Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole direttore del sito giuridico http://www.gadit.it/
Svolgimento del processo
1. Con l’ordinanza in epigrafe il Tribunale di Bari, investito ex art. 309 cod. proc. pen., della richiesta di riesame proposta dall’indagato L.A., ha confermato l’ordinanza del Giudice delle indagini preliminari che in data 9 dicembre 2010 aveva applicato al ricorrente la custodia cautelare in carcere per il delitto di omicidio volontario ai danni di D.B., aggravato ai sensi del D.L. n. 152 del 1991, art. 7, e connessi reati di detenzione e porto illegale di armi da sparo, fatti commessi ad Altamura il 6.9.2010, in concorso con L.G. e M. e P.F., nonchè, limitatamente alla detenzione delle armi, con C.R.G..
1.1. Il Tribunale premetteva che il corpo della vittima era stato trovato lo stesso 6 settembre in campagna; in base ai dati acquisiti l’omicidio risultava commesso in pieno giorno, e le armi utilizzate apparivano essere perlomeno quattro; sul luogo erano stati trovati 34 bossoli: 27 cal. 7,65, 5 cal. 45, 2 cartucce cal. 12; dal corpo erano stati estratti altri due proiettili esplosi da un revolver.
L’episodio appariva inoltre evidentemente iscriversi nell’ambito di una catena di analoghi delitti commessi nello stesso territorio:
l’uccisione a colpi d’arma da fuoco e in centro abitato, il giorno 27 marzo 2010, di L.R. e C.V. (entrambi ritenuti appartenenti al clan Palermiti); la "scomparsa", registrata il 17 novembre 2006, di G.B. detto G., figlioccio di D.B.; l’attentato subito nel settembre 2006 dallo stesso D.B., raggiunto da colpi d’arma da fuoco nel suo garage; l’uccisione, sempre a colpi d’arma da fuoco, in data 17 giugno 2005, di S.R. detto " S.", già indagato assieme a D.B. e a L.G. per associazione a delinquere finalizzata al traffico di droga, estorsioni e altro.
A carico degli indagati stavano i risultati delle intercettazioni, le attività di osservazione, controllo e pedinamento, le dichiarazioni rese da A.B. sentito quale imputato di reati connessi, in quanto s’era anche autoaccusato di avere partecipato a traffici di stupefacente con i Loiudice.
Gravi indizi nei confronti di L.A. emergevano, in specie: dalle conversazioni tra L.M., P. F. e A.B. nella camera del B&B nella quale subito dopo l’omicidio i primi due si erano rifugiati, raggiunti il 17 settembre dal terzo, intrattenute il 17.9.2010, il 18.9.2010, il 20.9.2010; dalle dichiarazioni dell’ A., secondo cui l’omicidio era stato eseguito materialmente da L.M., P. e tali F. e P., su disposizioni date, nella riunione tenutasi il 29 agosto 2010 e alla quale avevano partecipato anche G. e L.A., ampiamente riscontrate anche per le modalità dai fatti; dalla conversazione intercettate il 23 – 24 settembre tra L.A. e la madre, che lo aveva chiamato appena sbarcato dall’aereo per avvisarlo che A. aveva parlato.
2. Ha proposto ricorso l’indagato a mezzo del difensore, avvocato Vito Giulitto, chiedendo l’annullamento della ordinanza impugnata dopo avere, in premessa, chiesto l’estensione dei motivi eventualmente proposti dai coindagati.
2.1. Con il primo motivo denunzia plurime violazione di legge e vizi della motivazione con riferimento all’apprezzamento della gravità indiziaria, alla valutazione della chiamata in reità, alla insoddisfacente risposta alle censure difensive. Non soltanto, difatti, il Tribunale del riesame non aveva considerato l’eccezione relativa all’inutilizzabilità delle dichiarazioni dell’ A., ma aveva definito il ricorrente "esecutore materiale", evidentemente travisando i dati acquisiti, e ritenuto attendibile e creduto all’ A. nonostante: nessuna intercettazione coinvolgesse L.A. e il dichiarante avesse riferito sull’esecuzione del delitto quanto riferitogli da terze persone, escludendo ogni sua responsabilità; A. avesse affermato che s’era recato nel residence per riferire a L.M. e P. che aveva visto C. parlare con il fratello della vittima, ma da nessuna conversazione ciò risultava; l’ A. avesse in una conversazione detto che a "noi" stava pure l’omicidio; da altra conversazione risultasse che l’ A. s’era posto tra coloro che da due anni progettavano l’omicidio; i cosiddetti riscontri alle dichiarazioni dell’ A. non erano affatto esterni nè indipendenti, ed anzi erano circolari, e nessuna conferma oggettiva esisteva in ordine alla riunione del 29 agosto e alla partecipazione alla stessa del ricorrente; l’asserzione che all’azione di fuoco avrebbero partecipato due sconosciuti che non avevano preso parte alla riunione programmatica, fosse del tutto inverosimile.
