T.A.R. Campania Salerno Sez. I, Sent., 27-09-2011, n. 1586 Diritto straniero

Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole direttore del sito giuridico http://www.gadit.it/

Svolgimento del processo

Con ricorso notificato il 2112011, depositato il 3112011 ed iscritto al n. 137/2011 R.G., la Società N.V. di V.S. & C. s.n.c. impugnava dinanzi a questo Tribunale Amministrativo Regionale i provvedimenti in epigrafe specificati, con i quali era stata respinta la richiesta di proroga automatica fino al 31122005, prevista dall’articolo 1, comma 18, del d.l. n. 194/2009, convertito nella legge n. 25/2010, relativamente alla concessione demaniale marittima di parte ricorrente, nonché alle concessioni ad essa complementari, concedendosi unicamente una proroga tecnica di ulteriori 12 mesi fino al 31122011.

Con articolata prospettazione lamentava, sotto molteplici profili:

* Violazione di legge (art. 1, comma 18, d.l. n. 194/2009, conv. nella legge n. 25/2010, artt. 1, 3 e 21 nonies della legge n. 241/1990, art. 97 Cost.)- violazione di principi in tema di annullamento di ufficio- violazione e falsa applicazione della circolare del Ministero delle infrastrutture e dei trasporti n. 6105 del 652010 – eccesso di potere (difetto assoluto di istruttoria, di presupposto e di motivazione, erroneità, perplessità, arbitrarietà, illogicità e sviamento)- violazione del principio dell’affidamento e dei principi di imparzialità e buon andamento dell’azione amministrativa;

* Violazione di legge (art. 1, 3 e 7 e 10 bis l. n. 241/1990)- eccesso di potere (difetto assoluto di presupposto, arbitrarietà, perplessità, sviamento)- violazione dei principi di imparzialità e buon andamento- violazione del principio del giusto procedimento.

Instauratosi il contraddittorio, si costituiva l’amministrazione intimata, deducendo l’inammissibilità e l’infondatezza del ricorso e chiedendone la relativa declaratoria.

Con successivo atto di motivi aggiunti, notificato il 1532011 e depositato il 2132011 la predetta società gravava gli ulteriori provvedimenti adottati dall’autorità portuale ed in epigrafe specificati, rilevandone l’illegittimità e chiedendone l’annullamento.

Lamentava in primo luogo violazione di legge (art. 1, comma 18, del d.l. n. 194/2009), violazione della citata circolare n. 6105/2010) ed eccesso di potere. Reiterava, poi, le censure di illegittimità già articolate con il ricorso principale.

L’amministrazione resistente contrastava, con articolate deduzioni difensive, le argomentazioni svolte da parte ricorrente.

La causa veniva discussa e trattenuta per la decisione all’udienza del 7 luglio 2011.

Motivi della decisione

Con la delibera del Presidente dell’Autorità Portuale di Salerno, oggetto di impugnativa, è stato disposto "di respingere le richieste di proroga automatica al 31122015 relativamente alle concessioni in scadenza al 31122010 per il mantenimento di specchi acquei, pontili e sistemi di ormeggio, nonché delle concessioni ad esse complementari ed accessorie…".

La ragione fondamentale posta a base del diniego viene individuata nella natura di norma direttamente applicabile, in quanto selfexecuting, dell’articolo 12 della Direttiva 2006/123/CE e, di conseguenza, nella disapplicazione dell’art. 1, comma 18, del d.l. 194/2009, convertito nella legge n. 25/2010, prevedente la richiamata proroga automatica, in quanto contrastante con la citata norma della Direttiva e con l’articolo 49 del Trattato istitutivo della Comunità, disposizioni che imporrebbero l’immediato espletamento di procedure ad evidenza pubblica per l’affidamento delle concessioni.

Si legge, invero, nel provvedimento gravato: " Letto l’articolo 12 della Direttiva 2006/123/Ce, che, in quanto norma dettagliata, chiara e priva di dubbi che non necessita di ulteriori integrazioni da parte dello Stato, può considerarsi norma selfexecuting, per cui, dovendo essere recepita entro il 28122009, da tale data può intendersi esplicante effetto diretto nell’ordinamento italiano; Preso atto del divieto a qualunque forma di restrizione del principio della libertà di stabilimento ex art. 49 TFUE, che in quanto posto da Direttive dettagliate o dagli stessi Trattati, così come interpretati dalla Corte di Giustizia, costituisce norma direttamente efficace da atto non direttamente applicabile; Considerato il costante e consolidato orientamento giurisprudenziale secondo cui i principi del Trattato dell’Unione Europea sono direttamente applicabili a prescindere dalla ricorrenza di specifiche norme comunitarie e interne, in modo da tenere in non cale disposizioni interne di segno opposto (C.S., sez. VI, 3092010, n. 7239; Id., sez. VI, 2512005, n. 168; sez. VI, 3012007, n. 362); Ritenuta non integrata alcuna delle ipotesi eccezionali in deroga al suddetto principio ai sensi degli articoli 51 TFUE, dovendosi tali norme interpretare in senso restrittivo (TAR CampaniaNapoli, sezione VII, 1242010, n. 1914), ovvero dall’art. 52 TFUE, siccome inconferente; Atteso che, anche alla luce dei recenti specifici esiti giurisprudenziali di disapplicazione dell’art. 1, comma 18 d.l. 194/2009 come modificato dalla legge di conversione n. 25/2010, le modifiche da questa apportata risultano in palese contrasto con norme (art. 12 della Direttiva 2006/123/CE) e principi comunitari (art. 49 TFUE) self- executing, che impongono il previo espletamento di procedure di tipo competitivo…..".

Ciò premesso, punto nodale della presente controversia consiste in primo luogo nello stabilire se la richiamata disposizione dell’articolo 12 della Direttiva sia norma selfexecuting e se la norma contenuta nell’articolo 1, comma 18, del d.l. n. 194/2009 si ponga con essa in contrasto, sì da giustificare la operata disapplicazione.

Al riguardo è necessario richiamare i contenuti delle citate prescrizioni.

