Cass. pen., sez. I 06-10-2006 (10-07-2006), n. 33634 ISTITUTI DI PREVENZIONE E DI PENA (ORDINAMENTO PENITENZIARIO) – Misure alternative alla detenzione – Affidamento in prova al servizio sociale al recidivo

Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole direttore del sito giuridico http://www.gadit.it/

Ritenuto in fatto

1. Con ordinanza in data 22 dicembre 2005 il Tribunale di Sorveglianza di Sassari concedeva l’affidamento in prova al servizio sociale, ritualmente richiesto da D.C. in relazione alla pena di anni due e mesi cinque di reclusione determinata con il provvedimento di esecuzione di pene concorrenti n. 29/2005 reg. es. emesso il 27 giugno 2005 dal Procuratore Generale della Repubblica presso la Corte d’appello di Cagliari, sezione distaccata di Sassari, che, contestualmente, aveva disposto, ai sensi dell’art. 656 c.p.p., comma 5, la sospensione dell’ordine di carcerazione.

Nel provvedimento di cumulo era compresa la sentenza della Corte d’Appello di Sassari del 29 giugno 2004, contenente l’applicazione, nei confronti di D., della recidiva ex art. 99 c.p., comma 4.

L’udienza camerale, inizialmente fissata il 20 ottobre 2005, veniva rinviata per la discussione e la decisione al 22 dicembre 2005.

L’8 dicembre 2005, nelle more della trattazione del procedimento, entrava in vigore la L. 5 dicembre 2005, n. 251, il cui art. 7 introduceva nel corpo dell’art. 58 quater della L. 26 luglio 1975 n.354 il comma 7 bis contenente limitazioni alla concedibilità delle misure alternative alla detenzione, tra cui l’affidamento in prova, richieste dai condannati ai quali sia stata applicata la recidiva prevista dall’art. 99 comma 4 c.p., anch’esso oggetto di novella legislativa.

D. aveva, in precedenza, già positivamente fruito di misure alternative alla detenzione e, precisamente, dell’affidamento in prova al servizio sociale dal 1995 al 1997, e della detenzione domiciliare nel 2003.

2. Il Tribunale di Sorveglianza di Sassari riteneva che l’intervenuta modifica normativa non fosse preclusiva della nuova ammissione di D. alla misura alternativa dell’affidamento in prova per una pluralità di ragioni.

Innanzitutto, il nuovo art. 99 c.p., essendo norma di diritto sostanziale, in ottemperanza al principio costituzionale sancito dall’art. 25 Cost. e al disposto dell’art. 2 c.p., può trovare applicazione solo in relazione a fattispecie successive all’entrata in vigore della L. n. 215 del 2005 (8 dicembre 2005) e non con riferimento a sentenze passate in giudicato o eseguibili prima di tale data.

In secondo luogo, la legge n. 354 del 1975, art. 58 quater, comma 7 bis, così come modificato dalla L. n. 251 del 2005, art. 7, non può essere considerata una disposizione esclusivamente processuale – cui quindi non sarebbe applicabile il principio di irretroattività, secondo quanto più volte stabilito dalla Corte Costituzionale e affermato dalla giurisprudenza di legittimità – ma deve essere piuttosto inquadrata come norma di natura complessa, sia sostanziale che processuale, in virtù del rinvio ad una norma di diritto penale sostanziale, quale l’art. 99 c.p., comma 4, modificato dalla legge n.251 del 2005, art. 4, contestualmente alla novella dell’art. 58 quater, comma 7, ad opera della legge n. 251 del 2005, art. 7.

L’art. 99 c.p., comma 4, pregressa formulazione, non può, quindi, dispiegare, sia pure indirettamente, effetti diversi da quelli conseguenti a situazioni processuali ormai definite in ossequio al principio contenuto nell’art. 2 c.p..

D’altra parte la contestualità della modifica sia del citato art. 58 quater, in materia di ordinamento penitenziario, che della disciplina in tema di recidiva, consente di interpretare, secondo parametri logico-sistematici, il rinvio contenuto nell’art. 58 quater come riferito alla nuova formulazione dell’art. 99 c.p., comma 4, considerata anche l’assenza di qualsiasi disciplina transitoria, a differenza di quanto verificatosi in materia di prescrizione con riguardo al combinato disposto della L. n. 251 del 2005, art. 10, comma 2 e 3, e art. 6, in materia di prescrizione.

