Cass. pen., sez. III 10-10-2006 (21-06-2006), n. 33971 REATI CONTRO L’INCOLUMITÀ PUBBLICA – CONTRAVVENZIONI – GETTO PERICOLOSO DI COSE – Emissioni industriali contenute nei limiti di legge

Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole direttore del sito giuridico http://www.gadit.it/

Motivazione

Con sentenza in data 28.11.2003 del Tribunale di Padova, sez. distacc. di Cittadella, A? B? fu condannato alla pena di giustizia perché riconosciuto colpevole del reato di cui agli artt. 81 capv-674 cp ("perché, quale responsabile per la sicurezza e ambiente della S.P.A. Cartiera di Carbonera?, con più azioni esecutive di un medesimo disegno criminoso, nell’esercizio dell’attività produttiva e gestione degli impianti, provocava emissione di fumi, vapori e odori che cagionavano molestie alle persone residenti nelle zone limitrofe, in Camposampietro dal 27.5.2001 a fine febbraio ’02").

Avverso tale sentenza ha proposto ricorso il difensore, il quale deduce tre motivi, tutti incentrati sul rilievo che l’impianto di depurazione era stato regolarmente autorizzato fin dal 1998 e in seguito nuovamente approvato sia dall’ARPAV che dalla Provincia. Con il primo motivo viene dedotto, sotto i profili della violazione dell’art. 674 cp e della mancanza e manifesta illogicità della motivazione, la non ravvisabilità dell’elemento oggettivo del reato, perché la valutazione, operata una volta per tutte dall’amministrazione, non potrebbe essere rimessa in discussione dal Giudice ordinario, cui sarebbe demandato "di verificare, sulla base peraltro di una propria valutazione, la tollerabilità delle immissioni che pure rispettano gli standards normativi". Con il secondo motivo il ricorrente censura, sotto i profili del travisamento del fatto e/o della manifesta illogicità della motivazione sull’elemento soggettivo del reato, i passaggi della sentenza impugnata che hanno ritenuto non decisiva, ai fini della non ravvisabilità del detto elemento, l’esistenza dei citati provvedimenti autorizzativi. Con il terzo motivo viene dedotto, sempre sotto il profilo del difetto dell’elemento soggettivo del reato, con ampia citazione di giurisprudenza di questa Corte, che "la Cartiera non solo aveva ottenuto l’autorizzazione amministrativa alto scarico, ma aveva altresì osservato tutte le prescrizioni che la Provincia e l’ARPAV gli avevano impartito al fine di risolvere il problema degli odori".

Il ricorso è nella sua sostanza fondato, in quanto il Tribunale, per un verso, non ha ben valutato che l’art. 674 c.p. punisce le emissioni di gas, vapori e fumo, atti a offendere, imbrattare o molestare persone, "nei casi non consentiti dalla legge"; e, per l’altro, ha affermato, citando giurisprudenza non recente, che "nessuna legge autorizza un soggetto ad emettere nell’atmosfera esalazioni tali da offendere o molestare persone" (sez. III, 25.6.1999 n. 11295) e che, anzi, "la legge tende a ridurre e contrastare il fenomeno dell’inquinamento dell’aria" (sez. III, 7.7.2000 n.8094). La questione dell’interpretazione dell’inciso suddetto è stata a lungo dibattuta: i relativi termini sono stati limpidamente delineati nella sent. di questa Corte sez. III, 23.1.04, PM in c. Pannone, alla quale si rinvia e che qui viene richiamata nei suoi passaggi essenziali. La giurisprudenza di legittimità ha spesso ravvisato, in ipotesi di emissioni nell’atmosfera, l’elemento oggettivo del reato in questione sulla base dei rilievi che le emissioni stesse: a) sono riconducibili a una delle tre tipologie indicate dalla norma (gas, vapori, fumo); b) hanno la potenzialità di arrecare molestie alle persone.