Il Tribunale aveva inoltre: illogicamente ritenuto l’attendibilità del collaboratore affermando che si trattava di incensurato, nei cui confronti non v’erano indagini in corso, che si era autoaccusato di fatti di droga, omettendo di valutare la genericità delle sue dichiarazioni autoaccusatorie in tal senso; sostenuto la spontaneità delle collaborazione, nonostante lo stesso dichiarante avesse premesso che gli erano state fatte delle "proposte" dagli inquirenti;
affermato che costituivano riscontri oggettivi le modalità dei fatti, dimenticando che esse erano state abbondantemente riferite dai giornali e che erano, per altro, in parte (in relazione al veicolo usato) smentite dai dati acquisiti e che aveva parlato di armi mai rinvenute; omesso di valutare che nessun riscontro era stato acquisito sulla destinazione Brasile del viaggio di A. e L.G. (si sapeva solo che i due si erano recati in aeroporto) e che comunque tale fatto non costituiva riscontro del mandato omicidiario; parlato di un movente indimostrato e riferito de relato con una sorta di inammissibile confessione extragiudiziale.
Infine, anche a dare per buone le dichiarazioni del collaboratore su movente e modalità dell’omicidio, le stesse erano del tutto generiche quanto al mandato riferito al ricorrente, non soltanto perchè mancava la prova della riunione del 29 agosto, ma perchè non risultava in cosa fosse costituito il contributo del ricorrente (questo non aveva mai impartito un ordine in tal senso e anche la sua presenza alla riunione si sarebbe risolta al più in mera connivenza).
2.2. Con il secondo motivo denunzia violazione di legge in relazione all’utilizzazione delle dichiarazioni del collaboratore, in tesi assunte in violazione dell’art. 63 cod. proc. pen..
Le sue dichiarazioni autoaccusatorie erano tanto generiche da non essere idonee ad indiziarlo e non risultava altra iscrizione per fatto connesso o collegato nei suoi confronti. Avrebbe dovuto dunque essere sentito come testimone "puro", senza la presenza di difensore e all’esito delle sue dichiarazioni auto indizianti il suo esame avrebbe dovuto essere quindi interrotto. A carico dell’ A. ben potevano profilarsi infatti, già sulla base delle intercettazioni e comunque della dichiarata sua partecipazione alla riunione del 29 agosto, indizi di reità per concorso nell’omicidio.
Inoltre lo stesso si era dichiarato acquirente e spacciatore di stupefacente. Andava dunque, applicato l’art. 63 cod. proc. pen., che rendeva inutilizzabili le dichiarazioni precedentemente rese erga omnes.
3. Il ricorrente ha quindi depositato memoria con la quale illustra ulteriormente il primo motivo di ricorso, insistendo sulla inattendibilità del collaboratore e sulla mancanza di adeguati riscontri esterni, individualizzanti.
Motivi della decisione
1. Il secondo motivo di ricorso, relativo alla utilizzabilità delle dichiarazioni del collaboratore A., è preliminare ma è intrinsecamente contraddittorio e manifestamente infondato.
Si sostiene infatti dapprima che il dichiarante era da interrogare come semplice testimone, quindi che a suo carico emergevano indizi di reità per fatti oggettivi (le intercettazioni) e le sue stesse dichiarazioni e quindi che non si sarebbe potuti sentirlo come teste, le sue dichiarazioni assunte in tale veste essendo inutilizzabili.
Ma correttamente (e prudenzialmente) l’ A. è stato sentito fin dall’inizio in qualità di imputato di reato connesso, sicchè le sue dichiarazioni sono in ogni caso pienamente utilizzabili.
D’altronde delle maggiori garanzie accordate al dichiarante il ricorrente non ha interesse a dolersi, anche perchè la veste formalmente attribuitagli ha comportato la necessità di apprezzare l’esistenza di specifici riscontri, altrimenti neppure indispensabili.
