuzione esattoriale possono agire in sede giudiziari contro l’esattore, dopo il compimento della esecuzione stessa ai soli fini del risarcimento del danno".

La norma prevedeva, in relazione alla insussistenza della giurisdizione dell’A.G.O. durante lo svolgimento della procedura esecutiva, una sorta di momento iniziale dell’insorgenza della giurisdizione dell’A.G.O. e, nel contempo, una limitazione al tipo di tutela esperibile che era limitata al solo risarcimento del danno conseguito dall’esecuzione esattoriale. Il presupposto di insorgenza della giurisdizione ordinaria è espresso come condizione di proponibilità della domanda e l’espressione letterale con la quale è individuato è di quelle che non lasciano dubbi circa la sua interpretazione, nel senso che l’interprete si trova di fronte ad una formulazione – "compimento della esecuzione" – che non si presta ad alcuna incertezza, ponendo all’interprete solo il compito di identificare normativamente il compimento dell’esecuzione.

Semmai, il dubbio interpretativo cui può essere sollecitato l’interprete è se il compimento dell’esecuzione possa avere un equipollente nella circostanza che un’esecuzione non sia iniziata per spontaneo pagamento del debito esattoriale da parte di chi abbia ricevuto ma minaccia dell’esecuzione esattoriale oppure per l’estinzione della procedura esecutiva dopo uno spontaneo soddisfacimento del credito esattoriale nella consistenza acquisita a seguito dell’esecuzione (spese, etc.).

Ma non è il caso di riflettere su tale questione (si veda, comunque, in termini Cass. sez. un., n. 6794 del 1991).

Da quanto osservato consegue che – a parte il problema ora accennato – l’interprete della norma che si considera deve solo procedere ad individuare che cosa si debba intendere per "compimento della esecuzione". Una volta identificata questa fattispecie, la condizione di proponibilità dell’azione avanti all’A.G.O., in altri termini la condizione di accesso alla sua giurisdizione, deve intendersi realizzata.

Poichè nel caso di specie viene in rilievo un’esecuzione forzata esattoriale che è stata condotta nelle forme della espropriazione forzata presso terzi ed ha avuto ad oggetto come bene pignorato un credito, viene in rilievo il compimento di tale forma di esecuzione.

Al riguardo, come anche recentemente si è statuito da questa stessa Sezione, ma nel solco di precedenti decisioni, "l’ordinanza di assegnazione del credito pignorato, emanata a seguito della positiva dichiarazione del terzo, rappresenta, per la sua natura liquidativa e satisfattiva, l’atto finale e conclusivo del procedimento di espropriazione verso terzi, che determina il trasferimento coattivo del credito pignorato dal debitore esecutivo al creditore del medesimo, e il momento finale e l’atto giurisdizionale conclusivo del processo di espropriazione presso terzi. A tal fine non rileva il disposto dell’art. 2928 cod. civ., secondo il quale il diritto dell’assegnatario verso il debitore si estingue solo con la riscossione del credito assegnato, atteso che tale previsione non ha l’effetto di perpetuare la procedura esecutiva, la cui funzione è già stata assolta mediante l’assegnazione, ma ha solo effetti di diritto sostanziale, a maggior tutela del creditore, consentendogli, in caso di mancata riscossione, di intraprendere un nuovo procedimento esecutivo in base al medesimo titolo" (così Cass. n. 26036 del 2005; in precedenza, per l’espressa individuazione dell’ordinanza di assegnazione come momento finale dell’esecuzione forzata per espropriazione presso terzi di un credito, Cass. 16232 del 2003; n. 2497 del 2003; n. 8813 del 2000; 796 del 1999; n. 8153 del 1996).

Non è dubbio, quindi, che il "compimento dell’esecuzione forzata" per espropriazione presso terzi di un credito si identifica nella pronuncia dell’ordinanza di assegnazione del credito.

La ricorrente, per la verità, non lo contesta, ma suppone che agli effetti della norma dell’art. 54, comma 3 si sarebbe inteso dare rilievo ad una nozione diversa, cioè all’effettiva realizzazione del credito assegnato da parte dell’esattore assegnatario.

L’assunto non può essere condiviso, in quanto, come si è detto, l’espressione "compimento della esecuzione" pone come unico problema interpretativo (a pare quello qui irrilevante accennato sopra) la mera identificazione dell’esaurimento della procedura esecutiva, in relazione alla specie di procedura attivata dall’esattore.