Sotto tale ultimo profilo, invero, la giurisprudenza ha sempre dato della nozione di molestie una interpretazione ampia, ricomprendendovi tutte le situazioni di fastidio, disagio, disturbo e comunque di "turbamento della tranquillità e della quiete delle persone", che producono "un impatto negativo, anche psichico, sull’esercizio delle normali attività quotidiane di lavoro e di relazione" (v., tra le molte, sez. I, 22.1.1996 n. 678, PM in c. Viale; sez. III, 24.1. 1995 n. 771, Ranaldi; sez. I, 4.2.1994 n. 1293, Sperotto); su tali basi è stato ritenuto che costituisce molestia anche il semplice arrecare alle persone diffusa preoccupazione ed allarme circa eventuali danni alla salute derivanti da esposizione a emissioni atmosferiche inquinanti (sez. III, 7.4.1994 n. 6598, Gastaldi).

Il problema posto dalla lettura della norma, già evidenziatosi dopo l’entrata in vigore della legge contro l’inquinamento atmosferico 13.7.1966 n. 615, è proprio quello dell’interpretazione dell’inciso "nei casi non consentiti dalla legge"; a tale proposizione, infatti, è collegata l’esigenza di individuare il rapporto tra l’art. 674 c.p. e la disciplina di settore, in particolare la citata L. n. 615/1966 e il DPR 203/1988, tenuto presente che il concorso tra norme speciali in materia ambientale e l’art. 674 cp è stato ritenuto possibile da questa Corte sia con riferimento all’inquinamento atmosferico (tra le tante, oltre alla già citata sent. Gastaldi, sez. I, 31.8.1994 n. 9357, Turino; sez. III, 26.6.1985 n. 6249, Boni), sia con riferimento all’inquinamento idrico (sez. I, 10.11.1998 n. 13278, Mangione).

Per il passato, l’orientamento giurisprudenziale quasi univoco (cfr., tra le meno antiche, 12497/1999, Rv. 214571; 11295/1999 Rv. 214633; sez. I, 21.1.1998 n. 739; 3919/1997, Rv. 207383; sez. I. 27.1.1996 n. 863; 11984/1995, Rv. 203130; sez. III, 7.4.1994 n. 6598) è stato nel senso che: I) rientra pacificamente nei "casi non consentiti dalla legge" il superamento della soglia delle emissioni fissata nella normativa di settore; II) il regolare rilascio dell’autorizzazione amministrativa all’esercizio di una determinata attività e il rispetto dei limiti tabellari non escludono di per sé la configurabilità della contravvenzione codicistica, in quanto le discipline antinquinamento non hanno legittimato qualsiasi emissione che pur sia rispettosa dei detti limiti. Ne deriva -sempre secondo tale orientamento- che, ove l’attività, benché autorizzata, produca emissioni eccedenti i limiti di tollerabilità alla luce dei parametri indicati dall’art. 844 c.c. ed eliminabili mediante opportuni accorgimenti tecnici, è configurabile il reato ex art. 674 cp, non essendo possibile ritenere lecito l’esercizio di un’attività produttiva che, anche se rispettosa degli standards, implichi la sopportazione di inconvenienti che eccedono i limiti della normale tollerabilità; si sosteneva che la legalità formale dell’attività e il rispetto dei limiti tabellari prefissati non escludono tout court la responsabilità penale dell’agente, essendo questi comunque obbligato a ricorrere alla migliore tecnologia disponibile per contenere al massimo possibile le emissioni inquinanti, al fine della tutela della salute umana e dell’ambiente, valori costituzionalmente garantiti. Secondo il citato orientamento, quindi, l’inciso di cui si discute ("nei casi non consentiti dalla legge") deve intendersi riferito non solo alla specifica normativa di settore, ma alla legge in generale e quindi anche alle prescrizioni del codice civile (in particolare, dell’art. 844).

