Cass. pen. Sez. IV, Sent., (ud. 19-07-2011) 02-09-2011, n. 33015 Riparazione per ingiusta detenzione

Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole direttore del sito giuridico http://www.gadit.it/

Svolgimento del processo – Motivi della decisione

Con l’ordinanza resa in data 26.02.2010 Corte d’Appello di Venezia ha rigettato la richiesta di J.D., di riparazione per ingiusta detenzione, in riferimento al procedimento penale che lo aveva visto indagato per il delitto di cui al D.P.R. n. 309 del 1990, art. 73, conclusosi con provvedimento di archiviazione del GIP presso il Tribunale di Padova.

La Corte di Appello ha evidenziato che l’istante ha tenuto consapevolemente e volontariamente una condotta tale da costituire una prevedibile ragione di intervento dell’A.G. emergendo dagli atti alcune telefonate ed i risultati di un pedinamento dai quali si evince la contiguità del ricorrente con lo spaccio di droga.

Aggiunge che dalla sentenza del TAR del Veneto, in data 2.10.2003, emerge che correttamente il Questore di Padova "ha motivatamente desunto la pericolosità del soggetto dalla particolare tipologia del reato contestato ..".

Con il proposto ricorso per Cassazione l’istante denuncia violazione e falsa applicazione di legge e vizi di motivazione dell’atto, consistenti in una errata valutazione della condotta del ricorrente, apoditticamente ritenuta integrare l’ipotesi di colpa grave, gravità sulla quale manca una convincente ed analitica motivazione, che possa superare la valutazione del provvedimento di archiviazione, per la quale gli indicati elementi sono stati ritenuti inconsistenti o insufficienti per una affermazione di penale responsabilità. In particolare, si lamentano vizi di motivazione consistenti nella mancata individuazione di condotte o comportamenti del ricorrente concretanti l’ipotesi di colpa grave, legata con nesso di causalità alla misura detentiva ingiustamente sofferta. In sostanza, si adduce che l’impugnata ordinanza ha ravvisato, come fattore determinante la detenzione, soltanto la condotta contestata al ricorrente, la cui legittimità era stata successivamente accertata nel merito, oltretutto non indicando concreti fatti ed elementi, ma richiamando una sentenza del giudice amministrativo, confermativa del decreto del questore di Padova di espulsione dal territorio nazionale.

Con parere scritto il Procuratore Generale, nella persona del dott. Vito D’Ambrosio, ha chiesto annullarsi il ricorso con rinvio alla Corte d’Appello di Venezia, evidenziando che l’impugnata ordinanza non appare adeguatamente motivata in quanto in essa non vengono specificati, con riferimento al caso concreto, i comportamenti del ricorrente caratterizzati da spiccata leggerezza o macroscopica trascuratezza o evidente imprudenza.

Il ricorso va accolto.

Appare conferente il richiamo alla giurisprudenza di questa Corte secondo cui (cfr. fra tutte Cass. Pen., IVA sez., n. 2830, del 12.5.2000) "il sindacato del Giudice di legittimità sull’ordinanza che definisce il procedimento per la riparazione dell’ingiusta detenzione è limitato alla correttezza del procedimento logico giuridico con cui il giudice è pervenuto ad accertare o negare il presupposti per l’ottenimento del beneficio indicato. Resta invece nelle esclusive attribuzioni del giudice di merito la valutazione sull’esistenza e la gravità della colpa o sull’esistenza del dolo restando al giudice di legittimità soltanto il compito di verificare la correttezza logica del ragionamento".

Per il caso che ci occupa, l’iter argomentativo, seguito dalla Corte d’Appello, non resiste alle censure del ricorrente, atteso che i ravvisati comportamenti, ritenuti indici rilevatori della sussistenza del preciso nesso eziologico tra la condotta tenuta dall’istante – che lo ha posto nella obiettiva situazione di gravitò indiziaria – e la misura cautelare emessa, non sono stato affatto descritti nè per altro enunciati".

Non convince, invero, la motivazione dell’ordinanza impugnata laddove ha ritenuto che gli elementi probatori emersi nella fase delle indagini e rimasti provati con certezza denotano un comportamento gravemente colposo tenuto dall’istante che ha portato all’applicazione della misura cautelare restrittiva. Invero, l’argomentare dei giudici della riparazione rimane nel vago facendo essi riferimento "ad alcune telefonate" ed ai risultati di un pedinamento, senza specificare il tenore delle telefonate e se le stesse, unitamente al pedinamento, afferiscono alle indagini per cui v’è stata la detenzione.

La carenza di motivazione impone l’annullamento dell’impugnata ordinanza con rinvio alla Corte d’Appello di Venezia per un nuovo esame.

P.Q.M.

Annulla l’ordinanza impugnata con rinvio alla Corte d’Appello di Venezia per un nuovo esame.

Testo non ufficiale. La sola stampa del bollettino ufficiale ha carattere legale.

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