Nella espropriazione presso terzi di un credito la concreta realizzazione del credito da parte dell’assegnatario si colloca, del resto, al di fuori della vicenda dell’esecuzione forzata e del relativo processo, inerendo solo alla vicenda sostanziale di realizzazione della situazione sostanziale creditoria trasferita, in forza della cessione coattiva nel che consiste l’assegnazione, al creditore procedente. Tale cessione – come previsto dall’art. 553 cod. proc. civ, ed esplicitato dall’art. 2928 cod. civ. – avviene "salvo esazione", cioè secondo il meccanismo della c.d. cessione pro solvendo, di modo che il diritto dell’assegnatario verso l’esecutato si estingue solo con la riscossione del credito assegnato, ma il relativo svolgimento esula del tutto dalla vicenda dell’esecuzione forzata, inerendo soltanto alla sorte della situazione di diritto sostanziale che era stata posta a fondamento dell’esecuzione, la quale, in caso di mancata realizzazione del credito assegnato perdura, ma nel mondo del diritto sostanziale, e non ha prospettiva di essere fatta valere con la ripresa dell’esecuzione pregressa.

Dire, poi, come fa la ricorrente che, se si prescindesse dalla effettiva realizzazione del credito assegnato il diritto soggettivo al risarcimento del danno non sarebbe configurabile e l’azione verso l’esattore sarebbe esercitata prima della sua insorgenza, significa trasformare la condizione di proponibilità per come prevista in qualcosa d’altro, che si colloca al di fuori del momento di esaurimento dell’esecuzione: se il legislatore avesse voluto condizionare l’azione alla realizzazione del credito da parte dell’esattore assegnatario avrebbe dovuto usare una diversa formulazione.

in base alla formulazione che, invece, si esamina, l’esercizio dell’azione di risarcimento del danno prima che il credito assegnato sia realizzato dall’esattore integra semplicemente una situazione nella quale il danno di cui si chiede il risarcimento non si può ravvisare nella perdita patrimoniale del credito assegnato e, quindi, solo un profilo di infondatezza dell’azione.

Peraltro, non solo la fondatezza dell’azione integra solo una questione inerente al merito e non alla proponibilità, la quale – in base al principio generale che le condizioni di fondatezza dell’azione, salvo diversa previsione del legislatore, ben possono sopravenire nel corso del giudizio e come tale essere considerate dal giudice (come nella specie sarebbe poi avvenuto) – non deve necessariamente esistere al momento dell’inizio dell’azione. Inoltre, ove la realizzazione del credito non sopravvenisse, nulla esclude che possa configurarsi un danno, diverso da quello della perdita del credito esecutato, sotto il diverso profilo dell’essere stato il debitore esecutato sottoposto ingiustamente all’esecuzione forzata in presenza della mancanza delle condizioni per procedere all’esecuzione ovvero della stessa insussistenza del credito azionato dall’esattore e di avere subito una diversa perdita patrimoniale.

Il primo motivo deve essere, dunque, rigettato sulla base del seguente principio di diritto: "Nel regine dell’esecuzione forzata esattoriale sulla base del D.P.R. n. 602 del 1973, nel testo anteriore alla novella del D.Lgs. n. 46 del 1999, la norma dell’art. 54, comma 3 di detto D.P.R., là dove prevedeva che i soggetti indicati nel comma primo del precedente art. 53, che si fossero ritenuti lesi dall’esecuzione esattoriale, potessero agire contro l’esattore per il risarcimento del danno, "dopo il compimento dell’esecuzione forzata", deve essere interpretata nel senso che con questa espressione il legislatore avesse voluto riferirsi al momento di chiusura dell’esecuzione forzata individuabile in relazione alle varie specie di esecuzione forzata. Ne consegue che, con riguardo ad esecuzione esattoriale per espropriazione presso terzi di un credito, il compimento dell’esecuzione si identifica nella pronuncia dell’ordinanza di assegnazione, che segna il momento di chiusura di tale forma di esecuzione forzata, mentre nessun rilievo condizionante la proponibilità dell’azione risarcitoria può attribuirsi al momento della concreta realizzazione, da parte dell’esattore assegnatario, del credito assegnato, collocandosi tale vicenda al di fuori dell’esecuzione".