Tale orientamento giurisprudenziale è stato vivamente contrastato da qualificata dottrina, che ha sostenuto che, se è condivisibile non escludere la configurabilità della contravvenzione di cui all’art. 674 cp quando -nonostante il rilascio da parte della P.A. dell’autorizzazione ad esercitare un’attività e ad emettere determinate sostanze nell’atmosfera- non esistano precisi limiti tabellari fissati dalla legge o dall’autorità amministrativa, da cui deriva per il giudice l’esigenza di accertare in concreto le caratteristiche quali-quantitative delle emissioni per valutarne il rispetto della tollerabilità consentita dai principi ispiratori delle leggi di settore (cd. stretta tollerabilità), non altrettanto può dirsi nel caso in cui l’ambito di liceità delle emissioni sia stato preventivamente valutato dalla P.A. A tal fine è stato rilevato, innanzi tutto, che la volontà del legislatore del 1988 è stata chiaramente quella di privilegiare, nella tutela dell’atmosfera contro l’inquinamento industriale, il ruolo della P.A., limitando il potere di intervento del giudice penale rispetto a quello riconosciutogli precedentemente dalla giurisprudenza; in secondo luogo, che il richiamo dell’art. 674 cp ai "casi non consentiti dalla legge" rimarrebbe, interpretando la norma nel senso di cui alla giurisprudenza sopra citata, completamente svuotato di contenuto.

In un’ottica siffatta, mutando indirizzo, si è mossa la giurisprudenza più recente (con le sentenze sez. I, 7.7. 2000 n. 8094, Mao; sez. III, 23.1.2004 n. 81, PM in c. Pannone), che ha rilevato che l’espressione "nei casi non consentiti dalla legge" costituisce una precisa indicazione della necessità, ai fini della configurazione del reato, che l’emissione (di gas, vapori o fumi) atta a molestare persone avvenga in violazione delle norme che regolano l’inquinamento atmosferico. Consegue che, poiché la normativa contiene una sorta di presunzione di legittimità delle emissioni che non superino la soglia fissata dalle leggi speciali in materia, ai fini dell’affermazione di responsabilità in ordine al reato di cui all’art. 674 cp, non è sufficiente il rilievo che le emissioni siano astrattamente idonee ad arrecare fastidio, ma "è indispensabile la puntuale e specifica dimostrazione che esse superino gli standards fissati dalla legge"; quando, invece, le emissioni, pur essendo contenute nei limiti di legge, abbiano arrecato e arrechino concretamente fastidio alle persone, superando la normale tollerabilità, si applicheranno le norme di carattere civilistico contenute nell’art. 844 c.c. In altri termini, secondo tale orientamento, all’inciso in esame deve riconoscersi, contrariamente a quanto ritenuto dalla giurisprudenza precedente, un valore decisivo di limite tra l’illecito penale e l’illecito civile A tale più recente orientamento il Collegio ritiene di dover aderire, segnalando che lo stesso si è consolidato, estendendosi anche in riferimento all’emissione di onde elettromagnetiche (sez. I 14.3.2002 n. 23066, Rinaldi e 12. 3.2002 n. 15717, Pagano)

Va, in definitiva, ribadito il principio secondo cui il reato di cui all’art. 674 cp (emissione di gas, vapori e fumi atti a molestare le persone) non è configurabile nel caso in cui le emissioni provengano, come nel caso in esame, da un’attività regolarmente autorizzata e siano contenute nei limiti previsti dalle leggi in materia di inquinamento atmosferico, in quanto l’espressione nei casi non consentiti dalla legge costituisce una precisa indicazione della necessità che l’emissione avvenga in violazione delle norme di settore, il cui rispetto, per contro, integra una presunzione di legittimità.

In base a tale principio, deve concludersi che la sentenza impugnata e inficiata dalla denunciata violazione dell’art. 674 cp, per non essere stata l’affermazione di responsabilità basata sull’accertamento positivo del superamento dei limiti imposti dalla legge; la sentenza stessa va, pertanto, annullata con rinvio allo stesso Tribunale, tenuto ex art. 627 co. 3 c.p.p., ad uniformarsi al principio qui enunciato: nel conseguente giudizio, accerterà se le emissioni in questione abbiano superato i limiti imposti dall’autorizzazione o dalla legge e solo in caso positivo affermerà l’esistenza del reato di cui all’art. 674 cp.

P.Q.M.

La Corte annulla la sentenza impugnata con rinvio al Tribunale di Padova.

Testo non ufficiale. La sola stampa del bollettino ufficiale ha carattere legale.

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