Corte Suprema di Cassazione Sezione Feriale Sentenza n. 34189 del 2006 deposito del 12 ottobre 2006

Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole direttore del sito giuridico http://www.gadit.it/

Osserva

La Procura della Repubblica presso il Tribunale di Roma conduce indagini preliminari a carico dei seguenti soggetti che, all’epoca dei fatti, rivestivano le qualifiche ed esercitavano le funzioni per ciascuno appresso specificate: G? G?, assessore della Giunta regionale del Lazio; F? V?, direttore sanitario della Asl Rm/C; M? B?, presidente dell’Ipab San Michele; M? C?, funzionario amministrativo e direttore Uoc Risorse finanziarie della ASl Rm/B, nonché direttore amministrativo della Asl Rm/C; P? C?, funzionario amministrativo e direttore Uoc risorse finanziarie della Asl Rm/B; Cosimo speziale, direttore generale della Asl Rm/B; M? P?, responsabile del dipartimento per l’accreditamento della Asl Rm/A, prima e direttore dell’ufficio accreditamento della Asl Rom/B, poi; C? D?, funzionaria della Regione Lazio quale dirigente dell’area sistemi di finanziamento; M? M?, direttore generale della Asl Rma/A; B? C?, direttore generale della Asl Rm/B; F? D?’O?, funzionario, prima della Asl Rm/A e poi della Asl Rm/B; B? B?, direttore generale della Asl Rm/C; M? M?, amministratore della Ikt Srl e della Fkt Srl, già amministratore ed attuale socia della Imps Srl e della Medi Com Srl, i coniugi A? G? I? ed A? C?, titolari delle dette e di altre società, fra cui la Società delle province del dott. T? & C. tutte facenti capo al gruppo societario I?-C? e R? T?, commercialista del detto gruppo, con compiti di tenuta delle scritture contabili e predisposizione di false fatture, nonché di tutto quanto necessario alla liquidazione ed al pagamento di falsi mandati emessi in favore delle società sopra menzionate.

Nell’ambito di tali investigazioni il Gip del detto tribunale ha emesso, il 15 giugno 2006 una prima ordinanza di custodia cautelare in carcere a carico del C?, della I?, del C?, del P?, del T?, della D’A?, del C?, del M?, del C?, dello S?, del B? e del F? ed, in data 6 luglio 2006 ordinanza di custodia cautelare in carcere a carico del G?, del C?, della I?, dello S? del B?, del V? e del B?. Il G?, destinatario della seconda delle menzionate ordinanze, la cui sola posizione è oggetto del presente procedimento incidentale, è indagato in ordine ai reati di associazione per delinquere finalizzata alla commissione di un numero indeterminato di reati contro il patrimonio, la fede pubblica e la Pa, in seno alla quale avrebbe rivestito, insieme ad altri dei co-indagati, il ruolo di organizzazione e direttore (articolo 416 Cp) nonché di corruzione per atti contrari ai doveri d’ufficio (articolo 319 Cp) per avere ricevuto dai coniugi C?-I?:

– dal 2001 fino ai primi mesi del 2005 la somma mensile di euro 25.000 e regali di rilevante valore economico, fra cui una vacanza in Sardegna unitamente alla moglie, al fine di fare ottenere loro, da parte del B? e dello S?, note e/o convenzioni delle dette Asl in favore della Ikt Srl che veniva autorizzata, pur in assenza di accreditamento regionale ed in attesa che esso venisse concesso, ad effettuare prestazioni con onere a carico delle strutture sanitarie pubbliche, a trasferire la gestione contabile alla Imps Srl ed alla Medi.Com Srl e ad ottenere il pagamento di fatture delle dette società;

– in epoca successiva e prossima al 14 marzo 2003 la somma in euro di un miliardo e duecento milioni delle vecchie lire, per fare ottenere loro due delibere della Giunta regionale del Lazio, la n. 221 del 14 marzo 2003 e la n. 470 del 23 maggio 2003, con le quali la Ikt Srl veniva accreditata prima per trecento e poi per 350 prestazioni a carico del servizio sanitario locale;

– alla fine del 2004, in più soluzioni, la somma in euro di circa due miliari delle vecchie lire per fare ottenere loro l’autorizzazione, ai sensi dell’articolo 58 legge 64/1987, all’apertura della Casa di cura privata ?Centro romano S. Michele?, nonché la delibera 188/2005 con la quale la Giunta regionale del Lazio dava attuazione allo schema di protocollo d’intesa 193/2005 del Consiglio regionale.

Afferma, il Gip che a carico del G? i gravi indizi di colpevolezza, in ordine ai delitti oggetto d’indagine, sono desumibili dalla lunga ed analitica attività investigativa svolta dai Carabinieri del nucleo operativo di Roma, nonché dalle dichiarazioni accusatorie, analitiche e circostanziate, dettagliatamente riportate nel provvedimento cautelare, rese dai coniugi I?-C?, i quali al momento dei loro interrogatori non erano a conoscenza degli esiti delle indagini di Pg e dell’ammissione dei fatti da parte del M?.