Sulla base di queste premesse generali, con specifico riferimento alla situazione sottoposta al suo esame, il Tribunale di sorveglianza di Sassari, nel ritenere insussistenti gli ostacoli normativi alla nuova concessione del beneficio richiesto, formulava un positivo giudizio prognostico in relazione alla idoneità dell’affidamento in prova al servizio sociale a contribuire al recupero di D., avuto riguardo alla sussistenza dei seguenti parametri, desumibili dalle relazioni del servizio sociale e dalle informative di polizia:

a) limite edittale, inferiore a tre anni, della pena da espiare;

b) non riconducibilità dei reati compresi nel provvedimento di cumulo ad alcuna delle ipotesi ostative, tassativamente elencate dall’art. 4 bis ord. pen.;

c) esito positivo delle misure alternative, già in passato applicate nei confronti di D.;

d) mancata commissione di nuovi reati dopo il 2003 (data cui risale la concessione della detenzione domiciliare);

e) pendenza di un unico procedimento penale per reati risalenti al 1995;

f) stabile inserimento nel mondo del lavoro a partire dal 2002;

g) impegno dimostrato anche a livello personale per impostare in maniera più costruttiva le relazioni familiari e recidere ogni legame con gli ambienti in precedenza frequentati.

3. Avverso la citata ordinanza ha proposto ricorso per cassazione il Procuratore Generale presso la sezione distaccata di Corte d’appello di Sassari, il quale deduce i vizi di violazione di legge con riferimento al disposto di cui alla L. 26 luglio 1975, n. 354, art. 58 quater, comma 7 bis, come modificato dalla L. 5 dicembre 2005, n. 251, art. 7, nonchè di manifesta illogicità della motivazione sotto i seguenti profili.

Contrariamente all’assunto del Tribunale di sorveglianza di Sassari, l’art. 58 quater, comma 7 bis, dell’ordinamento penitenziario è norma esclusivamente processuale con conseguente applicazione del principio generale del tempus regit actum anche all’esecuzione di pene comminate con sentenze passate in giudicato prima dell’entrata in vigore (8 dicembre 2005) della L. n. 251 del 2005.

Di conseguenza è inconferente il richiamo, operato nel provvedimento impugnato, ai principi enunciati nell’art. 2 c.p..

Del resto, dall’interpretazione letterale della disposizione in esame, si evince che, nel disciplinare le ipotesi ostative alla concessione delle misure alternative alla detenzione, il legislatore ha fatto espresso riferimento all’applicazione della recidiva prevista dall’art. 99 c.p., comma 4, ossia a situazione già maturate al momento dell’entrata in vigore della nuova disciplina.

Aderendo, invece, alla lettura seguita dal Tribunale di sorveglianza di Sassari, si verrebbe a caducare una condizione personale acquisita ai sensi dell’art. 99 c.p., comma 4, con una sorta di paradossale operazione di "pulitura" del certificato personale di un soggetto cui sia stata applicata la recidiva, il quale verrebbe irragionevolmente a usufruire di una posizione personale privilegiata rispetto a quanti – giudicati dopo l’entrata in vigore della L. n. 251 del 2005 – fossero stati gravati dell’applicazione della recidiva ex art. 99 c.p., comma 4, novellato.

Osserva in diritto

Il ricorso non è fondato.

1. La L. 26 luglio 1975, n. 354, art. 58 quater, comma 7 bis, (c.d.ordinamento penitenziario), inserito dalla L. 5 dicembre 2005, n.251, art. 7, introduce indubbie restrizioni all’applicabilità di misure alternative alla detenzione, stabilendo, tra l’altro, che l’affidamento in prova al servizio sociale nei casi previsti dalla L. n. 354 del 1975, art. 47, non possa essere concesso più di una volta al condannato al quale sia stata applicata la recidiva prevista dall’art. 99 c.p., comma 4.

Analoga previsione è stata introdotta, all’interno della medesima disposizione di legge, con riferimento alla detenzione domiciliare e alla semilibertà.