2. Infondate sono quindi, ad avviso del Collegio, le doglianze sviluppate nel primo motivo.
2.1. Anzitutto, è da dire che la preliminare richiesta di estensione di eventuali motivi dei coindagati è generica e, in ogni caso, manifestamente infondata.
E’ difatti principio consolidato che nei procedimenti de libertate, che si instaurano a norma degli artt. 309, 310 e 311 cod. proc. pen., è escluso l’effetto estensivo dell’impugnazione proposta dall’indagato ai coindagati rimasti estranei al procedimento, ferma restando la sola possibilità, sulla base dei principi generali dell’ordinamento processuale, di estendere gli effetti favorevoli delle decisioni, purchè non fondate su motivi personali (cfr. Sez. u, n. 41 del 22/11/1995, dep. 1996, Ventura, Rv. 203635; e, per analogo principio in materia di misura cautelari reali: Sez. U, n. 34623 del 26/06/2002, Di Donato, Rv 222261).
3. Quanto alle censure concernenti il compendio indiziario, può solo riconoscersi che è formalmente vero che a pag. 3, iniziando la trattazione delle ragioni della decisione, l’ordinanza impugnata definisce il ricorrente "esecutore materiale". Ma si tratta all’evidenza di un mero lapsus, ampiamente chiarito nel prosieguo, dal quale inequivocabilmente emerge che ad L.A. è attribuito di avere partecipato alla fase progettuale e deliberativa dell’omicidio, e di essersi poi allontanato, con il padre, al momento della sua esecuzione, per allontanare da sè i sospetti.
4. Per il resto, il ricorso prospetta quasi esclusivamente questioni di merito, sostenendo da un lato l’inattendibilità del collaboratore e delle sue dichiarazioni, dall’altro l’insufficienza o inidoneità dei riscontri ad esso acquisiti, sulla base di argomenti che possono ritenersi nel complesso e sostanzialmente già esaminati e non implausibilmente ritenuti non conducenti dai giudici del riesame.
4.1. Al proposito va ricordato che il provvedimento impugnato argomentatamente si fonda (a) sulla ricostruita esistenza di una catena di omicidi e ritorsioni tra gruppi contrapposti cui appartenevano l’indagato e i suoi familiari da un lato, la famiglia della vittima dall’altro; (b) sulle caratteristiche dell’agguato e dell’esecuzione, platealmente riconducibile ad un regolamento di conti; (c) sulle conversazioni intrattenute da L.M., P.F. e A.B. nella camera del B&B nel quale, subito dopo l’omicidio, i primi due si erano rifugiati, raggiunti il 17 settembre dal terzo; (d) sulle dichiarazioni accusatorie dell’ A.; (e) sui riscontri a tali dichiarazioni sul fatto, costituiti dalla esattezza delle riferite modalità dell’esecuzione e genesi della risoluzione omicidiaria, corrispondente a quanto evidenziato sub a, e dai contenuti dei colloqui intercettati, indicati sub e; (f) sui riscontri individualizzanti, costituiti sia dal tenore di alcuni dei colloqui intercettati nel B&B, indicati sub e, sia dalla accertata partenza del ricorrente sia, infine dalla telefonata da questo ricevuta il 23 – 24 settembre, non appena sbarcato, di ritorno dall’estero, in Italia, dalla madre che lo avvisava che B. ( A.) aveva parlato e che la situazione era gravissima.
Con particolare riferimento alle conversazioni intrattenute da L.M., P.F. e A.B. nella camera del B&B a far data dal 17 settembre, il Tribunale ha quindi evidenziato la loro valenza indiziaria, autonoma e di riscontro alle dichiarazioni dell’ A., riferendo:
(ci) di quella del 17.9.2010, dalla quale emergevano il progetto di "fare fuori" C.R., sospettato di avere "parlato" (raccontato quanto sapeva dell’omicidio) a D.M. fratello della vittima; la conferma dell’esistenza di due gruppi criminali contrapposti, all’uno dei quali appartenevano i Palmieri e L. M., all’altro i Dambrosio; il timore di una ulteriore ritorsione;
(c2) del 18.9.2010, nella quale i colloquianti ribadivano la volontà di vendicarsi del C. sospettato di avere parlato delle moto, armi e del fucile a pompa usato per l’omicidio;
(c3) del 20.9.2010, i cui contenuti permettevano di ricostruiva il movente dell’omicidio in conformità a quanto poi narrato dall’ A. e di individuare due degli autori del delitto, giacchè durante la stessa L.M. raccontava come D.B. per due volte avesse tentato di uccidere il padre G., si fosse impossessato del territorio, fosse responsabile dell’omicidio di L.R., e, soprattutto, che già da due anni loro avevano intenzione di ucciderlo: in particolare affermando "avevamo già progettato …" e sentendosi rispondere dall’ A. "… quando… la mattina io, tu e A. a progettare").