L’articolo 12 della Direttiva 12122006 n. 123 – 06/123/CE, rubricato "Selezione tra diversi candidati", prevede, al comma 1, che " Qualora il numero di autorizzazioni disponibili per una determinata attività sia limitato per via della scarsità delle risorse naturali o delle capacità tecniche utilizzabili, gli Stati membri applicano una procedura di selezione tra i candidati potenziali, che presenti garanzie di imparzialità e di trasparenza e preveda, in particolare, una adeguata pubblicità dell’avvio della procedura e del suo svolgimento e completamento"; dispone poi, al comma 2, che "Nei casi di cui al paragrafo 1, l’autorizzazione è rilasciata per una durata limitata adeguata e non può prevedere la procedura di rinnovo automatico, né accordare altri vantaggi al prestatore uscente o a persone che con tale prestatore abbiano particolari legami"; stabilisce infine, al comma 3, che "Fatti salvi il paragrafo 1 e gli articoli 9 e 10, gli Stati membri possono tenere conto, nello stabilire le regole della procedura di selezione, di considerazioni di salute pubblica, di obiettivi di politica sociale, della salute e della sicurezza dei lavoratori dipendenti ed autonomi, della protezione dell’ambiente, della salvaguardia del patrimonio culturale e di altri motivi impositivi di interesse generale conformi al diritto comunitario".

Tale disposizione riceve la sua giustificazione nel "considerando" 62), laddove si precisa che: " Nel caso in cui il numero di autorizzazioni disponibili per una determinata attività sia limitato per via della scarsità delle risorse naturali o delle capacità tecniche, è opportuno prevedere una procedura di selezione tra diversi candidati potenziali, al fine di sviluppare, tramite la libera concorrenza, la qualità e le condizioni di offerta di servizi a disposizione degli utenti. Tale procedura dovrebbe offrire garanzie di trasparenza e di imparzialità e l’autorizzazione così rilasciata non dovrebbe avere una durata eccessiva, non dovrebbe poter essere rinnovata automaticamente o conferire vantaggi al prestatore uscente. In particolare, la durata dell’autorizzazione concessa dovrebbe essere fissata in modo da non restringere o limitare la libera concorrenza al di là di quanto è necessario per garantire l’ammortamento degli investimenti e la remunerazione equa dei capitali investiti. La presente disposizione non dovrebbe ostare a che gli stati membri limitino il numero di autorizzazioni per ragioni diverse dalla scarsità delle risorse naturali o delle capacità tecniche. Le autorizzazioni in questione dovrebbero comunque ottemperare alle altre disposizioni della presente direttiva relative ai regimi di autorizzazione".

Quanto alla normativa nazionale, poi, il comma 18 dell’articolo 1 del d.l. 30122009 n. 194, recante "proroga di termini tributari, nonché in materia economicofinanziaria", convertito nella legge2622010, n. 25, così recita: " Ferma restando la disciplina relativa all’attribuzione di beni a regioni ed enti locali in base alla legge 5 maggio 2009, n. 42, nonché alle rispettive norme di attuazione, nelle more del procedimento di revisione del quadro normativo in materia di rilascio delle concessioni di beni demaniali marittimi con finalità turisticoricreative, da realizzarsi, quanto ai criteri ed alle modalità di affidamento di tali concessioni, sulla base di intesa in sede di Conferenza Stato Regioni ai sensi dell’art. 8, comma 6, della legge 5 giugno 2003, n. 131, che è conclusa nel rispetto dei principi di concorrenza, di libertà di stabilimento, di garanzia dell’esercizio, dello sviluppo, della valorizzazione delle attività imprenditoriali e di tutela degli investimenti, nonché in funzione del superamento del diritto di insistenza di cui all’articolo 37, secondo comma, secondo periodo, del codice della navigazione, il termine di durata delle concessioni in essere alla data di entrata in vigore del presente decreto ed in scadenza entro il 31122015 è prorogato fino a tale data, fatte salve le disposizioni di cui all’art. 3, comma 4 bis, del decreto legge 5 ottobre 1993, n. 494. All’articolo 37, secondo comma, del codice della navigazione, il secondo periodo è soppresso".

Richiamati i contenuti delle norme della cui applicazione si controverte, può passarsi alla disamina della prima questione, relativa alla natura della disposizione contenuta nell’articolo 12 della Direttiva, onde stabilire se essa sia norma immediatamente e direttamente applicabile agli Stati membri ovvero richieda comunque, per la sua applicazione, il recepimento, mediante specifica disciplina normativa, da parte di questi.

Come è noto, in generale la Direttiva non è atto comunitario derivato direttamente applicabile.

Ai sensi dell’art. 249, comma 3, del Trattato CE, infatti, essa "vincola lo Stato membro cui è rivolta per quanto riguarda il risultato da raggiungere, salva restando la competenza degli organi nazionali in merito alla forma e ai mezzi".

Da ciò discende, in linea di principio, che essa non ha efficacia immediata, richiedendo un atto di recepimento nell’ordinamento nazionale entro un termine indicato.

In ossequio, peraltro, al principio generale del diritto comunitario del cd. effetto utile, la Corte di Giustizia ha individuato alcune tipologie di Direttive aventi efficacia diretta nei singoli ordinamenti nazionali.

Tra esse rientrano in primo luogo le direttive che pongono obblighi negativi. Si ritiene, invero, che la direttiva o quelle parti di essa che pongono obblighi di non fare (obblighi di stand and still) siano automaticamente operanti, anche nelle more della scadenza del termine stabilito per il recepimento ed a prescindere dalla avvenuta adozione di norme interne di trasposizione, trattandosi di disposizioni che non richiedono l’intermediazione del legislatore nazionale.

Allo stesso modo, vengono riconosciuti effetti diretti alle direttive cd. confermative, le quali sono prive di carattere innovativo, limitandosi a confermare, chiarendone la portata, norme già previste dal Trattato istitutivo.

Infine, si ritengono dotate di efficacia diretta negli ordinamenti nazionali le cd. direttive dettagliate o particolareggiate o selfexecuting.

Trattasi di atti che contengono disposizioni dettagliate nei contenuti, tali, dunque, da lasciare spazi di discrezionalità estremamente ridotti agli Stati membri, i quali, nel procedimento di recepimento, devono limitarsi alla mera loro trasposizione nel diritto interno. Esse, dunque, creano immediatamente, a prescindere da successivi atti normativi di recepimento, posizioni soggettive direttamente azionabili dinanzi ai giudici nazionali.

