Corte Suprema di Cassazione – Penale Sezione Lavoro Sentenza n. 21646 del 2006 deposito del 09 ottobre 2006

Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole direttore del sito giuridico http://www.gadit.it/

Svolgimento del processo

Con ricorso depositato il 27 luglio 2001 il signor B.P., conveniva in giudizio la società Ispec Puglia dell’ing. AntonioSalzo e C., s.a.s., premettendo, in particolare, di avere lavoratocome lavoratore subordinato alle dipendenze della società, dal?, quando era stato licenziato, svolgendomansioni inquadragli nel livello A-s del c.c.N.L. di categoria, chiedeva che fosse dichiarata la nullità, illegittimità edinefficacia del licenziamento, che la società fosse condannata areintegrarlo nel posto di lavoro, oppure, in via gradata, ariassumerlo ex L. n. 604 del 1966, oltre al pagamento di tutte leretribuzioni non corrisposte dalla data del licenziamento, nonchè alpagamento di una somma ulteriore per competenze arretrate, con gliaccessoria Dopo la costituzione del contraddicono, e dopo avereistruita la causa il primo giudice accoglieva la domanda e condannavala società alla reintegrazione del ricorrente nel posto di lavoro, oltre al risarcimento del danno in otto mensilità dell’ultimaretribuzione, nonchè al pagamento di una somma per competenzearretrate.

La Corte d’Appello di Bari ha invece riformato questa decisione, erigettato la domanda del signor B., con sentenza in data 6luglio – 12 agosto 2004, ritenendo che quello intercorso tra le partinon fosse un rapporto di lavoro subordinato.

Avverso la sentenza, che non risulta notificata, il signor B.

ha proposto ricorso per Cassazione, con quattro motivi, notificato, in termine, il 19 novembre 2004. Resiste l’intimata società IspecPuglia con controricorso notificato, in termine, il 17 dicembre 2004.

Infine, il ricorrente ha depositato una memoria difensiva.

Motivi della decisione

1. Con il primo motivo di impugnazione il ricorrente lamenta laviolazione e falsa applicazione degli artt. 2094, 2222 e 1362 c.c. esegg., nonchè degli artt. 115 e 116 c.p.c., per omessa econtraddittoria motivazione in merito agli elementi acquisiti inistruttoria da cui emergeva l’esistenza di un rapporto di lavorosubordinato.

Secondo il ricorrente proprio gli elementi concreti descritti nellasentenza della Corte d’Appello individuavano gli elementi tipici delvincolo di subordinazione che lega un lavoratore subordinatoall’azienda presso cui lavora. Caratteristiche delle mansioni di undirigente erano proprio l’autonomia tecnica, un orario di lavorodiverso da quello degli altri dipendenti dell’azienda, la presenzacostante in azienda, il controllo sul signor B. esercitatodirettamente dal vertice datoriale.

Se il giudice di appello avesse valutato il comportamento complessivodelle parti, anche posteriore alla conclusione del contratto, avrebbedovuto riconoscere la sussistenza del vincolo di subordinazione.

2. Con il secondo motivo il signor B. denunzia la violazionefalsa applicazione dell’art. 1325 c.c., e dell’art. 1362 c.c..

La Corte d’Appello avrebbe negato la sussistenza di un rapporto dinatura subordinata tra le parti basandosi esclusivamentesull’autonomia gestionale di cui godeva il signor B. nellosvolgimento dei suoi incarichi, in ragione del loro contenutofiduciario e della loro natura tecnica, oltre che del nomen iurisutilizzato dalle parti.

Ai fini di una corretta qualificazione del rapporto intercorso sidoveva fare riferimento alle modalità di concreto svolgimento dellostesso, piuttosto che alla denominazione utilizzata.

La tutela del lavoro subordinato non poteva essere elusa per mezzo diuna configurazione pattizia che non rispondeva alle effettivemodalità di esecuzione del rapporto.