Aggiunge il Gip:

1. che è stato accreditato come nessuna delle strutture delle quali, all’epoca dei fatti, la I? era titolare, possedesse i requisiti di legge per l’accreditamento automatico presso le Asl e l’ottenimento di convenzioni con le stesse;

2. che la I? ha affermato essere stato, l’esito favorevole delle proprie richieste, raggiunto attraverso il compimento di una serie di atti amministrativi, l’acquisizione di un immobile ed istanze suggeriti e/o agevolati dal G?, il quale all’uopo era intervenuto presso i competenti funzionari delle Asl e della Regione Lazio;

3. che le dichiarazioni accusatorie della I? hanno trovato numerosi e specifici riscontri oggettivi costituiti, fra l’altro dalle testimonianze rese da tale Massimari direttore amministrativo della Asl Rm/B e da tale Foglia, sanitario presso la stessa Asl, i quali hanno detto non solo di non avere mai firmato le delibere, false, apparentemente da loro sottoscritte, ma di non averne mai conosciuto il contenuto, nonché da Chiara Sfondrini, la quale ha espressamente ammesso che dette delibere erano state falsamente predisposte nel 2005 e ad esse era stato apposto un numero di protocollo tale da farle apparire come adottate entro il 31 dicembre dell’anno precedente; dall’avvenuto accertamento che, effettivamente, il G? e la moglie avevano soggiornato, nell’agosto 2001 presso l’Hotel Pitrizza di Arzachena, in Sardegna ed il loro soggiorno era stato pagato, a parte la prima notte, dalla I?, come riferito anche al direttore dello stesso albergo; del fatto che effettivamente, con le delibere 221 e 470 adottate dalla Giunta regionale del Lazio nel marzo e nel maggio 2003 lo schema del loro contenuto era stato stravolto e, non solo il numero delle prestazioni a carico del servizio sanitario era stato prima fissato in trecento e poi aumentato a 350 ma era stata soppressa la specificazione che doveva trattarsi di prestazioni ambulatoriali, così consentendo l’effettuazione di prestazioni domiciliari, difficilmente controllabili e di prestazioni presso strutture non accreditate, quali quella in via dei Monti di Pietralata e quella in piazza dei Consoli, a Roma, dalle dichiarazioni rese dal marito, Andrea C?, circa i versamenti periodici di denaro al G?; dagli accertati prelevamenti di rilevanti somme di denaro in contanti, confermati anche da P? Contigliozzi, direttore dell’agenzia della Banca Popolare Commercio sita ai Parioli, in Roma, il quale era solito portare personalmente o a mezzo di suoi collaboratori, a casa della I?, le somme di denaro richieste, fra cui quella di euro 600.000,00 in data 12 marzo 2003, prelevamenti coincidenti o immediatamente precedenti l’adozione degli atti o delle delibere sopra menzionati, effettuati sul cc 4249 intestato alla Rp med società artatamente creata per consentire la gestione del denaro contante proveniente dalle società del gruppo; dalla circostanza significativa che per la locazione dell’immobile presso cui era stata poi aperta la Casa di cura privata denominata Centro Romano S. Michele concessale dal B?, presidente dell’Ipab con delibera 94 dell’11 aprile 2001, la I? aveva depositato, in data 27 febbraio 2001, l’offerta del canone annuo di euro 542.279,94 che portava la data del 16 febbraio 2001 vale a dire di quattro giorni prima di quella in cui i tecnici del ministero delle Finanze incaricati dall’ente, avevano comunicato l’esito della loro valutazione indicante un canone annuo non superiore del 10% (oscillazione consentita) rispetto a quello offerto dalla I?, il che lasciava ragionevolmente e logicamente intendere come la valutazione ministeriale fosse stata in anteprima comunicata all’interessata; dal fatto che il G? ed il V? avevano chiesto alla I? insistentemente di entrare a fare parte, quali soci, della società che gestiva la Casa di cura da ultimo menzionata e, non essendo stata accolta tale loro istanza, le pratiche per l’ottenimento dell’autorizzazione necessaria al funzionamento della stessa, iniziate nel 2002, si erano bloccate, per poi riprendere un iter sollecito dopo la promessa di dazione, al G? ed al B?, della somma complessiva di cinque miliardi di vecchie lire, circostanza confermata dal fatto che solo con delibera del 17 gennaio 2005 la Regione aveva autorizzato l’apertura della detta Casa di cura, come idonea all’esercizio di attività riabilitative post-acuzie, in un immobile peraltro completamente vuoto e privo di qualsiasi attrezzatura o suppellettile, secondo quanto accertato dai Carabinieri del Nas con ispezione del 26 maggio 2005.