La Corte di Giustizia afferma l’immediata efficacia delle direttive in presenza dei seguenti presupposti:

le disposizioni della direttiva devono essere chiare e precise nella determinazione dei diritti in capo ai soggetti;

le disposizioni devono essere suscettibili di applicazione immediata, non subordinata a condizioni;

il legislatore nazionale non deve avere margini di manovra riguardo al contenuto;

deve essere scaduto il termine di recepimento della direttiva.

Orbene, nella oggettiva considerazione della intervenuta scadenza del termine di recepimento della direttiva (fissato, dall’articolo 44 di essa, alla data del 28122009), deve a questo punto verificarsi se sussistano, in relazione alle disposizioni contenute nell’articolo 12 della direttiva in esame, i presupposti sopra richiamati per la immediata applicazione di essa e per la conseguente disapplicazione della norma nazionale che stabilisce la proroga delle concessioni in essere.

Il richiamato articolo 12 contiene innanzitutto obblighi di non fare, a contenuto negativo, nella parte in cui, al comma 2, prevede che "…l’autorizzazione…non può prevedere la procedura di rinnovo automatico né accordare altri vantaggi al prestatore uscente o a persone che con tale prestatore abbiano particolari legami".

Per tale parte, dunque, conformemente ai principi sopra richiamati, la direttiva è direttamente applicabile.

Peraltro, il legislatore nazionale ha espressamente recepito nella normativa nazionale il suddetto divieto, laddove, nell’ultima parte del comma 18 dell’articolo 1 della legge n. 25/2010, ha eliminato il diritto di insistenza previsto dal codice della navigazione, disponendo che " all’articolo 37, secondo comma, del codice della navigazione, il secondo periodo è soppresso" (tale secondo periodo prevedeva la " preferenza alle precedenti concessioni, già rilasciate, in sede di rinnovo rispetto alle nuove istanze").

Dunque, nella immediata applicabilità del suddetto divieto, la normativa nazionale contenuta nel richiamato articolo 18 non si pone in contrasto con esso, avendo espressamente espunto dal nostro ordinamento il diritto di insistenza, che costituiva vantaggio per il prestatore uscente.

Quanto alle ulteriori disposizioni contenute nell’articolo 12 della Direttiva, si rendono le seguenti considerazioni.

Esso pone, al primo comma, la regola dell’obbligo della procedura selettiva tra i candidati potenziali, stabilendo che questa deve presentare garanzie di imparzialità e di trasparenza, prevedendo, in particolare, una adeguata pubblicità del suo avvio, svolgimento e conclusione.

La norma, a ben vedere, per la piena attuazione dei principi di libertà di concorrenza e di stabilimento, contiene una più ampia disciplina delle autorizzazioni, la quale non si limita al mero momento di scelta del beneficiario, ma si estende anche ai suoi contenuti.

Al riguardo, il comma 2, oltre a disporre il divieto di rinnovo automatico (del quale si è già sopra detto), prevede che "…l’autorizzazione è rilasciata per una durata limitata adeguata….", chiarendosi in proposito, nel "considerando" 62, che "…l’autorizzazione così rilasciata non dovrebbe avere una durata eccessiva….In particolare, la durata dell’autorizzazione concessa dovrebbe essere fissata in modo da non restringere o limitare la libera concorrenza al di là di quanto è necessario per garantire l’ammortamento degli investimenti e la remunerazione equa dei capitali investiti…".

Vi è, dunque, non solo la fissazione di una regola per le modalità di rilascio dell’autorizzazione, ma anche di una regola per la durata della stessa.

La disciplina portata dall’articolo 12 della Direttiva, inoltre, ha carattere unitario e deve essere unitariamente considerata nei suoi contenuti.

L’elemento unificante è costituito non solo dal suo oggetto (l’ atto autorizzatorio) ma anche dalla finalità perseguita, che è quella di attuare a pieno il principio della libera concorrenza.

La ratio della disposizione ne disvela la portata unitaria ed inscindibile: la procedura selettiva realizza la concorrenza tra gli aspiranti, ma quest’ultima sarebbe vanificata se l’autorizzazione così rilasciata avesse una durata eccessiva, consolidando la posizione di un unico soggetto; di contro, la durata deve essere adeguata, cioè non così breve da impedire l’ammortamento degli investimenti e la remunerazione del capitale investito, in tal modo perseguendosi la tutela del privato imprenditore e nel contempo anche l’allargamento della platea degli aspiranti, la quale verrebbe – con detrimento del principio di concorrenza- inevitabilmente ridotta dalla prospettiva di una attività non remunerativa, riveniente dalla durata esigua dell’autorizzazione.

Chiarito il carattere unitario della disposizione, va evidenziato che la stessa non presenta, nel suo complesso, i caratteri della direttiva dettagliata e particolareggiata e, dunque, selfexecuting.

Con riferimento ai contenuti dell’autorizzazione, invero, il legislatore comunitario non pone una disciplina dettagliata e specifica, suscettibile di applicazione immediata e tale da potere essere direttamente trasposta nell’ordinamento nazionale, senza alcun margine di manovra da parte del legislatore nazionale.

L’articolo 12 citato si limita a riferire di "una durata limitata adeguata" dell’autorizzazione, senza concreta specificazione di essa. Pone al riguardo solo parametri di determinazione, laddove nel "considerando" 62 dice che essa "dovrebbe essere fissata in modo da non restringere o limitare la libera concorrenza al di là di quanto è necessario per garantire l’ammortamento degli investimenti e la remunerazione equa dei capitali investiti".

E’ evidente che in tale situazione la specifica quantificazione della durata dell’autorizzazione spetta al legislatore nazionale e, dunque, non può parlarsi di immediata operatività della disposizione comunitaria, occorrendo il necessario recepimento, attraverso disciplina concreta e specifica, da parte dello Stato membro.

Si è sopra detto, in relazione ai caratteri delle direttive selfexecuting individuati dalla giurisprudenza comunitaria, della sicura configurabilità di tale natura nell’obbligo negativo, posto dall’articolo 12, di rinnovo automatico delle autorizzazioni.