Il giudice d’appello non aveva tenuto conto di esse, ed inparticolare di elementi quali l’osservanza di un determinato orariodi lavoro, la retribuzione fissa mensile, la presenza quotidiana inazienda, l’utilizzo della struttura aziendale, il controllo da partedel datore di lavoro.

3. Con ti terzo motivo il ricorrente deduce la violazione e/o falsaapplicazione dell’art. 2094 c.c., nonchè l’omessa ed insufficientemotivazione su punti decisivi della controversia. Lamenta, inparticolare, che i giudici di appello abbiano ritenuto valide ledichiarazioni dei testi dipendenti dalla società, e non valide, perché de relato, quelle rese dai testi indicati dal ricorrente.

Sottolinea, inoltre, che il rapporto aveva avuto una duratacomplessiva, senza alcuna interruzione, per oltre dieci anni, diavere osservato un orario di lavoro predeterminato, di essere semprestato retribuito con cadenza mensile e con retribuzione fissa, diavere ricevuto direttive ed ordini direttamente dal datore di lavoro, di non avere mai gestito con autonoma organizzazione, o fuori dallastruttura aziendale, alcuna attività per conto della Ispec, e esserestato privo di qualsiasi struttura imprenditoriale, anche minima. Alcontrario per eseguire il suo lavoro (che consisteva nellosvolgimento di prove geologiche e geotermiche in laboratorio) ilsignor B. doveva recarsi tutti i giorni presso la sede deldatore di lavoro, ove si trovavano le costose attrezzaturenecessarie.

Era costretto ad avvisare l’azienda quando, per ragioni di lavoro, non era in grado di recarsi in azienda. Era inserito, inoltre, sistematicamente nell’organizzazione aziendale, tanto è vero chenelle richieste inoltrate al Ministero dei Lavori Pubblici il signorB. non risultava mai tra i collaboratori esterni, ma sempretra i dipendenti. Come dichiarato dallo stesso legale rappresentantedella Ispec, questa ultima lo aveva fatto partecipare, a spese dellasocietà, ad un corso di aggiornamento per utilizzazione di nuoveattrezzature che aveva acquistato.

4. Infine, con il quarto ed ultimo motivo di impugnazione il signorB. denunzia l’omessa motivazione sulla legittimità, o meno, del recesso operato dalla parte datoriale. Vi, era omissione dipronunzia sul punto decisivo della legittimità del recessodell’azienda, che non era stato esaminato.

Né erano state esaminate le conseguenze dell’illegittimità dellicenziamento, e quindi quelle relative alla reintegrazione nel postodi lavoro ed al pagamento delle retribuzioni dal licenziamentoall’effettiva reintegrazione oppure al risarcimento del danno, edalla condanna della Ispec al pagamento della somma richiesta a titolodi indennità varie e differenze retributive.

5. Il ricorso è fondato e deve essere accolto.

I primi tre motivi, tutti sulla natura subordinata, e non autonoma, del rapporto di lavoro sono strettamente connessi tra loro, e debbonoessere esaminati congiuntamente.

Il punto centrale della controversia è quello relativo allasussistenza, o meno, del requisito della subordinazione. Secondol’insegnamento di questa Corte, "l’elemento che contraddistingue ilrapporto di lavoro subordinato rispetto al rapporto di lavoroautonomo, assumendo la funzione di parametro normativo diindividuazione della natura subordinata del rapporto stesso, èl’assoggettamento del lavoratore al potere direttivo e disciplinaredel datore di lavoro, con conseguente limitazione della sua autonomiaed inserimento nell’organizzazione aziendale, mentre altri elementi, quali l’assenza di rischio, la continuità della prestazione, l’osservanza di un orario e la forma della retribuzione assumononatura meramente sussidiaria e non decisiva." (Cass. civ., 6 agosto2004, n. 15275; nello stesso senso, tra quelle recenti, 25 ottobre2004, n. 20669; 25 maggio 2004, n. 10043; 13 maggio 2004, n. 9151; 17luglio 2003, n. 11203).