4.2. A fronte di tali dati obiettivi, le doglianze tendono per lo più a sottoporre al giudizio di legittimità aspetti esclusivamente attinenti all’apprezzamento, che risulta correttamente operato, della valenza indiziaria del materiale acquisito, spesso appuntandosi su particolari opinabili e privi di significato decisivo.
In relazione alle questioni principali questioni agitate, è sufficiente quindi osservare che correttamente appaiono ritenute credibili le dichiarazioni dell’ A., nella parte in cui riferivano che l’omicidio – eseguito materialmente da L. M., P. e tali F. e P. – era stato deciso, su disposizioni date dai Loiudice, nella riunione tenutasi il 29 agosto 2010, alla quale avevano partecipato lo stesso dichiarante, G. e L.A., poi allontanatisi, recandosi in Brasile, per non essere coinvolti al momento del fatto.
La circostanza che il dichiarante non avesse fatto ammissioni circa un proprio coinvolgimento in relazione a tale specifico delitto, risulta valutata e ritenuta non idonea a minare la sua complessiva attendibilità sul rilievo, non illogico, che il collaboratore aveva però confessato altri reati. Per altro, non soltanto un suo mendacio in relazione ad un’eventuale corresponsabilità nella progettazione o nell’esecuzione dell’agguato è frutto di mere ipotesi difensive, ma non escluderebbe comunque la possibilità di una valutazione frazionata delle dichiarazioni accusatorie laddove hanno trovato conforto logico nel movente familiare e specifico riscontro nelle conversazioni intercettate il 20 e il 23-24 settembre, da cui emerge che A. era evocato come uno di coloro che da tempo progettavano l’attentato e che sua madre era preoccupata per lui, in relazione a quanto avrebbe potuto riferire l’ A..
Manifestamente infondate sono le deduzioni sulla inidoneità a fungere da riscontro dei colloqui intrattenuti nel B&B dall’ A., da L.M. e da P.. Le intercettazioni costituiscono difatti fonte obiettiva diversa, acquisita in piena indipendenza rispetto alle, successive, dichiarazioni del collaboratore. E l’osservazione del Tribunale, che l’ A. non era a conoscenza dell’attività di captazione in corso, a sostegno della genuinità e piena attendibilità di quei colloqui, neppure è oggetto di specifica confutazione.
Pure manifestamente infondate sono le osservazioni che le intercettazioni smentirebbero che l’ A. s’era recato ad avvisare le persone rifugiatesi nel B&B di una possibile delazione ad opera del C.: dai colloqui riportati dal Tribunale palesemente emerge infatti che i due erano stati posti sull’avviso di un tradimento e meditavano una vendetta.
Mentre la circostanza che secondo la difesa non risultava accertato che i due L. fossero andati proprio in Brasile, è priva di rilevanza, giacchè è già significativo il riscontro che essi risultavano essersi recati in aeroporto ed erano rientrati dopo qualche giorno.
Quanto al rilievo che non sarebbe descritta una specifica condotta del ricorrente di partecipazione alla risoluzione criminosa adottata nella riunione del 29 agosto, è infine sufficiente osservare che proprio il movente familiare da un lato, la fuga per non essere coinvolto al momento della realizzazione dell’omicidio, risultano sul piano logico plausibilmente considerati in contraddizione rispetto alla tesi di una, improvvida e imprudente, presenza meramente occasionale nel momento deliberativo.
3. Il ricorso va per tali ragioni rigettato e il ricorrente deve essere condannato al pagamento delle spese processuali.
Non comportando la presente decisione la rimessione in libertà del ricorrente, la cancelleria provvedere agli adempimenti di cui all’art. 94 disp. att. c.p.p., comma 1-ter.
P.Q.M.
Rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali.
Dispone trasmettersi a cura della cancelleria copia del provvedimento al direttore dell’istituto penitenziario ai sensi dell’art. 94 disp. att. c.p.p., comma 1-ter.
Testo non ufficiale. La sola stampa del bollettino ufficiale ha carattere legale.