La immediata e diretta applicabilità della disposizione comunitaria, scaduto il termine di recepimento, potrebbe essere riconosciuta anche alla prescrizione che impone l’obbligo della procedura selettiva nel rilascio delle autorizzazioni, trattandosi di regola secca, precisa, non necessitante ulteriori specificazioni.

Trattasi, invero – quello della evidenza pubblica – di un principio di carattere generale, di derivazione comunitaria e di applicazione nazionale ormai consolidata, onde non dovrebbe potersi dubitare della sua applicabilità anche alla materia delle autorizzazioni il cui numero sia limitato per la peculiare natura delle attività oggetto di essa.

A tale obbligo di selezione dei candidati si richiama proprio il provvedimento impugnato per supportare la disapplicazione della normativa nazionale recata dal comma 18 dell’articolo 1 della legge n. 25/2010.

Osserva, peraltro, il Tribunale che la verifica di compatibilità della richiamata norma nazionale all’articolo 12 della Direttiva n. 123 del 2006 non può prescindere da un esame che tenga conto dei peculiari contenuti della prima e della portata unitaria e della ratio, sopra evidenziate, della disposizione comunitaria.

Orbene, sarebbe certamente illegittima e, dunque, da disapplicare una normativa nazionale che, in materia, preveda tout court ed in via generalizzata il rilascio di nuove autorizzazioni senza il previo espletamento di una procedura di evidenza pubblica ovvero assicuri forme di rinnovo automatico delle stesse.

Tali caratteri non si rinvengono certamente, per la parte di interesse, nel comma 18 dell’articolo 1 del d.l. 194 del 2009, convertito nella legge n. 25/2010, censurato dall’autorità portuale laddove prevede che "il termine di durata delle concessioni in essere alla data di entrata in vigore del presente decreto e in scadenza entro il 31 dicembre 2015, è prorogato fino a tale data".

La recata proroga, invero, va valutata non isolatamente, ma in relazione alla portata complessiva della disposizione.

Essa, infatti, non è disposta tout court, bensì " nelle more del procedimento di revisione del quadro normativo in materia di rilascio delle concessioni di beni demaniali marittimi con finalità turisticoricreative, da realizzarsi, quanto ai criteri ed alle modalità di affidamento di tali concessioni, sulla base di intesa in sede di Conferenza StatoRegioni…, che è conclusa nel rispetto dei principi di concorrenza, di libertà di stabilimento, di garanzia dell’esercizio, dello sviluppo, della valorizzazione delle attività imprenditoriali e di tutela degli investimenti nonché in funzione del superamento del diritto di insistenza…".

Trattasi, pertanto, di una disciplina meramente transitoria, finalizzata a consentire " a bocce ferme" la emanazione, da parte del legislatore nazionale, di una organica disciplina della materia autorizzatoria, rispettosa dei principi fissati dalla direttiva.

Valutata in tale prospettiva, va in primo luogo osservato che la norma nazionale non viola la norma comunitaria sotto il profilo della pretermissione della regola della procedura selettiva.

Come si è sopra visto, la procedura selettiva è, nella disposizione comunitaria, parte di una più ampia regolamentazione della materia autorizzatoria, funzionale alla realizzazione del principio della libera concorrenza attraverso la disciplina non solo del momento dell’affidamento ma anche dei contenuti dell’atto.

Si è sottolineato pure, quanto a quest’ultimo aspetto, che la norma comunitaria non è specifica e dettagliata, risultando necessario l’intervento del legislatore nazionale, il quale è indispensabile per il completamento del quadro normativo della materia.

In tale contesto, la proroga disposta dall’articolo 18 non contrasta con la disposizione comunitaria unitariamente intesa, in quanto reca una disciplina (di proroga) temporalmente limitata (non oltre il 31122015) e finalizzata a consentire, da parte del legislatore nazionale, l’emanazione di una organica disciplina della materia, completa in tutti gli aspetti (procedurali e contenutistici) ritenuti necessari dal legislatore comunitario ma da quest’ultimo non fissati in toto in maniera sufficientemente specifica, sì da essere immediatamente applicabili.

La rilevanza essenziale del profilo della durata dell’autorizzazione, assunta dall’articolo 12 della Direttiva in funzione del perseguimento dell’obiettivo di realizzazione del principio di libera concorrenza nella contestuale tutela del profilo imprenditoriale del privato, giustifica la proroga delle concessioni in corso sino alla adozione della regolamentazione nazionale.

Questa è, infatti, necessaria alla esistenza di una disciplina normativa della materia immediatamente applicabile, organica ed efficace in quanto completa di tutti gli aspetti della regolazione (procedurali e sostanziali) ritenuti necessari dalla direttiva comunitaria in funzione degli scopi perseguiti.

Vi è, invero, nella fattispecie in esame non una norma nazionale che contrasta con la norma comunitaria, ma una disciplina di durata temporale limitata e di applicazione limitata quanto ai destinatari (si riferisce alle sole autorizzazioni in corso alla data di entrata in vigore del decreto), che è dettata nelle more del necessario completamento (e recepimento), da parte del legislatore nazionale, della disciplina recata dall’articolo 12 della Direttiva.

D’altra parte, non vi è assegnazione di nuove autorizzazioni senza procedura ad evidenza pubblica, ma mero allungamento del termine di durata di autorizzazioni esistenti ed in corso, in attesa di una necessaria (attesa in proposito la insufficienza della norma comunitaria) disciplina nazionale che regolamenti anche gli aspetti contenutistici e di durata delle concessioni.

Non va, poi, dimenticato che la concreta determinazione di tali elementi, oltre a completare in termini organici la disciplina della materia, costituisce comunque presupposto essenziale per l’indizione di una procedura selettiva, dovendo questa svolgersi su di un oggetto definito nelle sue componenti costitutive.

Né, infine, può ritenersi ragionevole che i detti profili contenutistici e di durata risultino, di volta in volta, determinati dal soggetto che procede al rilascio delle concessioni.

