Cass. pen. Sez. IV, Sent., (ud. 19-07-2011) 02-09-2011, n. 33010

Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole direttore del sito giuridico http://www.gadit.it/

Svolgimento del processo

B.M. ricorre in cassazione avverso la sentenza, in data 17.12.2010, della Corte di Appello di Ancona che, in parziale riforma della sentenza di condanna emessa nei suoi confronti dal Tribunale di Ancona – sezione distaccata di Jesi – in ordine al delitto di furto aggravato, esclusa la recidiva contestata ha ridotto la pena inflitta in primo grado.

Con un primo motivo si denuncia violazione di legge per non avere la Corte d’Appello annullato la sentenza di primo grado in quanto inintelligibile, scritta a mano ed in alcuni punti con tratto indistinguibile. La Corte del merito non solo non ha accolto l’eccezione ma non ha neanche accennato in motivazione al problema della incomprensibilità.

Con un secondo motivo si rappresenta vizio di motivazione in riferimento alla ritenuta responsabilità dell’imputato in quanto vengono trascurati alcuni elementi di prova fondamentali. In effetti la tesi difensiva propone il tentativo di impossessamento di cavi di rami, posti lungo la tratta ferroviaria in quanto ritenuti abbandonati. Non v’è affatto la prova che gli stessi siano stati divelti dal ricorrente estraendoli da cunicoli in cui erano posizionati. Inoltre si contesta la carenza di prova in ordine al contestato e ritenuto furto consumato, trattandosi chiaramente nel caso di specie di tentativo.

Motivi della decisione

Il ricorso va dichiarato inammissibile.

Osserva il collegio in ordine al primo motivo: la circostanza che la Corte d’Appello abbia potuto valutare la motivazione della sentenza di primo grado e farla propria indica che essa, sebbene scritta a mano, fosse comprensibile ed in ragione di tanto non ha ritenuto di rispondere alla doglianza dell’appellante.

Ricorda preliminarmente il collegio, in punto di connotati dei vizi di motivazione deducibili in sede di legittimità ex art. 606 cod. proc. pen., comma 1, lett. e), che è inammissibile il motivo di ricorso che si risolva nella prospettazione di una diversa lettura del contesto probatorio, in quanto la Cassazione non è giudice delle prove, non deve sovrapporre la propria valutazione a quella che delle stesse hanno fatto i giudici di merito, ma deve stabilire se questi ultimi abbiano esaminato tutti gli elementi a loro disposizione, se abbiano dato esaustiva e convincente risposta alle deduzioni delle parti, se nell’interpretazione del materiale istruttorio abbiano esattamente applicato le regole della logica, le massime di comune esperienza e i criteri legali dettati in tema di valutazione delle prove; in modo da fornire la giustificazione razionale della scelta di determinate conclusioni a preferenza di altre (confr. Cass. Sez. Un. 29 gennaio 1996, n. 930; Cass. Sez. 1^, 4 novembre 1999, n. 12496): il vizio di motivazione denunciabile ex art. 606, comma 1, lett. e), non può cioè consistere nella mera deduzione di una valutazione del contesto probatorio ritenuta dal ricorrente più adeguata (Cass. pen., sez. 5^, 4 ottobre 2004, n. 45420), ma deve essere volto a censurare l’inesistenza di un plausibile e coerente apparato argomentativo a sostegno della scelta operata in dispositivo dal giudicante.

L’applicazione degli esposti principi al caso di specie impone la declaratoria di inammissibilità del ricorso.

La Corte d’Appello ha invero indicato con puntualità, chiarezza e completezza tutti gli elementi di fatto e di diritto posti a fondamento della decisione adottata, facendo proprio l’impianto argomentativo della sentenza di primo grado, ma recependolo in maniera analitica, persuasiva e scevra da vizi logici, confutando la diversa valutazione delle risultanze istruttorie compiuta dalla difesa dell’imputato.

E’ da rilevare, infatti, che la tesi oggetto dei motivi del presente ricorso, sotto una veste meramente fattuale, già era stata sottoposta all’esame della Corte d’Appello, la quale, puntualmente, ha considerato le giustificazioni difensive prospettate dall’imputato.

Per aderire alla tesi dell’imputato dovrebbe essere rimasto accertato che il rame venne sottratto da altri dai luoghi ove era riposto e lasciato abbandonato lungo la sede ferroviaria, per poi essere "raccolto" dal ricorrente e dal suo complice minorenne. La ricostruzione non ha un minimo di riscontro probatorio e del resto, anche se la si volesse considerare in via di ipotesi, comunque i cavi di rame sono stati sottratti dal B. e dal complice B. e ne avevano acquistato il possesso, non potendosi certo ritenere che trattatasi di materiale abbandonato in ragione del notevole valore commerciale. Resta il fatto, che in punto di logica, la detenzione del materiale da parte del ricorrente, nel contesto descritto dai testimoni, va collegata alla sottrazione dello stesso dal luogo ove era conservato e con le modalità contestate.

Quanto al secondo motivo il fatto che il ricorrente stesse già portando via il materiale sottratto impedisce la configurazione del tentativo essendosi già concretizzata la condotta tipica del reato di furto. Alla dichiarazione di inammissibilità del ricorso segue la condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali nonchè alla somma di Euro 1000,00 in favore della cassa delle ammende.

P.Q.M.

Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali nonchè alla somma di Euro 1000,00 in favore della cassa delle ammende.

Testo non ufficiale. La sola stampa del bollettino ufficiale ha carattere legale.

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