Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole direttore del sito giuridico http://www.gadit.it/
Svolgimento del processo
La Corte d’appello di Roma, in riforma della sentenza di primo grado, rigettava la domanda proposta da G.C., B.M. e P.A. nei confronti dell’INPDAI, a cui nel corso del giudizio era succeduto per legge l’INPS, diretta ad un diverso computo della pensione liquidata in loro favore con il cumulo dei contributi versati, prima dell’iscrizione all’Inpdai, al Fondo di previdenza per gli autoferrotranvieri, istituito con L. n. 889 del 1971. Essi avevano chiesto che all’anzianità contributiva maturata presso questo ultimo fondo fosse applicato il coefficiente di rendimento vigente presso il medesimo, pari al 2,50% annuo, più vantaggioso di quello vigente presso l’Inpdai, senza l’illegittima applicazione, al momento della liquidazione della pensione, del limite "soggettivo", rappresentato dalla misura massima della pensione dovuta ad un soggetto titolare di sola contribuzione Inpdai.
Il giudice d’appello faceva riferimento all’orientamento giurisprudenziale secondo cui, in occasione della liquidazione della pensione da parte dell’Inpdai sulla base anche di contributi originariamente versati presso una diversa gestione pensionistica e trasferiti – in base ad opzione dell’assicurato – presso il medesimo istituto, nel farsi applicazione del limite di cui al D.P.R. n. 58 del 1976, art. 1, comma 2, (costituito dalla misura massima della pensione erogabile dall’Inpdai), deve tenersi conto non solo del criterio di liquidazione della pensione indicato dal comma 1, stesso art., ma anche delle norme successive che avevano introdotto un tetto alla retribuzione pensionabile e coefficienti di rendimento decrescenti della retribuzione eccedente il massimale.
Avverso detta sentenza gli originari ricorrenti – in sostituzione di P.A., gli eredi Ga.Ad.Ma. e M. ed P.E. – hanno proposto ricorso con due motivi.
L’Inps resiste con controricorso.
Successivamente G.C. e gli eredi di P.A. hanno depositato dichiarazione di rinuncia al ricorso per cassazione.
Per B. è stata depositata memoria con cui si fa presente che al medesimo è stata liquidata la pensione sulla base di una contribuzione per 12.728 giorni, inferiore a quella massima di 14.400 giorni (360 x 40) e, limitando le originarie conclusioni, si chiede la condanna dell’Inps a riliquidare la pensione, con la decorrenza originaria, secondo i criteri di cui all’orientamento in materia affermatosi nella giurisprudenza della Cassazione (limite rappresentato dalla pensione liquidabile nel caso in cui l’assicurato fosse stato in possesso della massima contribuzione computabile, sempre versata presso l’Inpdai).
Motivi della decisione
1. Con riferimento alle suindicate partì ricorrenti che hanno rinunciato al ricorso, tenuto presente che la difesa dell’Inps ha preso atto di tali rinunce, deve dichiararsi l’estinzione del processo. Le spese del giudizio possono essere compensate tenuto presente che i ricorrenti hanno preso atto dell’orientamento giurisprudenziale consolidatosi solo dopo la proposizione del loro ricorso, a loro in concreto non favorevole in considerazione della loro situazione contributiva.
2. Il ricorso deve essere trattato nel merito con riferimento a B.M..
Con il primo motivo si denuncia violazione del D.Lgs. n. 181 del 1997, art. 3, commi 1 e 3; del D.P.R. n. 58 del 1976, art. 1, commi 1 e 2, in relazione alla L. n. 44 del 1973, art. 5, commi 1 e 4, al D.M. 7 luglio 1973, art. 2; D.Lgs. n. 181 del 1997, art. 3, commi 1 e 3, nonchè della L. n. 449 del 1997, art. 59, comma 1, (art. 360 c.p.c., n. 3).
In sintesi il ricorrente sostiene che erroneamente la sentenza impugnata ha applicato alla retribuzione i coefficienti di rendimento decrescenti previsti dal D.M. n. 422 del 1988 per le retribuzioni dei dirigenti, a seguito dello sfondamento del tetto pensionistico, ed ha accolto una nozione di pensione massima erogabile dall’INPDAI – come pensione pari a quella che sarebbe spettata al dirigente ove, a parità di retribuzione percepita e ad anzianità assicurativa, fosse stato sempre iscritto al suddetto Istituto previdenziale – che è priva di fondamento normativo, non trovando la tesi giustificazione nel D.P.R. n. 58 del 1976, art. 1. Rileva inoltre che anche il legislatore del 1997 fa riferimento alla retribuzione pensionabile, senza alcun riguardo alle aliquote di rendimento decrescenti, e ciò in quanto i coefficienti di rendimento non attengono alla determinazione della retribuzione pensionabile ma alla determinazione della pensione. Per retribuzione pensionabile deve intendersi soltanto quella stabilita dalle disposizioni in vigore nel regime generale gestito dall’Inps, e cioè il D.Lgs. 30 dicembre 1992, n. 503, art. 3 e la L. 8 agosto 1995, n. 335, art. 1, comma 17.