Nell’ordinanza di custodia cautelare si evidenzia, altresì, che non potendosi reperire altri posti letto da accreditare alla I?, tenuto conto delle previsioni del piano sanitario regionale e delle ristrettezze del relativo bilancio, si era fatto ricorso ad una manovra articolata, non realizzabile senza l’apporto dei massimi livelli decisioni della Regione Lazio, consistita nell’utilizzazione di posti letto, non ancora attivi, normativamente in carico al Policlinico Universitario Tor Vergata ed attribuito, previa apposita convenzione, alla struttura della I?.

Tale manovra, tuttavia, non aveva sortito l’effetto sperato in quanto gli atti amministrativi necessari erano stati bloccati, non avendo la I? completato il versamento, al G? ed al V?, della pattuita somma di cinque miliardi delle vecchie lire.

Il Gip, preso atto delle parziali ritrattazioni a volte operate dalla I? nel corso dei vari interrogatori resi, delle indecisioni dalla stessa qualche volta manifestate e del rifiuto della medesima, in alcune occasioni, di fornire ulteriori dettagli, ha affermato che trattasi di comportamenti inidonei a scalfire il giudizio di attendibilità intrinseca del soggetto, comprensibili in considerazione del fatto che ha accusato personaggi di particolare importanza e rilievo politico e non rilevanti, stante l’analiticità dei dettagli forniti in ordine a materie tecnico-sanitarie regolate da specifiche norme, attuabili con procedure complesse, ricostruite con difficilmente pareggiabile lucidità.

Aggiunge ancora, il Gip che alla luce delle indagini esperite deve ritenersi che il G? abbia posto in essere, in favore della I?, comportamenti diretti ad agevolare la stessa con atti anche di competenza di funzionari e persone a lui legati o da lui funzionalmente o politicamente dipendenti e che il vincolo sodale che ha legato fra loro gli indagati dimostra come fra gli stessi si fosse costituita un?associazione delinquenziale finalizzata al compimento di una serie indeterminata di reati contro la fede pubblica, il patrimonio e la Pa, per ottenere ingenti vantaggi economici, dotata di organizzazione idonea al raggiungimento degli scopi prefissati, nella quale il G?, per la posizione di vertice che aveva, le funzioni assessoriali che esercitava ed il ruolo politico che rivestiva, aveva certamente avuto il ruolo di organizzatore e direttore.

Le esigenze cautelari poste a fondamento della misura personale coercitiva di che trattasi sono quelle determinate dal pericolo di reiterazione di fatti della stessa specie di quelli per i quali si procede e di inquinamento probatorio, desunti dalla particolare gravità dei fatti, dall’allarme sociale che hanno suscitato, dal lungo periodo di tempo durante il quale gli illeciti sono stati perpetrati, dal coinvolgimento contemporaneo di organi direttivi delle più grandi aziende sanitarie del Lazio e di dirigenti della Regione, dall’avvenuta manipolazione di strumenti societari del Lazio e di dirigenti della Regione, dell’avvenuta manipolazione di strumenti societari e bancari dalla predisposizione di complesse strategie illecite riguardanti procedure amministrative, dalla forza intimidatrice del sodalizio criminoso, rivelatasi idonea a superare qualsiasi ostacolo o difficoltà burocratici, dalla considerazione che, proprio in ragione della posizione e delle qualità personali degli indagati, nonché dei rapporti da loro intrattenuti per lungi anni con funzionari pubblici ed, in particolare, per il G?, in ragione del ruolo di assoluto rilievo che attualmente ha nel consesso elettivo regionale, pur non facendo più parte della relativa giunta, quest?ultimo, se lasciato libero, potrebbe esercitare illecite pressioni al fine di ostacolare la genuina acquisizione o conservazione delle prove e porre in essere ulteriori comportamenti delittuosi.

Specifica il Gip che la richiesta del G? di rendere spontanee dichiarazioni era stata disattesa perché alle argomentazioni difensive, probabilmente generiche, che avrebbe prospettato, avrebbero dovuto seguire puntuali contestazioni in quel m omento premature ed inopportune, essendo in corso indagini preliminari volte ad un più puntuale accertamento dei fatti, i cui esiti si era ritenuto di non propalare ancora e che la misura cautelare della custodia in carcere appariva come l’unica idonea a tutelare le ravvisate esigenze cautelari.

Avverso tale ordinanza il G? ha proposto, tramite i propri difensori, ricorso diretto per Cassazione a orma dell’articolo 311 comma 2 c.p.p. e ne chiede l’annullamento per violazione di legge e carenza ed illogicità di motivazione.

Il ricorrente deduce, anche con motivi aggiunti datati 16 agosto 2006, la violazione degli articoli 273 comma 1bis e 274 c.p.p. sostenendo che illegittimamente sarebbero stati ritenuti sussistenti, a suo carico, gravi indizi di colpevolezza in ordine ai reati oggetto di investigazione, sulla base delle dichiarazioni accusatorie rese dalla co-indagata A? G? I?, sebbene esse siano contraddittorie, in alcune parti ritrattate e, comunque, sfornite di riscontri individualizzanti e che i pericoli di reiterazione di fatti della stessa specie di quelli per i quali si procede e di inquinamento probatorio, posti a fondamento della misura personale coercitiva applicatagli sarebbero privi dei requisiti dell’attualità e concretezza, prescinderebbero dalla valutazione della sua personalità e sarebbero sorrette da motivazione generica ed inadeguata.