Parallelamente all’intervento in ambito penitenziario, il legislatore ha introdotto una nuova, articolata disciplina della recidiva, caratterizzata da:

a) un mutamento dei presupposti fondanti ed espressivi della stessa;

b) un più accentuato vincolo di obbligatorietà, cui si sottraggono soltanto la recidiva semplice e quella monoaggravata, sempre che non si riferiscano a uno dei delitti indicati dall’art. 407 c.p.p., comma 2, lett. a, (art. 99 c.p., comma 3);

c) un significativo, tendenziale inasprimento sanzionatorio;

d) un ampliamento dei cosiddetti effetti giuridici minori della recidiva rispetto a quelli già previsti dall’ordinamento (art. 151 c.p., comma 5; art. 162 bis c.p., comma 3; art. 164 c.p., comma 2, n. 1 e art. 168 c.p., comma 1; art. 169 c.p., comma 3; art. 172 c.p., comma 2; art. 174 c.p., comma 3; art. 176 c.p., comma 2; art. 179 c.p., comma 2), fino a ricomprendervi l’incidenza sui termini prescrizionali, sul regime sanzionatorio della continuazione e del concorso formale, sulla concedibilità delle circostanze attenuanti generiche al recidivo reiterato in uno dei delitti indicati dall’art.

407 c.p.p., comma 2, lett. a), sul bilanciamento delle circostanze ex art. 69 c.p..

2. Le nuove e più restrittive disposizioni di ordinamento penitenziario in materia di misure alternative alla detenzione

trovano il loro comune denominatore e la loro ratio nella ostativa qualità personale del soggetto al quale "sia stata applicata la recidiva prevista dall’art. 99 c.p., comma 4, c.p.".

Ai fini dell’esatta interpretazione del novellato art. 58 quater con particolare riguardo al concetto di "applicazione" della recidiva, occorre evidenziare che una circostanza aggravante deve essere ritenuta, oltre che riconosciuta, anche come applicata non solo quando esplica il suo effetto tipico di aggravamento della pena, ma anche quando produca, nel bilanciamento tra circostanze aggravanti e attenuanti di cui all’art. 69 c.p., un altro degli effetti che le sono propri, cioè quello di paralizzare un’attenuante, impedendo a questa di svolgere la sua funzione di concreto alleviamento della

pena da irrogare.

Al contrario, l’aggravante non è da ritenere applicata allorquando, verificata la configurabilità delle circostanze fattuali dalla medesima descritte, essa non manifesti concretamente alcuno degli effetti che le sono propri, a causa della prevalenza attribuita all’attenuante, che non si limita a paralizzarla, ma prevale su di essa, in modo che, sul piano dell’effettività sanzionatoria, l’aggravante risulta tamquam non esset (Sez. Un. 18 giugno 1991, n. 17, ric. Grassi, Rv. 187856; Sez. 1^, 21 maggio 1992, n. 2303, ric. Castellano, Rv. 192017; Sez. 1^, 26 giugno 1993, n. 1294, ric. Commisso, Rv. 194003, tutte relative a fattispecie concernenti l’applicabilità dell’indulto).

Sulla base di questi principi è da escludere che la disciplina restrittiva delineata dal combinato disposto degli artt. 58 quater ord. pen. e art. 99 c.p., comma 4, possa operare in mancanza dell’espressa contestazione della recidiva reiterata nel giudizio di cognizione e del suo riconoscimento in tale sede (Sez. 1^, 13 luglio 2006, ric. Franceschini) oppure qualora, come nel caso in esame, le circostanze attenuanti generiche siano state dichiarate prevalenti sulla recidiva ex art. 99 c.p., comma 4, con la sentenza ricompresa nel cumulo destinato a trovare esecuzione.

In altri termini, in conformità con i principi costantemente espressi dalla giurisprudenza di questa Corte in tema di effetti della recidiva sulle condizioni di ammissibilità di altri istituti (Sez. 1^, 30 gennaio 1997, n. 670, ric. Ponte, in tema di riabilitazione; Sez. 1^, 5 marzo 1986, n. 1225, ric. Pisanu, in materia di liberazione condizionale; Sez. 1^, n. 823 del 1995), la natura della recidiva quale circostanza aggravante, incidendo sulla determinazione della misura della pena, presuppone che essa sia stata contestata e ritenuta nell’ambito del procedimento penale e che abbia trovato concreta applicazione nell’ambito del giudizio di bilanciamento con eventuali attenuanti.

Sotto questo primo profilo, dunque, la previsione restrittiva contenuta nel novellato art. 58 quater ord. pen. è destinata a non operare nella fattispecie in esame, in cui la recidiva oggetto della disciplina dell’art. 99 c.p., comma 4, pregressa formulazione, non ha trovato concreta applicazione nel senso in precedenza illustrato.