Né – come riconosciuto del resto a pag. 4 dalla stessa sentenzaimpugnata – può avere valore assorbente la qualificazione formaleche le parti abbiano dato rapporto. Come già sottolineato a questaCorte, "ai fini della distinzione tra lavoro autonomo e subordinato(per quest’ultimo il fondamentale requisito della subordinazioneconfigurandosi come vincolo di soggezione del lavoratore al poteredirettivo, organizzativo e disciplinare del datore di lavoro, estrinsecantesi nell’emanazione di ordini specifici, oltre chenell’esercizio di un’assidua attività di vigilanza e controllonell’esecuzione delle prestazioni lavorative, da apprezzarsiconcretamente con riguardo alla specificità dell’incarico conferitoal lavoratore e al modo della sua attuazione) non deve prescindersidalla volontà delle parti contraenti e, sotto questo profilo, vatenuto presente il "nomen juris" utilizzato, il quale però non ha unrilievo assorbente, poichè deve tenersi altresí conto, sul pianodella interpretazione della volontà delle stesse parti, delcomportamento complessivo delle medesime, anche posteriore allaconclusione del contratto, ai sensi dell’art. 1362 c.c. comma 2, e, in caso di contrasto fra dati formali e dati fattuali relativi allecaratteristiche e modalità della prestazione, è necessario dareprevalente rilievo ai secondi". (Cass. civ., 23 luglio 2004, n. 13884).

6. La Corte d’Appello di Bari è partita correttamente dal principiosecondo cui ai fini della distinzione tra lavoro subordinato e lavoroautonomo è determinante la sussistenza, o meno, del vincolo dellasubordinazione, intesa come assoggettamento del prestatore al poteredirettivo del datore di lavoro, con conseguente limitazione della suaautonomia, e che però l’entità delle direttive e del connessopotere di controllo del datore di lavoro debbono essere rapportatesia alla natura delle prestazioni sia al ruolo del prestatoreall’interno dell’impresa.

Sul punto però della sussistenza, o meno, della subordinazione nelcaso concreto, la sentenza non appare adeguatamente motivata, e nonè convincente. In realtà gli accertamenti compiuti, e la stessaanalisi delle circostanze di merito, non appaiono sufficienti.

7. A pag. 6 della motivazione la Corte di appello di Bari valorizzaquesti elementi, che ritiene emergano dalle prove testimoniali:a) che il ricorrente svolgeva il proprio lavoro in piena autonomia;

b) che non aveva un orario fisso;

c) che si recava in azienda in media 3 o 4 volte alla settimana;

d) che non aveva una scrivania propria in ufficio.

Contrariamente a quanto ritenuto dalla sentenza impugnata, nessuno diquesti elementi appare decisivo, né lo sono nel loro complesso.

Innanzitutto, il fatto che il ricorrente svolgesse autonomamente lapropria prestazione non è significativo perché può spiegarsiagevolmente con il contenuto tecnico professionale della prestazionestessa, che per questo non poteva che essere autonoma per gli aspettitecnico professionali.

Né può considerarsi significativa la flessibilità dell’orario dilavoro, perché un rapporto può essere part-time, e lo svolgimentoeffettivo della prestazione va correlata al contenuto di essa;

altrettanto vale per la continuità della presenza fisica in azienda, che è strettamente connessa con la flessibilità dell’orario, ecostituisce sostanzialmente un aspetto di essa.

Anche il fatto che l’orario di lavoro svolto dal signor B.

potesse essere flessibile e non continuativo può essere spiegatoagevolmente con il contenuto tecnico e professionale della suaprestazione.

Appare del tutto irrilevante, infine, il fatto che il ricorrenteavesse a disposizione, o meno, una propria autonoma scrivania pressogli uffici della ditta; non sussiste nessun rapporto logico tra unacircostanza di questo genere, ed il carattere autonomo o subordinatodella prestazione di un collaboratore.