La peculiarità dell’oggetto di queste ultime (beni demaniali marittimi) e la loro diffusione sul territorio nazionale richiedono ragionevolmente una disciplina unitaria, da attuarsi con prescrizioni normative generali, onde evitare – e ciò a maggior ragione in una prospettiva comunitaria – divergenti regolamentazioni nei diversi contesti territoriali (in tal senso sembra muoversi il citato comma 18, nella parte in cui richiede l’intesa StatoRegioni ai sensi dell’art. 8 l. n. 131/2003).

Ciò posto, va poi valutato se la disposizione nazionale in esame costituisca violazione del divieto di rinnovo automatico posto dall’articolo 12 della direttiva.

Anche a tale quesito, a giudizio del Tribunale, va data risposta negativa.

In primo luogo, le considerazioni sopra svolte evidenziano che la proroga non è finalizzata ad eludere il divieto del diritto di insistenza (e, dunque, del rinnovo automatico), ma piuttosto a consentire l’adozione di una disciplina normativa della materia completa in tutti gli elementi ritenuti rilevanti dalla disposizione comunitaria, impedendo nelle more l’applicazione di diversificate discipline delle concessioni demaniali.

La disposizione di proroga realizza, altresì, una esigenza di tutela degli attuali concessionari, riconoscendo un periodo di comporto (peraltro limitato e non prorogabile) idoneo a ridurre gli effetti negativi di un sopravvenuto mutamento di disciplina anche in relazione alle prospettive di remunerazione del capitale investito.

Orbene, tale esigenza non è estranea alla ratio della previsione comunitaria, laddove si consideri che la direttiva in esame, nel prevedere una durata limitata "adeguata" dell’autorizzazione, ne chiarisce il significato nella esigenza di "non restringere o limitare la libera concorrenza al di là di quanto è necessario per garantire l’ammortamento degli investimenti e la remunerazione equa del capitale investito".

Di poi, la proroga disposta dal legislatore nazionale non si traduce in un rinnovo automatico, vietato dalla disciplina comunitaria, anche per le seguenti ulteriori ragioni.

La norma contenuta nel citato articolo 1, comma 18, si limita a prevedere una "proroga" del "termine di durata delle concessioni in essere alla data di entrata in vigore del decreto e in scadenza entro il 31122015 fino a tale data".

Il legislatore, dunque, non attua un "rinnovo" attraverso la previsione di una nuova concessione che si sostituisce alla precedente in via automatica e senza procedura selettiva. Agisce piuttosto sulla concessione in essere, non rinnovando l’atto ma limitandosi ad allungarne il termine di efficacia, così disponendone una mera "proroga".

Questa, inoltre, ha portata limitata, in quanto:

la proroga, a differenza del rinnovo, è consentita solo per le concessioni in essere e non ancora scadute;

costituisce un beneficio "una tantum", funzionale alla contingente esigenza di procedere ad una organica revisione della disciplina normativa dell’istituto in pieno ossequio alle disposizioni comunitarie;

sotto tale profilo, pertanto, non è un aspetto generale, tipico ed ordinario del regime normativo nazionale della concessione demaniale marittima con finalità turisticoricreative, sì da potersi porre in contrasto con il divieto comunitario del rinnovo automatico;

essa è, dunque, vicenda meramente temporanea, contingente e transitoria, con l’ulteriore specificazione (che ne connota un ulteriore aspetto di differenziazione rispetto al rinnovo) che il suo effetto non si traduce sempre e comunque in una nuova integrale decorrenza del termine originario di durata, risultando normativamente fissato il termine ultimo del 31122015, il quale lascia variare la concreta durata della proroga in relazione alla data di scadenza originaria del rapporto.

Le considerazioni tutte sopra svolte evidenziano, dunque, che la normativa nazionale transitoria recata dall’articolo 1, comma 18, del d.l. n. 194/2009 non si pone in contrasto con l’articolo 12 della Direttiva, né con riferimento alla natura della disposizione, né con la sua ratio ed i suoi contenuti.

Trattasi, invero, di una scelta ragionevole del legislatore nazionale, finalizzata non all’elusione della disposizione comunitaria ma ad una più efficace attuazione (da realizzarsi attraverso l’emanazione di una completa ed organica regolamentazione nazionale della materia) dei principi da essa affermati, nel contempo consentendo agli attuali concessionari anche l’ammortamento degli investimenti, interesse quest’ultimo, per come si è sopra detto, comunque non estraneo alle valutazioni dell’organo comunitario.

La disapplicazione operata dalla delibera del Presidente dell’Autorità Portuale n. 196 del 22112010, oggetto di impugnativa è, pertanto, illegittima, rinvenendosì in tal modo l’illegittimità del relativo motivo posto a fondamento della reiezione delle richieste di proroga automatica in applicazione del richiamato comma 18.

Proseguendo nella disamina della citata deliberazione n. 196/2010, si rileva che altro motivo fondante la disposta reiezione è rinvenuto nella "assenza agli atti di documenti probanti la sussistenza di piani di investimento da ammortizzare riferibili alle concessioni per cui è istanza di proroga automatica".

Rileva il Collegio che anche tale giustificazione non è idonea a fondare legittimamente la disposta reiezione, rilevandosi che il comma 18 dell’articolo 1 del d.l. n. 194/2009 non prevede affatto quale presupposto per l’operatività della proroga – che è oggetto della pretesa del privato e la cui applicazione è negata dall’amministrazione – la sussistenza di piani di investimento da ammortizzare. Di conseguenza, il diniego di proroga non può essere validamente fondato su tale circostanza.

Resta a questo punto da esaminare l’ultima parte della motivazione resa dal Presidente dell’Autorità Portuale, laddove si legge " Ritenuto di non poter procedere per le assorbenti motivazioni sopra esposte a quanto rimesso all’apprezzamento della Presidenza dell’Ente da parte del Comitato Portuale al punto 3 del deliberato del citato provvedimento (verb. n. 17 del 121020010), che pertanto non accede alla tesi della portata dirimente del riferimento alla tipologia turisticoricreativa della concessione, operato all’art. 1 comma 18 del d.l. 30122009 n. 194… la cui concreta configurazione ed effettiva portata, peraltro, oltre a prestarsi ad ondivaghi esiti interpretativi a detrimento della certezza dei rapporti giuridici, avrebbe, comunque, fondato la legittima reiezione della gran parte delle istanze di proroga pervenute".