In particolare, il G? rileva:

a) che, relativamente alla locazione dell’immobile destinato alla Casa di cura privata denominata ?Centro romano S. Michele? la supposta conoscenza anticipata, da parte della I?, ad opera di esso indagato, della stima fatta dai tecnici del ministero delle Finanze, sarebbe stata considerata illegittimamente quale riscontro oggettivo delle dichiarazioni accusatorie della donna, sia perché non costituisce un fatto certo ed è frutto di mera ipotesi non suffragata da prove, sia perché comunque non sarebbe individualizzante, non essendovi elementi che consentano di attribuire a lui la paternità della ipotetica informazione, fra l’altro irrilevante perché la locazione dell’immobile alla I? non venne effettuata all’esito di una gara pubblica, ma di trattativa privata;

b) che relativamente al soggiorno suo e della moglie presso l’hotel Pitrizza di Arzachena, peraltro protrattosi per una sola settimana e non per quindici giorni come detto nel provvedimento impugnato, il riscontro delle dichiarazioni accusatorie della I? sarebbe stato illegittimamente rinvenuto in quanto riferito dal direttore dell’albergo, sentito telefonicamente dalla polizia giudiziaria a distanza di anni, stante che il ricorso dello stesso è confuso ed imprecisato ed è illogico che egli abbia pagato solo la prima sera di soggiorno in albergo, mentre le altre sarebbero state saldate dalla donna, non si sa in che modo ed in quale forma;

c) che, relativamente alla presunta corresponsione di denaro più volte fattagli dalla I?, le dichiarazioni dal marito della stessa non avrebbero dovuto essere valutate come riscontro oggettivo dell’accusa mossagli dalla donna, sia perché egli, pur avendo affermato di avere confezionato le buste contenenti il denaro, non ha detto di essere mai stato presente alla consegna di alcuna di esse, sia perché fra le dichiarazioni dei due vi sarebbero notevoli divergenze sostanziali in rodine all’ammontare di una delle somme (due miliardi di lire per la I?, un miliardo e mezzo per il C?) ed alla cadenza periodica dei versamenti (mensile per la prima ed in due soluzioni per il secondo) sia infine perché, trattandosi di narrazioni incrociate, per potersi sostenere a vicenda avrebbero dovuto essere indipendenti ed, invece, non lo sono, essendo frutto di reciproche influenze;

d) che sarebbe stata tralasciata la valutazione del fatto, rilevante, che egli non risulta avere mai partecipato ad alcuna delle delibere regionali adottate nei confronti della I?, né alla preparazione o redazione del loro contenuto;

e) che il pericolo di inquinamento probatorio avrebbe dovuto essere valutato previo esame della sua personalità e consolo con riferimento alla natura ed alla ritenuta gravità dei fatti e che la concretezza ed attualità di esso e di quello di inquinamento probatorio, non sarebbero state motivate, né desunte da specifici fatti concreti;

f) che, inoltre, sarebbe stata omessa la considerazione del fatto che egli, non essendo più assessore regionale, ma solo consigliere di minoranza, non potrebbe più commettere fatti delittuosi della specie di quelli attribuitigli, fra l’altro ormai risalenti nel tempo;

g) che sarebbe illogico l’avere tratto argomento a sostegno del pericolo di inquinamento probatorio dalla circostanze che egli, chiedendo di rendere spontanee dichiarazioni, avrebbe voluto acquisire la conoscenza di elementi indizianti a suo carico per poi inquinarli, visto che la stampa aveva già dato notizia di molti di tali elementi;

h) che non sarebbero state specificate le ragioni per le quali non avrebbero potuto essere adottate altre misura cautelari, meno afflittive di quella applicatagli.

Motivi della decisione

Il ricorso va dichiarato non ammissibile perché con esso si lamentano vizi di motivazione del provvedimento impugnato, non deducibili in questa sede e perché il vizio di violazione di legge, nei termini in cui è prospettato, è sorretto da argomentazioni manifestamente infondate. In conseguenza, il ricorrente deve essere condannato, a mente dell’articolo 616 c.p.p. al pagamento delle spese processuali e, non vertendosi in ipotesi di causa di inammissibilità non dovuta a colpa, anche al versamento della somma di denaro indicata in dispositivo, equa in considerazione delle ragioni di palese infondatezza dell’impugnazione.