3. Una volta delineata la correlazione logico – sistematica tra novellato art. 58 quater ord. pen. e gli effetti giuridici della nuova disciplina in tema di recidiva con particolare riferimento ai presupposti di applicabilità delle misure alternative alla detenzione in carcere, tra cui l’affidamento in prova al servizio sociale, il Collegio ritiene che la questione sottoposta al suo esame debba essere, per completezza, affrontata anche secondo una lettura costituzionalmente orientata delle nuove disposizioni.

La Corte Costituzionale – investita della questione di legittimità costituzionale del D.L. 8 giugno 1992, n. 306, art. 15 – con sentenza n. 306 del 1993, dopo avere premesso che il principio di irretroattività dettato, oltre che per la pena, pure per le disposizioni che ne regolano l’esecuzione "potrebbe meritare una seria riflessione", ha sottolineato che "anche in materie non soggette al principio di irretroattività della legge (?) la vanificazione con legge successiva di un diritto positivamente riconosciuto da una legge precedente non può sottrarsi al necessario scrutinio di ragionevolezza".

Il legislatore, quindi, nei limiti della ragionevolezza, può fare tendenzialmente prevalere, di volta in volta, le esigenze di prevenzione generale e difesa sociale, con i connessi caratteri di afflittività e retributività, oppure quelle di prevenzione speciale e di rieducazione, comportanti una certa flessibilità della pena in funzione dell’obiettivo di risocializzazione, purchè "nessuna di esse ne risulti obliterata".

In questo contesto, la Corte ha aggiunto che si può parlare di una sostanziale non elusione delle funzioni costituzionali della pena, soltanto se il sacrificio di una delle componenti sia il "minimo indispensabile" per realizzare il soddisfacimento dell’altra.

Nello stesso contesto ha precisato che appare preoccupante la tendenza alla configurazione normativa di tipi d’autore, per i quali la rieducazione non sarebbe possibile o potrebbe non essere perseguita.

Con successiva sentenza n. 173 del 1999, la Consulta, pronunziandosi sulla legittimità costituzionale dell’art. 4 bis Ord. Pen., ha affermato che il principio rieducativo nella fase dell’esecuzione penale conserva la sua cogenza anche in presenza di leggi con le quali si ritenga di limitare l’accesso alle misure alternative alla detenzione o a determinati benefici penitenziari per far fronte ai pericoli creati dalla criminalità organizzata.

Nel medesimo solco interpretativo si colloca la sentenza n. 445 del 1997 che, in tema di semilibertà, censura il divieto di concessione di misure alternative alla detenzione, pur in presenza di un comprovato percorso rieducativo adeguato al beneficio da conseguire, in quanto destinato a riprodurre di fatto "un meccanismo a connotazioni sostanzialmente ablative" e a riprodurre così un’ipotesi di "revoca" non fondata sulla condotta colpevole del condannato.

Da ultimo, con la sentenza n. 257 del 2006, la Corte Costituzionale – nel dichiarare l’illegittimità costituzionale della L. 26 luglio 1975, n. 354, art. 30 quater, introdotto dalla L. 5 dicembre 2005, n. 251, art. 7, nella parte in cui non prevede che il beneficio del permesso premio possa essere concesso sulla base della normativa previgente nei confronti dei condannati che, prima dell’entrata in vigore della citata L. n. 251 del 2005, avessero raggiunto un grado di rieducazione adeguato al beneficio richiesto – ha affermato che la preclusione, nei confronti di tali soggetti, alla fruizione di benefici scaturita dal nuovo regime normativo si tradurrebbe in un incoerente arresto dell’iter trattamentale, in violazione del

principio sancito dall’art. 27 Cost., comma 3.

Nella stessa prospettiva, il giudice delle leggi, con sentenza n. 255 del 2006 (richiamata da Sez. Un. 30 maggio 2006, ric. Aloi), ha ribadito i principi di "proporzionalità e di individualizzazione della pena" caratterizzanti il trattamento penitenziario, affermati in precedenti decisioni (Corte Cost., sentenze n. 445 del 1997; n. 504 del 1995; n. 306 del 1993) e riconducibili all’art. 27 Cost., comma 1 e 3, e all’art. 3 Cost. (sentenze n. 203 del 1991 e n. 50 del 1980), da intendere nel senso che "eguaglianza di fronte alla pena significa proporzione della medesima alle personali responsabilità e alle esigenze di risposta che ne conseguono" (Corte Cost., sentenze n. 349 del 1993 e n. 299 del 1992).