Essa richiama, dunque, la deliberazione n. 17/2010 del Comitato Portuale, nella quale viene espresso un parere, che il Presidente, nell’atto conclusivo avente rilevanza esterna, condivide in parte quanto al punto 2 del deliberato e non recepisce quanto al punto 3 dello stesso.

Al punto 2, richiamando l’esistenza in materia di "elementi di problematicità e dubbi interpretativi, in considerazione della natura giuridica di dette concessioni e delle indicazioni in materia derivanti dalla comunità europea in tema di garanzia del principio di concorrenzialità e tutela delle ordinarie procedure di evidenza pubblica, e in ordine al rispetto dei principi del libero mercato", il Comitato "esprime parere a che il Presidente dell’Autorità Portuale respinga le richieste di applicazione della cd. proroga automatica….per concessioni demaniali marittime per usi turisticoricreativi e pontili da diporto in scadenza alla data del 31122010…, limitatamente a quelle non rientranti nel punto 3 seguente".

Al successivo punto 3 l’organo consultivo esprime "parere a che il Presidente…possa eventualmente accogliere, invece, le richieste di applicazione della cd. proroga automatica…per le concessioni che, in relazione alla tipologia, siano gestite da ditte/società/associazioni/enti/cooperative che hanno riportato nell’oggetto sociale – come derivante dalla certificazione della competente CIIAA ovvero, in mancanza, dall’atto costitutivo/statuto sociale – tra le attività quelle a carattere turisticoricreativo, quali elencate nell’articolo 1, comma 1 lett. da a ad f della legge n. 494/93 – in virtù della norma interpretativa di cui all’articolo 13 comma 1 della legge n. 172/2003, anche in relazione alle attività fino ad oggi svolte".

In buona sostanza, l’organo presidenziale ritiene assorbente, nella determinazione negativa, il profilo del contrasto della norma nazionale con la previsione, ritenuta immediatamente applicabile, della Direttiva comunitaria e la conseguente necessità di applicazione di una procedura ad evidenza pubblica, che impedisce la possibilità di una proroga automatica.

Ritiene, pertanto, di non poter accedere alla tesi, prospettata dall’organo consultivo, della tipologia turisticoricreativa della concessione quale elemento da tenere presente ai fini del riconoscimento della proroga automatica.

La tesi non è condivisibile.

Come si è in precedenza chiarito, il comma 18 dell’articolo 1 del citato d.l. n. 194/2009 e la proroga in essa disposta non si pongono in contrasto con la disciplina comunitaria e, dunque, non ne è legittimamente consentita la disapplicazione.

Ciò posto, ritenuta l’operatività nel nostro ordinamento della richiamata norma nazionale, ritiene il Tribunale che l’elemento al quale occorre fare riferimento per stabilire in concreto se la proroga si applichi o meno è proprio la tipologia della concessione, atteso che questa è lo specifico presupposto indicato dalla norma.

Il citato comma 18 concerne, infatti, i "beni demaniali marittimi con finalità turisticoricreative" e, pertanto, le "concessioni in essere", cui la disposizione opera riferimento, sono proprio le concessioni rilasciate per lo svolgimento di attività turisticoricreative.

La delibera presidenziale in contestazione aggiunge, peraltro, che, anche a voler accedere alla tesi della tipologia turisticoricreativa della concessione, di essa la concreta configurazione ed effettiva portata, oltre a prestarsi ad ondivaghi esiti interpretativi, avrebbe comunque fondato la legittima reiezione della gran parte delle istanze di proroga pervenute.

Osserva il Tribunale che, ove a tale inciso voglia attribuirsi il significato che la determinazione negativa è fondata anche sulla circostanza che la concessione oggetto del presente gravame non è suscettibile di proroga automatica in quanto non avente finalità turisticoricreativa, il motivo di diniego, così come esternato, sarebbe comunque illegittimo per vizio della motivazione.

L’inciso, invero, risulta insufficiente e generico, non dando conto alcuno delle specifiche concessioni cui si riferisce né delle ragioni concrete per le quali sarebbe, in relazione a ciascuna di esse, esclusa la natura turisticoricreativa.

L’accorta e puntuale difesa dell’amministrazione, peraltro, cerca comunque di introdurre tale argomentazione nel thema decidendum per altra via, sotto il profilo della carenza di interesse alla decisione.

Si assume, invero, che, al di là dei motivi di diniego espressi nei provvedimenti impugnati, la proroga automatica prevista dal citato art. 1, comma 18, del d.l. n. 194/2010 conv. nella legge n. 25/2010, non troverebbe applicazione alla concessione originariamente rilasciata al ricorrente, in primo luogo perché la richiamata norma non si riferirebbe alle concessioni rilasciate dall’Autorità Portuale, di poi perché la stessa in concreto non rivestirebbe finalità turisticoricreativa.

L’eccezione in proposito sollevata dall’Autorità Portuale pone al Tribunale il problema della possibilità per l’organo giudicante, ai fini dell’esito del gravame (ed, in particolare, del non accoglimento dello stesso) di tenere conto di motivi, astrattamente fondanti la determinazione assunta, ma non espressi nel corpo del provvedimento.

Ci si domanda, cioè, se sia possibile, ove mai si riscontrino vizi di legittimità nel provvedimento, non pronunziarne l’annullamento nella considerazione che comunque la p.a., sulla base di diverse argomentazioni, avrebbe legittimamente emanato la medesima determinazione dispositiva.

Al riguardo, ritiene il Tribunale – sia pure con le precisazioni che di seguito si rendono – che tale indagine possa essere svolta dal giudice amministrativo, alla luce della più recente evoluzione del giudizio amministrativo, connotantesi sempre di più quale giudizio sul rapporto più che sull’atto, nonché di una considerazione sostanziale del ruolo di tale organo giurisdizionale e dei contenuti delle sue pronunzie, le quali, per quanto possibile, devono tendere alla soluzione definitiva delle controversie, definendo la concreta regola sostanziale dell’agire della pubblica amministrazione.