Con il secondo motivo si lamenta la omessa valutazione di un punto decisivo della controversia e conseguente falsa applicazione del D.M. n. 422 del 1988 a periodi contributivi maturati anteriormente alla data della sua entrata in vigore; violazione del criterio del pro- rata di cui al D.Lgs. n. 503 del 1992, art. 12, commi 1 e 2, e alla L. n. 449 del 1997, art. 59, comma 1, e dei principi elaborati dalla giurisprudenza costituzionale in tema di successione delle leggi nel tempo, con riferimento ai rapporti di durata.
3. I due motivi, che per la loro connessione vanno trattati congiuntamente, meritano accoglimento solo quanto al profilo di seguito precisato.
4. Le questioni poste sono già state più volte affrontate da questa Corte, che ha puntualizzato i principi di diritto ritenuti applicabili in particolare con le sentenze n. 724/2009, 14467/2009, 27801/2009.
Può in sintesi ora ricordarsi che, con riferimento all’avvenuto esercizio della facoltà di ricongiunzione prevista dalla L. 15 marzo 1973, n. 44, art. 5, e dal D.M. 7 luglio 1973, art. 2 di detto decreto dettava regole sul trattamento da riservare alla contribuzione trasferita al fine della liquidazione della pensione che l’Inpdai avrebbe dovuto erogare, precisandone due parametri: a) coefficienti di rendimento; b) retribuzione pensionabile. Per quanto riguarda il primo elemento era precisato che le anzianità contributive acquisite in forza di detti trasferimenti "sono valutate secondo le scale di accrescimento e le aliquote di commisurazione vigenti per la determinazione della pensione presso le gestioni di provenienza", mentre per quanto riguarda il secondo elemento, la retribuzione annua pensionabile veniva individuata in quella maturata presso l’Inpdai. ("Ai fini della determinazione della pensione, per le anzianità contributive acquisite in forza dei trasferimenti di cui ai commi precedenti si applica la stessa retribuzione annua pensionabile stabilita per le anzianità contributive maturate presso l’Inpdai"). Il contrasto tra le parti si appuntava sul valore dell’ulteriore disposizione, che parimenti opera nel calcolo della pensione da liquidare tenendo conto dei contributi trasferiti da gestione diversa, e cioè del D.P.R. 8 gennaio 1976, n. 58, art. 1, comma 2, il quale recita "L’ammontare della pensione comprensivo della quota parte derivante dall’esercizio della facoltà di cui alla L. 15 marzo 1973, n. 44, art. 5, non può essere in ogni caso superiore a quello della pensione massima erogabile dall’Inpdai ai sensi del comma precedente".
L’Inps nel liquidare tale tipo di pensioni ha proceduto quindi a due distinti calcoli: in primo luogo ha determinato sia la quota parte di pensione afferente alla contribuzione trasferita, con i relativi coefficienti di rendimento, sia la quota di pensione afferente alla contribuzione Inpdai, e ha quindi proceduto alla sommatoria delle due quote; con il secondo calcolo ha determinato il limite, ossia ha calcolato la pensione "massima" che sarebbe spettata ove il medesimo lavoratore fosse stato sempre assicurato all’Inpdai, e quindi applicando esclusivamente la normativa che regolava detta gestione.
Le interpretazioni delle parti divergevano perchè i dirigenti ritenevano che la formula usata dal citato D.P.R. n. 58 del 1976, contenga un rinvio recettizio: la pensione massima erogabile Inpdai sarebbe sempre quella pari a tanti trentesimi dell’80% della retribuzione annua media quanti sono gli anni di contribuzione.
L’Inps riteneva invece che la formula usata dalla legge contenga un rinvio formale e quindi mobile: la pensione massima erogabile dall’Inpdai "non sarebbe più costituita da tanti trentesimi dell’80% della retribuzione annua media", come la disposizione originaria prevedeva, ma dalla pensione Inpdai erogabile al momento del pensionamento, con rinvio necessariamente formale, comprensivo dello jus superveniens, in base al quale si dovrebbe tenere conto della introduzione, nel sistema Inpdai, del tetto pensionabile e dei coefficienti di rendimento decrescenti della retribuzione eccedente il massimale.
5. Questa Corte ha già risposto al quesito con le sentenze n. 2223 e 2224 del primo febbraio 2007 e, successivamente, con le sue più recenti pronunce – in particolare, Cass. nn. 724 e 14467 del 2009 -, ha confermato la soluzione ivi adottata seppure con la precisazione secondo cui il limite posto dal D.P.R. n. 58 del 1976 non ha una natura totalmente soggettiva, contrariamente a quanto sostenuto dall’Inps.
A tale indirizzo il Collegio intende dare continuità, pienamente condividendo le considerazioni che danno fondamento alle decisioni da ultimo citate.