Va preliminarmente rilevato, infatti, che come già statuito da questa Cs anche a Su, a mente dell’articolo 311 comma 2 c.p.p., quando viene direttamente impugnata in sede di legittimità l’ordinanza di custodia cautelare in carcere, con il ricorso è deducibile solo il vizio di violazione di legge, non anche quello di difetto o di illogicità di motivazione, a meno che questa non sia ipotesi che non ricorre nel caso in specie graficamente carente, meramente apparente o talmente illogica da essere considerata inesistente, nei quali casi si rientra nella violazione dell’articolo 125 comma 3 c.p.p., il quale impone che le ordinanze debbano essere motivate, a pena di nullità (v. conf. Cassazione, Su, 24/2/99, Pacini Battaglia e Sezione prima penale, 27/4/99 Vilella). I difetti attinenti alla motivazione possono essere dedotti solo con la richiesta di riesame della ordinanza impositiva della misura cautelare ed il Tribunale, in quella sede, ha poteri di integrazione e rettifica della motivazione della detta ordinanza.

Da ciò discende che, nella fattispecie, le censure con le quali si sono dedotti carenza ed illogicità di motivazione vanno dichiarate non ammissibili.

A norma dell’articolo 273 comma 1 c.p.p. nessuno può essere sottoposto a misure cautelari personali coercitive se a suo carico non esistono gravi indizi di colpevolezza in ordine al reato o ai reati ascrittigli.

Il termine ?indizi? ha, evidentemente, significato e valore diversi a seconda che con esso si faccia riferimento agli elementi di prova necessari e sufficienti per affermare la responsabilità di un soggetto in ordine ai reati contestatigli, ovvero a quelli legittimanti una misura cautelare personale coercitiva, come la custodia in carcere.

Nel primo caso, infatti, per indizi si intendono le prove cosiddette logiche o indirette, attraverso le quali da un fatto certo si risale, per massime di comune esperienza, ad uno incerto, mentre nel secondo caso la parola ?indizi? fa riferimento anche alle prove cosiddette dirette le quali, al pari di quelle indirette, debbono essere tali da far apparire probabile la responsabilità dell’indagato in ordine al fatto o ai fatti per i quali si procede.

l’indirizzo richiesto dall’articolo 273 c.p.p. ai fini dell’adozione di una misura cautelare non coincide con quello di cui all’articolo 192 comma 2 dello stesso codice, che indica i criteri di valutazione della prova logica indiziaria, necessaria e sufficiente per affermare la responsabilità dell’imputato in ordine al reato ascrittogli.

La prima delle richiamate disposizioni, invero, non richiede anche l’univocità e la convergenza ? quindi la pluralità ? dei dati indizianti, bensì soltanto la gravità di essi. Il concetto di ?gravità? dell’indizio non può essere identificato con quello di ?sufficienza? di esso, da cui si distingue sia quantitativamente che qualitativamente in quanto postula l’obiettiva precisione dei singoli elementi indizianti che, nel loro complesso, debbono essere ? per la loro convergenza ? tali da consentire di pervenire ad un giudizio il quale, pur senza raggiungere il grado di certezza richiesto per la condanna, sia di alta probabilità dell’attribuibilità del reato dell’indagato.

Con l’articolo 11 della legge 63/2001 al citato articolo 273 c.p.p. è stato aggiunto il comma 1bis il quale stabilisce che ?nella valutazione dei gravi indizi si applicano le disposizioni degli articoli 192 comma 3 e 4, 195 comma 7, 203 e 271 comma 1?.

La prima delle richiamate norme (articolo 192 comma 3 c.p.p.) prescrive che le dichiarazioni rese dal coimputato del medesimo reato o da persona imputata in un procedimento connesso a norma dell’articolo 12 dello stesso codice, debbono essere valutate ?unitamente agli altri elementi di prova che ne confermano l’attendibilità?, dal che discende che non basta accertare l’attendibilità intrinseca del chiamante in reità o correità, ma occorre che le dichiarazioni accusatorie di costui siano riscontrate oggettivamente da elementi cosiddetti ?individualizzanti? vale a dire riferibili all’accusato.

Le Su di questa Cs, con sentenza 30/5/06 (ric. Pm c. Spennato), hanno affermato il principio della necessità che, ai fini della gravità indiziaria richiesta dall’articolo 273 comma 1bis c.p.p., la chiamata in correità, pur se ritenuta intrinsecamente attendibile, deve essere confermata da riscontri individualizzanti.

Questi, però, debbono essere valutati non singolarmente, ma nel loro complesso.

Ciò premesso, la Corte rileva che motivo di censure, in questa sede, può essere soltanto la violazione, da parte del giudice di merito, del dovere di indicare, con motivazione adeguata, corretta e non manifestamente illogica, le ragioni per cui i gravi indizi di colpevolezza siano stati ritenuti esistenti, sempre che il vizio che si intende denunziare risulti dalla stessa motivazione del provvedimento impugnato, esulando dalla cognizione della Corte di legittimità la valutazione degli elementi indizianti e delle esigenze cautelari, che rientra invece nell’esclusiva competenza del giudice di merito al quale l’indagato G? avrebbe potuto rivolgersi chiedendogli, in sede di riesame, una nuova delibazione di essi (v. Cassazione, Sezione prima penale 13/2/92 Trabia; 28/4/93, Verde; 31/5/93, Carciotto; Sezione terza, 24/3/95, Sabanovic; 28/4/97, Surana; 6/6/00, Petrozzi e 3/12/03, Scotti).