8. La sentenza menziona specificamente la deposizione di un teste cheha riferito di avere trovato il signor B. quando avevatelefonato presso la sede dell’azienda, e sottolinea che questo eraavvenuto soltanto 19 volte in dieci anni. Questo numero non èelevato in relazione al lungo periodo di riferimento, ma neppuretanto ridotto da poter considerare meramente occasionale, e nonsignificativo dal punto di vista indiziario, il fatto che in quelleoccasioni il teste avesse reperito il ricorrente quando avevatelefonato in ditta.

Soprattutto non risulta affatto che in altre occasioni le telefonatedel teste siano andate a vuoto, che abbia trovato il signor B. 19 volte, ma che in altre non lo abbia trovato.

Infine, la circostanza, valorizzata dal giudice del merito, sullamancanza di provvedimenti disciplinari non appare significativa.

Come giustamente osserva il ricorrente i provvedimenti disciplinarivengono adottati soltanto quando vi siano mancanze da censurare.

Un dipendente può non averne ricevuti semplicemente perché non hacommesso illeciti disciplinari da sanzionare; anzi questo è quantosi verifica nella normalità dei casi.

La sentenza non afferma affatto che l’attuale ricorrente abbia postoin essere mancanze che astrattamente avrebbero potuto comportarel’adozione di sanzioni disciplinari, ma che, ciò nonostante, questeultime non erano state irrogate perché la società Ispec non avevail potere di farlo.

A dire il vero non lo sostiene neppure la società resistente.

9. Sussistono invece, in particolare (almeno) tre circostanzeessenziali che necessitano di un esame e di una valutazione piúapprofonditi.

La prima di esse è costituita dall’inserimento, o meno, del signorB. all’interno della struttura organizzativa dell’impresa.

ÿ necessario verificare se la sua prestazione fosse, o meno, essenziale per lo svolgimento dell’attività aziendale, se, cioé, questa ultima si sarebbe potuta svolgere ugualmente anche senza diessa.

La seconda circostanza di fatto da accertare è se il signorB. fosse in possesso, o meno, di una propria autonomastruttura organizzativa, oppure invece effettuasse la propriaprestazione all’interno dell’azienda (e non in locali propri, o, comunque altrove).

ÿ necessario accertare, infine, se la prestazione del signorB. assicurasse, o meno, un risultato importante per l’azienda.

10. Il quarto motivo di impugnazione, con cui il ricorrente lamental’omissione di pronunzia sulla legittimità del recesso del datore dilavoro, è inammissibile e come tale non può essere esaminato daquesta Corte perché attiene ad un punto, quello appunto dellalegittimità del recesso, che non è stato trattato dal giudice diappello.

Come sottolineato, infatti, da questa Corte, "i motivi del ricorsoper Cassazione devono investire, a pena di inammissibilità, questioni che siano già comprese nel tema del decidere del giudiziodi appello, non essendo prospettabili per la prima volta inCassazione questioni nuove, o nuovi temi di contestazione nontrattati nella fase del merito e non rilevabili d’ufficio. Qualora laquestione sia stata già proposta, sia in primo grado che in appello, ed il giudice di merito non si sia pronunciato su di essa, essa puòessere fatta valere non sotto il profilo della violazione di legge, ma solo come violazione dell’art. 112 c.p.c., cioé sotto il profilodella omessa corrispondenza tra il chiesto e il pronunciato". (Cass. civ., 24 maggio 2003, n. 8247).

11. Il ricorso, perciò, è fondato, e deve essere accolto, perquanto di ragione.

La sentenza deve essere cassata in relazione alle censure accolte, ela causa deve essere rimessa in sede di rinvio alla Corte d’Appello di Lecce che effettuerà gli accertamenti e le valutazioni di fattosopraindicate, riesaminerà la causa alla luce dei principi affermatiin questa sentenza, e provvederà, inoltre, alla liquidazione dellespese di questa fase di legittimità.

P.Q.M.

Accoglie il ricorso per quanto di ragione, cassa la sentenzaimpugnata, e rinvia, anche per spese, alla Corte d’Appello di Lecce.

Testo non ufficiale. La sola stampa del bollettino ufficiale ha carattere legale.

Lascia un commento

Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato. I campi obbligatori sono contrassegnati *