Può richiamarsi quindi il principio secondo cui "In tema di trasferimento presso l’Inpdai di contribuzione versata presso il Fondo elettrici, previsto dalla L. 15 marzo 1973, n. 44, art. 5, il D.P.R. n. 58 del 1976, art. 1, comma 2, nello stabilire che l’ammontare della pensione, ivi compresa la quota parte conseguente all’esercizio della facoltà L. n. 44 del 1973, ex art. 5, "non può essere superiore a quello della pensione massima erogabile dall’Inpdai ai sensi del comma precedente" ossia secondo il regime generale dell’Inpdai, contiene un rinvio non recettizio, con la conseguenza che la pensione massima erogabile Inpdai non si determina, in conformità alla previsione originaria, in base a tanti trentesimi dell’80% della retribuzione annua media quanti sono gli anni di contribuzione, ma, attesa la natura formale del rinvio, avendo riguardo alla pensione massima Inpdai erogabile al momento del pensionamento e, quindi, applicando lo jus superveniens, in base al quale si deve tenere conto dell’introduzione, nel sistema Inpdai, dei coefficienti di rendimento decrescenti della retribuzione eccedente il massimale" (Cass. 27801/2009).
Con particolare riguardo al limite della "pensione massima erogabile dall’Inpdai" (di cui al D.P.R. n. 58 del 1976, art. 1, comma 2) è stato chiarito che tale tetto alla pensione liquidabile ai lavoratori che hanno trasferito presso detto istituto i contributi precedentemente versati ad altra gestione è costituito dalla pensione che sarebbe stata liquidabile allo specifico lavoratore pensionando sulla base dell’applicazione integrale della normativa Inpdai (con i relativi coefficienti di rendimento, ai fini di questo calcolo applicati anche ai contributi trasferiti), nonchè della sua specifica posizione retributiva, con il massimo di anzianità contributiva (per legge diventato di quaranta anni). Di conseguenza è stato rilevato che, nonostante l’evoluzione normativa, il maggior rendimento dei contributi trasferiti presso l’Inpdai può continuare ad arrecare un vantaggio per i lavoratori che si pensionano con un’anzianità contributiva inferiore a quella massima (Cass. n. 14467/2009).
6. In conclusione, con riguardo alla posizione di B.M., deve rilevarsi che la sentenza impugnata, da un lato, appare avere ritenuto il limite posto dal D.P.R. n. 58 del 1976, art. 1, comma 2, di natura totalmente soggettiva (per tale ragione considerando corretta la liquidazione operata dall’INPS con l’attribuzione al dirigente interessato di una pensione pari a quella che gli sarebbe spettata ove, a parità di retribuzione percepita e di anzianità assicurativa, fosse stato sempre iscritto all’INPDAI), e dall’altro non ha accertato in base a quale anzianità contributiva tale liquidazione sia stata effettuata, con la conseguenza che non risulta neanche che l’applicazione di tale modalità di liquidazione di fatto non sia lesiva in ragione del possesso da parte dell’assicurato di una anzianità contributiva pari o superiore a quella da utilizzare per determinare la "pensione massima erogabile". Deve peraltro anche ricordarsi che il ricorrente ha precisato di avere interesse all’adozione del corretto criterio di calcolo, essendo in possesso di un’anzianità contributiva inferiore a quella massima computabile.
Il ricorso deve quindi essere accolto per il riferimento da parte della Corte d’appello, nei termini indicati, ad un’erronea nozione di pensione massima erogabile e, nei limiti di tale accoglimento, la sentenza d’appello va cassata.
Il giudice di rinvio, con riferimento alla "storia" assicurativa, contributiva e retributiva del dirigente, accerterà la misura della pensione al medesimo spettante tenendo conto della nozione di massimale sopra individuata, facendo applicazione del seguente principio di diritto: "In tema di trasferimento presso l’INPDAI di contribuzione versata presso un altro fondo pensione, previsto dalla L. 15 marzo 1973, n. 44, art. 5, il limite della "pensione massima erogabile dall’Inpdai" di cui al D.P.R. 8 gennaio 1976, n. 58, art. 1, comma 2, è costituito dalla pensione che sarebbe stata liquidabile allo specifico lavoratore pensionando sulla base dell’applicazione integrale della normativa Inpdai (con i relativi coefficienti di rendimento applicati anche ai contributi trasferiti), nonchè della sua specifica posizione retributiva, con il massimo di anzianità contributiva rilevante ai fini della misura della pensione".
Al giudice di rinvio si demanda anche la regolazione delle spese di questo giudizio, relativamente alla posizione di B.M..
P.Q.M.
La Corte dichiara estinto il processo nei confronti di G.C. e degli eredi di P.A., con compensazione delle spese.
Accoglie il ricorso nei limiti di cui alla motivazione nei confronti di B.M., cassa conseguentemente la sentenza impugnata e rinvia la causa, anche per le spese, alla Corte d’appello di Roma in diversa composizione.
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