Nella fattispecie in esame il Gip ha posto in rilievo che gli indizi di colpevolezza a carico del ricorrente sono stati desunti dalle complesse ed analitiche indagini di Pg esperite, nonché dalle dichiarazioni accusatorie della I?, le quali hanno trovato riscontro in quelle del marito Andrea C?, nell’ammissione dei fatti da parte del M? ed in altre dichiarazioni testimoniali, specificamente indicate.

Si legge, nella motivazione dell’ordinanza impugnata, che le dette indagini hanno accertato come nel lungo arco di tempo intercorrente fra gli anni 2001 e 2005 la I? abbia distribuito ingenti somme di denaro al fine di corrompere pubblici ufficiali ed indurli a compiere atti contrari ai doveri del loro ufficio, onde ricavarne vantaggi ed utilità economiche.

Nel corso delle indagini di che trattasi la I? ha anche indicato le persone alle quali aveva corrisposto il denaro e, fra loro, ha inserito il G?.

Le dichiarazioni della donna sono state legittimamente valutate unitamente agli elementi di prova che avrebbero potuto confermarne l’attendibilità.

In quest?ottica risultano richiamati: – le testimonianze rese da tale Massimari, direttore amministrativo della Asl Rm/B e da tale Foglia, sanitario presso la stessa Asl, nonché da Chiara Sfonfrini; – l’avvenuto accertamento che, effettivamente, il G? e la moglie avevano soggiornato, nell’Agosto 2001, presso l’Hotel Pitrizza di Arzachena in Sardegna; – le delibere 221 e 470 adottata dalla Giunta regionale del Lazio nel marzo nel maggio 2003; – le dichiarazioni rese dal marito della I?, A? C?, circa il versamenti periodici di denaro al G? effettuati dalla moglie; – gli accertati prelevamenti di rilevanti somme di denaro in contanti, confermati anche da P? Contigliozzi, direttore dell’agenzia della Banca Popolare Commercio sita ai Parioli, in Roma, il quale era solito portare personalmente o a mezzo di suoi collaboratori, a casa della I? le somme di denaro richieste, prelevate dal c/c 4249, intestato alla Rp Med, società artatamente creata, come confermato dal commercialista T?, per consentire la gestione del denaro contante proveniente dalle società del gruppo; – la circostanza, ritenuta sospetta e significativa, che per la locazione dell’immobile presso cui doveva essere aperta la Casa di cura privata denominata ?Centro Romano S. Michele?, concessale dal Buttrelli, presidente dell’Ipab, con delibera 94 dell’11 aprile 2001, la I? aveva depositata, in data 27 febbraio 2001, l’offerta del canone annuo di euro 542.279,94 che portava la data del 16 febbraio 2001, vale a dire di quattro giorni prima di quella in cui tecnici del ministero delle Finanze, incaricati dall’Ente, avevano comunicato l’esito della loro valutazione indicante un canone annuo non superiore del 10% (oscillazione consentita) rispetto a quello offerto; – il fatto che il G? ed il V? avrebbero chiesto alla I? insistentemente di entrare a far parte, quali soci, della società che gestiva la casa di cura da ultimo menzionata e, non essendo stata accolta tale loro istanza, le pratiche per l’ottenimento dell’autorizzazione necessaria al funzionamento della stessa, iniziate nel 2002, si erano bloccate, per poi riprendere un iter sollecito dopo la promessa di dazione, al G? ed al B?, della somma complessiva di cinque miliardi di vecchie lire, circostanza confermata dal fatto che solo con delibera del 17 gennaio 2005 la Regione aveva autorizzato l’apertura della detta casa di cura, come idonea all’esercizio di attività riabilitative post-acuzie, in un immobile completamente vuoto e privo di qualsiasi attrezzature o suppellettile, come accertato dai Carabinieri dal Nas con ispezione del 26 maggio 2005.

Orbene, fra tali riscontri ve ne sono due, certamente individualizzanti nei confronti del G?, quello relativo al soggiorno dello stesso e della moglie nell’hotel Pitrizza di Arzachena, confermato dal direttore dello stesso albergo anche in ordine all’avvenuto pagamento di esso da parte della I? e quello costituito dalle dichiarazioni del C?, il quale non solo ha affermato che preparava le buste contenenti il denaro, ma ha detto che era a conoscenza delle persone alle quali la moglie lo consegnava e delle ragioni per le quali veniva dato.

Nessuna valutazione può essere fatta, in questa sede di legittimità, in ordine all’attendibilità di tali testimonianze ed ai dettagli dei fatti riferiti.