5. Anche il terzo motivo è infondato.

La questione che con esso si propone è se, in relazione alla previsione del D.P.R. 5 gennaio 1980, art. 2, n. 3), comm. 2 (in base alla quale gli stipendi, i salari e le retribuzioni equivalenti, nonchè le pensioni, le indennità che tengono luogo di pensione e gli altri assegni di quiescenza corrisposti dallo Stato e dagli altri enti pubblici indicati nel D.P.R., art. 1 sono eccezionalmente pignorabili "fino alla concorrenza di un quinto valutato al netto di ritenute, per tributi dovuti allo Stato, alle province e ai comuni, facenti carico, fin dalla loro origine, all’impiegato o al salariato), si debba considerare, agli effetti dell’eseguito pignoramento da parte dell’esattore, di ratei di pensione pubblica, facente carico fin dalla sua origine alla debitrice esecutata e qui resistente il tributo per cui si è proceduto, in quanto dovuto a titolo di I.R.P.E.F. dal marito della pensionata, assoggettata alla esecuzione in quanto obbligata solidale anche per esso, in forza dell’effettuazione con il marito di dichiarazione congiunta ai sensi della L. 13 aprile 1977, n. 114, art. 17.

Sostiene la ricorrente che erroneamente la Corte territoriale ha escluso che il debito del marito della resistente potesse reputarsi facente carico fin dalla sua origine alla medesima, dando rilievo alla esistenza di due diversi presupposti impositivi riferibili all’uno e all’altra. Viceversa, poichè è sancita la responsabilità solidale dei coniugi dichiaranti per l’intero ammontare dei redditi dichiarati fra loro sommati, si avrebbe che in conseguenza di tale sommatoria e della solidarietà i coniugi sarebbero da considerare fin dall’origine costituiti debitori per il tutto.

L’assunto non può essere condiviso.

La solidarietà, anche in riferimento all’obbligazione tributaria, rappresenta, non diversamente che per quella civilistica, soltanto un modo di attuazione del rapporto obbligatorio. Per ciò stesso, considerare un tributo fin dalla sua origine facente carico ad un soggetto sol perchè egli è solidalmente obbligato a corrisponderlo al fisco, si risolve in un fuor d’opera, perchè se ciò che rileva è l’originaria riferibilità del tributo ad un soggetto non si può dar rilievo per ravvisarla al meccanismo di attuazione, che suppone la sua pregressa insorgenza ed è neutro sul presupposto di essa.

D’altro canto, la solidarietà tributaria, non diversamente da quella civilistica si riconnette a due fenomeni profondamente diversi, in quanto l’ordinamento tributario, allo stesso modo di quello civilistico, prevede l’attuazione solidale dell’obbligazione in relazione a due fenomeni diversi:

a) l’uno rappresentato dalle situazioni di condebito, cioè di contitolarità di una posizione debitoria fra più soggetti, quella che i civilisti chiamano obbligazione soggettivamente complessa ad attuazione solidale, caratterizzata dall’esistenza di un interesse comune a tutti i compartecipi; ed i tributaristi identificano nella c.d. solidarietà paritetica, caratterizzata dalla riferibilità del presupposto impositivo determinativo dell’obbligazione tributaria a più soggetti;

b) l’altro rappresentato da una situazione di presenza di più obbligati, ma dall’esistenza di un interesse riferibile ad uno solo e non a tutti, di modo che causa obligandi non è identica per i coobbligati, ma diversa: sono quelle situazioni di solidarietà fra più soggetti, che i civilisti chiamano di solidarietà ad interesse unisoggettivo e che non realizzano situazione di condebito, essendovi situazioni distinte riferibili a più soggetti, collegate fra loro in vincolo di solidarietà (es. responsabilità fideiussoria); ed i tributaristi di solidarietà c.d. dipendente (es. responsabilità del sostituito d’imposta).

Se nelle prima situazione la solidarietà si riconnette in diritto tributario ad un presupposto impositivo comune a tutti i soggetti, onde il tributo conseguente è riferibile fin dall’origine (seguendo, naturalmente, la teoria che l’obbligazione tributaria discenda dalla legge e non, come vuole una parte della dottrina, dall’accertamento:

seguendo questa seconda teorica i ragionamenti che si verranno svolgendo resterebbero vieppiù rafforzati) a tutti i soggetti che si vedono solidalmente gravati, al contrario, in relazione alla seconda situazione il presupposto impositivo è all’origine riferibile ad uno dei soggetti solidalmente responsabili, che assume la veste di debitore principale, e solo successivamente di riflesso, in relazione ad altra previsione di legge, che assume come presupposto la norma di previsione della imposizione a carico dell’altro soggetto, diviene riferibile al coobbligato solidale, sulla base di un presupposto del tutto distinto.