Mantenendo comunque il giudizio amministrativo ordinario di cognizione, nella sua regolazione normativa, una connotazione di giudizio sull’atto, dove il provvedimento amministrativo contribuisce a delineare gli ambiti della cognizione del giudice, il potere giurisdizionale nello svolgere l’indagine di cui sopra, in termini di sussistenza dell’interesse alla decisione, non è assoluto ed incondizionato, ma incontra limiti.

Al riguardo, ritiene il Tribunale che possa assumersi come parametro di riferimento il criterio della "evidenza", cristallizzato nell’articolo 21 octies della legge n. 241/1990.

Il giudice, dunque, potrà ritenere configurata la carenza di interesse e non pronunziare l’annullamento dell’atto solo nel caso in cui ulteriori legittime ragioni fondanti la determinazione assunta, non espresse nel provvedimento, siano di immediata percezione ed applicazione alla fattispecie in esame.

Ciò si verifica, ad esempio, quando la riferibilità del legittimo motivo inespresso al caso concreto non richieda articolate operazioni interpretative ovvero accertamenti di fatto complessi.

Ove, invece, tale evidenza manchi, il giudice non può pronunziare la carenza di interesse alla decisione, ma è necessaria, intervenuto l’annullamento giurisdizionale, l’ulteriore attività amministrativa provvedimentale, che costituisce necessaria intermediazione fondante il potere di cognizione del giudice (questa volta sotto l’ordinario profilo della verifica di legittimità dell’atto).

Ciò posto, può a questo punto passarsi, applicando la regola sopra individuata, all’analisi delle ragioni della carenza di interesse articolate dalla difesa dell’autorità portuale.

Quanto al primo aspetto, relativo alla dedotta inapplicabilità del comma 18 dell’articolo 1 alle concessioni rilasciate dall’Autorità portuale, ritiene il Tribunale che tale argomento sia all’evidenza non condivisibile.

La piana lettura della disposizione ne disvela un ambito di applicazione riferito alle "concessioni di beni demaniali marittimi con finalità turisticoricreative".

Trattasi, dunque, di un riferimento di carattere generale, che attribuisce esclusiva rilevanza al profilo oggettivo della tipologia dell’atto concessorio, indifferente restando, ai fini della applicabilità della norma, la considerazione soggettiva dell’autorità emanante.

Deve, pertanto, ritenersi che la disposizione trovi applicazione anche alla concessioni con finalità turisticoricreative rilasciate dall’Autorità portuale.

D’altra parte, anche se la norma manifesta la sua finalità nel "progressivo superamento del diritto di insistenza" (richiamandosi, da parte dell’amministrazione resistente, tale inciso per inferire l’inapplicabilità del citato comma 18 alle concessioni da essa rilasciate, atteso che per queste ultime non operano le previsioni di rinnovo automatico recate dall’articolo 1 del d.l. n. 400/1993), va evidenziato che il termine "nonché" ("…nonché in funzione del progressivo superamento…"), pure presente nella disposizione in esame, evidenzia che tale finalità è solo una delle ragioni dell’intervento legislativo, il quale, risponde, invece, ad una esigenza più generale e più ampia, che è quella della "revisione del quadro normativo in materia di rilascio delle concessioni dei beni demaniali marittimi con finalità turisticoricreative", la quale interessa evidentemente anche l’attività delle autorità portuali.

Il secondo profilo di carenza di interesse attiene, invece, alla ritenuta inconfigurabilità, nella concessione oggetto del presente giudizio e della cui proroga si controverte, del carattere "turisticoricreativo".

Con riferimento a tale ultimo aspetto, ritiene il Tribunale di non potersi pronunziare in questa sede, in assenza di espressa determinazione provvedimentale in proposito resa dall’amministrazione, e sulla quale svolgere il sindacato di legittimità.

La verifica della mancanza del carattere turisticoricreativo della concessione non presenta, invero, il carattere della evidenza.

La concessione di cui si controverte (n. 5/2007, di mq. 544, 50) è stata rilasciata "allo scopo di mantenere un manufatto in muratura, una superficie scoperta destinata all’alaggio e varo, nonché pontile con relativa passerella e specchio acqueo per l’esercizio di attività di officina meccanico navale".

Trattasi, dunque, di atto a contenuto complesso, la cui sussumibilità nel (o assimilabilità al) novero delle concessioni turisticoricreative richiede una valutazione articolata, la quale, per le ragioni sopra esposte, va necessariamente resa in prima battuta dalla autorità amministrativa, occorrendo, ai fini della pronunzia giurisdizionale, la preventiva esistenza di un provvedimento che tale valutazione cristallizzi.

Le ragioni della non evidenza e del carattere complesso dell’accertamento derivano dalle seguenti circostanze:

la concessione ha ad oggetto anche attività di alaggio e varo, dunque di attività interessanti anche la nautica da diporto (articolo 2 del dpr n. 509/1997);

se è vero che l’articolo 37 del codice della navigazione non dà una definizione delle concessioni demaniali marittime per attività turisticoricreative e che la concessione oggetto di causa non rientra ictu oculi nell’elenco recato dall’articolo 1, comma 1, del d.lgs. n. 400/1993, occorre comunque valutare l’incidenza, ai fini della qualificazione della natura della concessione, del progressivo avvicinamento normativo delle concessioni demaniali marittime finalizzate alla realizzazione di strutture dedicate alla nautica da diporto con quelle aventi finalità turistico -ricreative (d.p.c.m. 1392002 n. 24646, art. 1; dpr n. 509/1997, art. 1; art. 3 d.l. n. 70/2011, convertito nella legge n. 106/2011);

ove per tale via venga risolto positivamente il problema della astratta applicabilità del comma 18 dell’articolo 1 del d.l. n. 25/2010, deve esserne verificata comunque la applicabilità in concreto, in ragione del contenuto misto della concessione originaria (non riferita in toto alla attività di alaggio e varo di piccole imbarcazioni e natanti da diporto);

all’uopo è necessario un accertamento della concreta sussistenza del tipo normativamente rilevante che sia fondato su di un criterio di prevalenza, applicato con riferimento alla portata dimensionale dei diversi contenuti della concessione ed ai profili funzionali di essi, con una valutazione che tenga comunque conto della specifica realtà interessata e della attività concretamente svolta.