Per l’attuazione di tali finalità, costituzionalmente sancite, e in funzione della risocializzazione del reo è, quindi, necessario assicurare progressività trattamentale e flessibilità della pena e, conseguentemente, riconoscere un potere discrezionale al magistrato di sorveglianza nella concessione dei benefici penitenziari (Corte Cost., sentenza n. 504 del 1995).

4. Dalle decisioni della Consulta sinora richiamate emerge una trama interpretativa unitaria, in base alla quale l’automatica preclusione dell’accesso ai benefici penitenziari in ragione della configurazione normativa di "tipi d’autore" (quale, nel caso di specie, il recidivo ex 99 c.p., comma 4) e di una scelta general-preventiva si porrebbe in evidente contrasto con la finalità rieducativa della pena e vanificherebbe i principi di proporzione e di individualizzazione della stessa che caratterizzano il trattamento penitenziario.

In questa cornice di principi generali, recepiti in una recente decisione delle Sezioni Unite (Sez. Un. 28 marzo 2006, ric.

Alloussi), il Collegio ritiene che l’ammissione ad una misura alternativa alla detenzione, quale l’affidamento in prova al servizio sociale, di un soggetto cui sia stata applicata la recidiva ex art. 99 c.p., comma 4, con sentenza divenuta irrevocabile prima dell’8 dicembre 2005 (data di entrata in vigore della L. n. 251 del 2005) non può essere automaticamente preclusa dalla circostanza che la persona condannata abbia già in passato usufruito di analoga misura, a prescindere da qualsiasi valutazione in ordine all’avvenuta realizzazione di tutte le condizioni per usufruire del beneficio richiesto.

Questa lettura costituzionalmente orientata della nuova disciplina esime il Collegio dall’affrontare la questione – esaminata sia nel provvedimento impugnato che nel ricorso del Procuratore Generale presso la Corte d’appello di Sassari – relativa alla complessa e problematica natura della disposizione di cui al citato art. 58 quater, che, pur disciplinando misure alternative alla detenzione e, quindi, modalità di esecuzione della pena stessa (Sez. Un. 30 maggio 2006, ric. Aloi), trova il suo più ristretto presupposto applicativo in un istituto di diritto sostanziale, quale la recidiva ex art. 99 c.p., comma 4, anch’essa oggetto di modifica legislativa, secondo quanto già in precedenza detto.

5. Sulla base delle le argomentazioni sin qui svolte, perciò, il provvedimento impugnato è esente da censure, oltre che per le ragioni già esposte al precedente par. 2, anche perchè, al momento di entrata in vigore della L. 5 dicembre 2005, n. 251, contenente, tra l’altro, previsioni restrittive per l’ammissione dei soggetti cui sia stata applicata la recidiva ex art. 99 c.p., comma 4, all’affidamento in prova al servizio sociale (L. n. 354 del 1975, art. 58 quater, comma 7 bis, come novellato dalla L. n.251 del 2005, art. 7), D.C. aveva raggiunto un comprovato stadio del percorso rieducativo adeguato alla misura richiesta e aveva realizzato tutte le condizioni per usufruirne.

L’ordinanza del Tribunale di sorveglianza di Sassari, con motivazione analitica e coerente, dopo avere premesso che il ricorrente deve espiare una pena inferiore a tre anni per reati non riconducibili ad alcuna delle previsioni contenute nell’art. 4 bis Ord. Pen., ha sottolineato una pluralità di indici rivelatori del processo di risocializzazione compiuto e attestato dagli esiti dell’osservazione della personalità, condotta dal competente servizio degli assistenti sociali:

a) stabile inserimento nel mondo del lavoro a partire dal 2002;

b) mancata commissione di ulteriori reati dopo il 2003, anno cui risale la concessione della detenzione domiciliare;

c) impegno dimostrato anche a livello personale per impostare in maniera più costruttiva le relazioni familiari e recidere ogni legame con gli ambienti in precedenza frequentati, riconducibili a situazioni di emarginazione sociale e di deprivazione non solo economica;

d) esito positivo delle misure alternative (affidamento in prova al servizio sociale e detenzione domiciliare), già in passato applicate nei confronti di D.;

e) pendenza di un unico procedimento per reati risalenti all’anno 1995;

f) assenza di rilievi di sorta nella condotta di D. dopo il 2000, documentata da un’aggiornata informativa della Questura di Nuoro.

P.Q.M.

Rigetta il ricorso.

Testo non ufficiale. La sola stampa del bollettino ufficiale ha carattere legale.

Lascia un commento

Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato. I campi obbligatori sono contrassegnati *