Ebbene tali rilievi, oltre ad escludere la risolutività della prospettazione della ricorrente, inducono a domandarsi se l’ipotesi di cui all’art. 17 citato (ora abrogato quanto dall’art. 9, comma 1, del D.P.R. n. 322 del 1998, comma 6: la dichiarazione congiunta è rimasta limitata all’ipotesi di legittimazione alla presentazione del modello 730, giusta del D.M. 31 maggio 1999, n. 164), art. 13, comma 4, là dove nell’ultimo comma prevede il vincolo di solidarietà dei coniugi dichiaranti, dia luogo ad una solidarietà del primo o del secondo tipo.

Il quesito trova una risposta nel comma 2, art. 17, il quale prevede che "ai fini della liquidazione dell’imposta sul reddito delle persone fisiche risultante dalla dichiarazione presentata a norma del comma precedente, le imposte nette determinate separatamente per ciascuno dei coniugi si sommano e le ritenute e i crediti di imposta si applicano sul loro ammontare complessivo".

ÿ evidente che vengono in rilievo due diversi presupposti impositivi riferibili a ciascun coniuge e ricollegati alla produzione dei redditi di ognuno, poichè solo ai fini della applicazione delle ritenute e del calcolo dei crediti di imposta le imposte nette si sommano. Ne consegue che non sembra dubitabile che, quando la solidarietà di cui al citato ultimo comma, viene fatta valere in riferimento ad un debito riferibile al reddito prodotto soltanto da un coniuge, l’altro non risponde in forza di un vincolo di solidarietà paritetica ma dipendente. Nel contempo, la previsione della determinazione delle imposte nette separatamente per ciascuno dei coniugi e della loro somma soltanto agli indicati effetti, palesa che i debiti d’imposta riferibili alla produzione del reddito separatamente da parte di ciascuno dei coniugi restano distinti anche oltre il momento della loro insorgenza, cioè fino al momento della determinazione dell’imposta. Tanto basta per ritenere che, quando il tributo per cui è prevista la solidarietà sia riferibile al reddito prodotto da uno solo dei coniugi ed è chiamato a risponderne l’altro, è integrata certamente l’ipotesi di cui al D.P.R. n. 180 del 1950, art. 2, n. 3, comma 1, cioè si tratta di tributo non facente carico fin dall’origine a quest’ultimo.

Del tutto inconferenti sono le argomentazioni con cui la ricorrente, soprattutto nella memoria illustrativa, fa leva sulla circostanza – che la giurisprudenza di questa Corte ha considerato ad altri fini – della dipendenza dell’applicazione dell’art. 17 da una scelta volontaria dei due coniugi. Questa scelta determina, infatti, solo l’assoggettamente al regime di attuazione del rapporto tributario individuato dalla norma e sfociante nella solidarietà, ma Concreta realizzazione del credito non ha alcun rilievo ai fini delle riferibilità originaria dei redditi e, quindi, del tributo dovuto a ciascuna delle posizioni dei soci.

Il terzo motivo è, dunque, rigettato sulla base del seguente principio di diritto: "In riferimento all’ipotesi di dichiarazione congiunta dai coniugi ai sensi della L. n. 114 del 1977, art. 17 ed alla responsabilità solidale di entrambi 1 coniugi, qualora per la riscossione coattiva del relativo tributo per la parte del debito di imposta a titolo di I.R.P.E.F., emergente dalla dichiarazione, che sia riferibile al reddito di un coniuge, abbia luogo l’esecuzione forzata su un credito dell’altro coniugo a titolo di pensione quale ex dipendente pubblico, non trova applicazione l’eccezione alla impignorabilità, prevista (nei limiti del quinto) dal D.P.R. n. 180 del 1950, art. 2, comma 1, in quanto il tributo in relazione al quale ha luogo l’esecuzione non può dirsi facente carico fin dalla sua origine al coniuge assoggettato all’esecuzione".

4. La novità della questione trattata nell’esame del terzo motivo ed in misura minore anche di quella trattata nell’esame del primo, integra giusta ragione per la compensazione delle spese del giudizio di Cassazione.

P.Q.M.

La Corte rigetta il primo ed il terzo motivo di ricorso. Compensa le spese del giudizio di Cassazione.

Testo non ufficiale. La sola stampa del bollettino ufficiale ha carattere legale.

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