Di ciò avrebbe dovuto, semmai, essere investito il Giudice del riesame.

Nella valutazione degli elementi già emersi in sede di indagini preliminari il Gip ha considerato che una delle ipotesi di accusa è che fra gli indagati si fosse costituita una associazione per delinquere finalizzata alla commissione di numerosi reati contro la Pa, la fede pubblica e il patrimonio e che, dunque, fra gli stessi esistesse un accordo in virtù del quale ciascuno di loro non doveva concorrere materialmente nella perpetrazione dei singoli reati, stante la diversità dei ruoli e delle funzioni esercitate nell’ambito della Regione Lazio e delle Aziende sanitarie interessate.

Le dichiarazioni della I? e del marito, co-indagati unitamente al G?, appaiono coincidenti in ordine ai fatti salienti che hanno riferito.

l’apprezzamento delle discrasie denunciate dal ricorrente e dell’ipotetica influenza delle dichiarazioni dell’uno su quelle dell’altro, non può costituire oggetto del giudizio di legittimità che la Corte oggi è chiamata ad esprimere in sede di ricorso diretto, ex articolo 311 comma 2 c.p.p., avverso l’ordinanza di custodia cautelare in carcere.

Conclusivamente, sul punto, la Corte rileva che il provvedimento impugnato ha assolto all’obbligo di individuazione dei gravi indizi di colpevolezza ravvisati a carico del G?, desunti anche dalle dichiarazioni accusatorie della I?, la cui attendibilità intrinseca appare valutata con motivazione adeguata e non manifestamente illogica, al pari degli elementi di riscontro analiticamente analizzati.

In tema di esigenze cautelari la norma di cui all’articolo 274 lettera c) c.p.p. si riferisce alla probabile reiterazione di reati ?della stessa specie? che offendono cioè lo stesso bene giuridico, non già soltanto alla commissione dello stesso specifico reato per il quale si procede (v. Cassazione, Sezione terza penale, 6/6/97 Pirazzini e 4/11/03 Corso).

La prognosi di pericolosità sociale di che trattasi, cui è ancorato il pericolo concreto di reiterazione di fatti della stessa specie di quelli per i quali si procede, può ben essere fondata anche su fatti criminosi in corso di accertamento giudiziale, ivi compreso quello per il quale la misura cautelare viene adottata o mantenuta in vita, senza che ciò violi la presunzione di innocenza del cittadino non ancora raggiunto da sentenza di condanna passata in giudicato, trattandosi di giudizio incidentale, allo stato degli atti (Cassazione, Sezione prima penale, 8/3/01, Coroneo; Sezione sesta penale, 20/2/02, Mascheri e 21/11/01, Russo, Sezione terza penale, 19/4/00 Borselli).

Ai fini della sussistenza dell’esigenza cautelare di cui all’articolo 274 comma 1 lettera c) c.p.p., i ?comportamenti o atti concreti? da prendere in esame quali elementi rivelatori della personalità dell’imputato ben possono essere desunti anche dalle sole ?specifiche modalità o circostanze del fatto? per cui si procede, dovendosi la norma anzidetta interpretare conformemente alla logica complessiva di un sistema che risulta caratterizzato, fra l’altro, dalla presenza dell’articolo 275 comma 2bis c.p.p., in base al quale la custodia cautelare in carcere non può essere disposta quando il giudice ritiene che possa essere concessa la sospensione condizionale dell’esecuzione della pena, ipotesi ? questa ? per escludere la quale è sufficiente una valutazione prognostica negativa basata anche su uno solo degli elementi indicati nell’articolo 133 Cp, sicché sarebbe contraddittorio ammettere la possibilità di applicazione della più grave fra le misure cautelari sulla base del testé indicato giudizio prognostico negativo e poi pretendere che a detta applicazione non possa tuttavia addivenirsi in quanto lo stesso elemento posto a base di quel giudizio sarebbe da considerare insufficiente ai fini di una analoga valutazione prognostica prevista da altra norma, avente carattere generale, relativa a tutte le misure cautelari personali, anche a quelle meno afflittive della custodia in carcere (Cassazione, Sezione prima penale 18/1/01 Martino). Il requisito della concretezza, richiamato dall’articolo 274 comma 1 lettera c) c.p.p. non si identifica con quello dell’attualità derivante dalla riconosciuta esistenza di occasioni prossime, favorevoli alla commissione di nuovi reati, dovendo esso ? al contrario ? essere riconosciuto alla sola condizione che esistano elementi concreti sulla base dei quali possa ritenersi che l’indagato, verificandosene la occasione, possa commettere reati della stessa specie di quelli per i quali si procede, nell’accezione sopra specificata (Cassazione, Sezione prima penale 10347/04).

Del resto, dalla sola assenza di precedenti penali non può automaticamente desumersi la mancanza di pericolosità sociale dell’indagato e, quindi, la non configurabilità dell’esigenza cautelare di che trattasi, dovendosi ritenere che questa possa essere desunta anche da uno solo dei due parametri di valutazione previsti dalla disposizione di legge, quello relativo alla specifica e concreta gravità dei fatti (Cassazione, Sezione terza penale 9/7/01 Mangia).