Trattasi, dunque, di valutazioni complesse, anche di tipo fattuale, che competono in prima battuta alla determinazione provvedimentale espressa dell’autorità amministrativa, su cui solo successivamente, nella eventualità di una sua impugnativa, il giudice amministrativo potrà svolgere la verifica di legittimità.

Sulla base delle considerazioni tutte sopra svolte deve, di conseguenza, essere ritenuta l’illegittimità della delibera del Presidente dell’Autorità Portuale di Salerno n. 196 del 22112010 nella parte in cui denega la proroga automatica della concessione in ragione della disposta disapplicazione della normativa nazionale.

Tale atto deve essere, di conseguenza, annullato.

Restano salve le ulteriori determinazioni dell’amministrazione all’esito delle verifiche sopra richiamate.

Occorre, peraltro, a questo punto rendere una doverosa precisazione.

I provvedimenti di cui sopra risultano illegittimi per le ragioni in precedenza esposte, che conseguono ad un peculiare approdo interpretativo, cui è giunto il Tribunale, relativamente ai rapporti tra la norma nazionale e la disposizione comunitaria interessate, diverso rispetto a quello ritenuto dall’autorità amministrativa.

In presenza di questione giuridica complessa e, dunque, opinabile (riprova ne è l’esistenza, sia pure in sede cautelare, di alcune pronunzie del giudice amministrativo che hanno optato per la disapplicazione), essa ha semplicemente errato nell’applicazione del diritto.

Non può, invero, dirsi che vi sia stata consapevole violazione di legge, riveniente, tra l’altro, dalla mancata osservanza della circolare ministeriale prot. n. M/TRA/PORTI/6105 del 652010, avente ad oggetto l’applicazione dell’art. 1, comma 18 del d.l. n. 194/2009.

La stessa, invero, senza svolgere alcuna considerazione in ordine ai suoi contenuti ed alla loro legittimità, è comunque atto non vincolante per l’autorità portuale.

Come è noto, nella teoria generale del provvedimento amministrativo, la circolare non ha natura di legge in senso materiale, onde la sua mancata osservanza non configura il vizio di violazione di legge.

La sua violazione può determinare esclusivamente eccesso di potere, ma, essendo quest’ultimo vizio tipico della discrezionalità amministrativa, esso è ipotizzabile solo nel caso di circolare che regolamenti l’attività amministrativa discrezionale ovvero l’esercizio di un potere discrezionale, verificandosi, in ipotesi di sua mancata osservanza, contradditorietà nell’azione della p.a..

Non c’è, invece, eccesso di potere in caso di mancata osservanza di una circolare interpretativa, che rifletta cioè l’interpretazione e, di conseguenza, gli ambiti di applicazione della legge, giacchè l’organo inferiore non può ritenersi vincolato dalla errata interpretazione della legge che abbia compiuto un organo superiore

L’azione dell’Autorità Portuale, dunque, per quanto illegittima per la ragioni sopra esposte, non è certamente il frutto di una consapevole e voluta violazione del diritto.

La stessa, invero, appare dettata – per come traspare pure dalla motivazione dell’atto impugnato – dall’encomiabile intento di garantire, attraverso nuove procedure di evidenza pubblica, la più alta redditività del bene demaniale e, dunque, maggiori introiti per l’amministrazione, oltre la piena realizzazione del principio di concorrenzialità.

Tuttavia, tali condivisibili e giuste finalità, perseguite dall’autorità amministrativa, necessariamente recedono rispetto alla scelta diversa (nel senso della proroga delle concessioni esistenti) effettuata dal superiore organo legislativo (sulla base – si è visto – di una valutazione ragionevole).

Da ultimo, ritiene il Tribunale che deve essere ritenuta l’inammissibilità dei motivi aggiunti, laddove viene fatta oggetto di impugnativa la delibera presidenziale n. 7 del 2812011, di annullamento parziale in autotutela della delibera presidenziale n. 196/2010, gravata nella parte in cui ha disposto la proroga automatica delle concessioni demaniali marittime nonché delle concessioni ad esse complementari fino al 31122015 esclusivamente per le associazioni sportive/enti morali e organismi noprofit ed ha confermato la delibera presidenziale n. 196/2010 per tutte le altre concessioni".

Rileva, in proposito, il Tribunale che vi è al riguardo una carenza di interesse alla decisione, con conseguente inammissibilità della domanda annullatoria.

La eliminazione giurisdizionale per la proroga disposta in favore delle associazioni sportive e degli organismi no profit alcun vantaggio arrecherebbe a parte ricorrente ai fini dell’ottenimento del bene della vita sperato, atteso che le aree demaniali interessate sono diverse ed una pronunzia caducatoria non avrebbe comunque incidenza favorevole sulla pretesa attorea.

Né può assumersi l’esistenza di un interesse alla decisione con riferimento alla parte di essa che dispone la conferma della delibera presidenziale n. 196/2010 per tutte le altre concessioni.

Invero, tale determinazione nulla apporta di nuovo e di lesivo alla precedente, in quanto di essa meramente confermativa giacchè assunta senza acquisizione in proposito di nuovi elementi e senza nuove ragioni giustificative a supporto, onde risulta sufficiente alla tutela delle posizioni giuridiche di parte ricorrente l’avvenuta impugnazione (ed il conseguente disposto annullamento in questa sede) del citato atto presidenziale n. 196.

Le spese del giudizio, in ragione della peculiarità della controversia, della novità e complessità delle questioni affrontate, possono essere integralmente compensate tra le parti costituite.

P.Q.M.

definitivamente pronunciando sul ricorso in epigrafe e sui motivi aggiunti, così provvede:

con riferimento al ricorso originario, lo accoglie per le ragioni in motivazione espresse e, per l’effetto, annulla la deliberazione n. 196 del 22112010 del Presidente dell’Autorità Portuale di Salerno;

con riferimento ai motivi aggiunti, li dichiara inammissibili quanto all’impugnativa della delibera presidenziale n. 7 del 2812011.

Spese compensate.

Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall’autorità amministrativa.

Testo non ufficiale. La sola stampa del bollettino ufficiale ha carattere legale.

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