In ordine al pericolo di inquinamento probatorio occorre, anzitutto, ricordare che le esigenze cautelari tutelate dall’articolo 274 lettera a) c.p.p. non riguardano solo quelle investigative in senso stretto, ma concernono anche l’acquisizione della prova e la conservazione della sua genuinità (Cassazione, Su penali 12/12/94, De Lorenzo, Sezione seconda penale, 12/11/97 Gava e Sezione prima penale 10347/04).

Il pericolo di che trattasi postula soltanto che vi siano specifiche ed inderogabili esigenze attinenti alle indagini ma, poiché il requisito della specificità attiene alle esigenze e non alle investigazioni, non è indispensabile che il giudice, nel proprio provvedimento, indichi dettagliatamente gli atti da compiere.

Tuttavia, il pericolo del quale si discute deve essere concreto e va identificato in tutte quelle situazioni dalle quali sia possibile desumere, secondo la regola dello id quod plerumque accidit, che l’indagato possa realmente turbare il processo formativo della prova, ostacolandone la ricerca o inquinando le relative fonti e, per evitare che il requisito del pericolo concreto perda il suo significato e si trasformi in semplice clausola di stile, è necessario che il giudice indichi, con riferimento all’indagato, le specifiche circostanze di fatto dalle quali esso viene desunto e fornisca, sul punto, adeguata motivazione.

Nel caso in esame, le esigenze cautelari indicate nell’ordinanza di custodia cautelare in carcere impugnata debbono ritenersi legittimamente ritenute esigenti, essendo state desunte, con motivazione incensurabile, dalla particolare gravità dei fatti, dall’allarme sociale che hanno suscitato, dal lungo periodo di tempo durante il quale gli illeciti sono stati perpetrati, dal coinvolgimento contemporaneo di organi direttivi delle più grandi aziende sanitarie del Lazio e di dirigenti della Regione, dell’avvenuta manipolazione di strumenti societari e bancari, dalla predisposizione di complesse strategie illecite riguardanti procedura amministrative, dalla forza intimidatrice del sodalizio criminoso, rivelatasi idonea a superare qualsiasi ostacolo o difficoltà burocratici, dalla considerazione che, proprio in ragione della posizione e delle qualità personali degli indagati, nonché dei rapporti da loro intrattenuti per lungi anni con funzionari pubblici ed, in particolare per il G?, in ragione del ruolo che ancora oggi ha nel consesso elettivo regionale, pur non facendo più parte della relativa Giunta, lo stesso, se lasciato libero, potrebbe esercitare illecite pressioni al fine di ostacolare la genuina acquisizione o conservazione delle prove e porre in essere ulteriori comportamenti delittuosi, sfruttando pregresse conoscenze ed amicizie.

Va anche rilevato che in tema di esigenze cautelari, nell’ipotesi di concorso di persone nei reati oggetto di investigazione, la condotta dall’indagato va esaminata, ai fini della configurabilità del pericolo di recidività, con riferimento all’intera vicenda criminosa alla quale ha partecipato e non soltanto alle singole azioni concretamente realizzate e, nella fattispecie in esame, non va tralasciato che fra i delitti oggetto di indagine v?è il reato associativo il quale, per se solo, è indice di spiccata pericolosità sociale di coloro che ne sono accusati (Cassazione, Sezione seconda penale, 4/5/00 Clarino).

Anche il sindacato di questa Sc sulle esigenze cautelari di che trattasi non può, in questa sede, che essere limitato, ex articolo 311 comma 2 c.p.p., al vizio di violazione di legge, non ravvisabile in presenza di motivazione adeguata e giuridicamente corretta.

Il giudizio di inadeguatezza di ogni altra misura cautelare personale diversa dalla custodia in carcere non può ritenersi contenuto nell’espressione, apodittica, di cui all’ultimo periodo della motivazione dell’ordinanza impugnata, essendo desumibile da tutto l’argomentare del provvedimento, relativo anche alle ravvisate esigenze cautelari.

In conclusione, non avendo l’ordinanza di custodia cautelare in esame motivazione apparente, sia in ordine ai gravi indizi di colpevolezza, che relativamente alle ravvisate esigenze cautelari e non essendo in essa ravvisabili violazioni di legge, il ricorso diretto avverso di essa proposto ai sensi dell’articolo 311 c.p.p., deve essere dichiarato inammissibile.

P.Q.M.

Dichiara inammissibile il ricorso proposto da G? G? avverso l’ordinanza del Gip del Tribunale di Roma in data 6/7/06 e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali ed al versamento, alla Cassa delle ammende, della somma di euro 1000. Manda alla Cancelleria per gli adempimenti di cui all’articolo 94 comma 1ter disp. att. c.p.p..

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