Cass. civ. Sez. II, Sent., 11-01-2012, n. 141 Azioni a difesa della proprietà rivendicazione

Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole direttore del sito giuridico http://www.gadit.it/

Svolgimento del processo

1. – Con atto di citazione notificato in data 27 ottobre 1994, G.R., premesso di aver ereditato per successione di G.G. alcuni beni in località (OMISSIS), tra i quali la particella 842 indicata al catasto di detto Comune su cui insisteva in parte la casa padronale ed in parte la corte antistante al fabbricato, che tale particella era stata frazionata nelle particelle 160, che comprendeva la corte, e 159, relativa alla casa padronale, in cui erano compresi due appartamenti, il primo dei quali, al primo piano, abitato da lui, e il secondo, al secondo piano, da G.M., e che quest’ultimo rivendicava la proprietà esclusiva della corte, lo convenne in giudizio innanzi al Tribunale di Firenze affinchè, previo accertamento che l’attuale particella 160 non era mai stata oggetto di divisione o di vendita tra le parti, il giudice adito dichiarasse che la predetta corte era di proprietà comune ad attore e convenuto.

Il convenuto si costituì in giudizio, contestando che la particella in questione fosse di proprietà comune. Sostenne al riguardo che G.G., dante causa dell’attore, aveva venduto, con atto del 1934, la sua comproprietà alla signora C.I. vedova G., madre del convenuto, che la particella 160 era stata oggetto, in passato, di altra lite in materia possessoria, promossa da lui stesso e da Go.Ma. nei confronti dell’attore, conclusasi con l’accoglimento del ricorso, che nell’atto di divisione del 1925 intercorso tra G.G., L., figlio del defunto G.C.G. e di C. I., e la stessa, in proprio e quale legale rappresentante dei figli minori Ma., O., M. e G.G., era stato stabilito che rimanessero di uso comune l’aia compresa tra la casa padronale e il frantoio e la capanna, e che nell’atto di compravendita del 1934 G.G., nonno di R., aveva venduto alla signora I. vari beni, tra cui l’aia poi divenuta oggetto della controversia.

Nel corso del processo, deceduto l’attore, si costituì in giudizio il figlio Ma..

Il Tribunale di Firenze accolse la domanda attorea. La sentenza fu impugnata da G.M..

2. – La Corte d’appello di Firenze, con sentenza depositata il 2 agosto 2005, rigettò il gravame.

Premesso che le decisioni indicate dall’appellante emesse dal pretore di Pontassieve e dal Tribunale di Firenze non potevano avere alcuna valenza con riferimento alla controversia de qua in quanto rese in procedimenti di natura possessoria, osservò la Corte di merito che le conclusioni del c.t.u. nominato in primo grado erano condivisibili in quanto sorrette da elementi tecnici e da argomentazioni logiche.

Aveva affermato il consulente che l’area in questione era costituita da un piazzale lastricato in pietra serena risalente al secolo scorso, prospiciente vari edifici, tra cui la casa padronale di cui era pertinenza. Aveva poi affermato che il podere denominato di (OMISSIS), di cui la particella 160 era oggetto di causa, era costituito negli anni compresi tra il 1925 e il 1934 da vari appezzamenti di terreno coltivati, dalla casa padronale e dalla casa colonica con le pertinenze agricole. Con la stipulazione, il 10 novembre 1925, dell’atto di divisione di varie proprietà, tra le quali la casa padronale di (OMISSIS), l’area oggetto di causa, denominata piazza, era rimasta tra i beni in comune, mentre, a mezzo di un frazionamento, era stata determinata una nuova area, divenuta di proprietà esclusiva di G.G., individuata dalla particella 845, e costituita dall’aia rurale annessa al fabbricato colonico. Con successivo atto del 20 novembre 1934, si era proceduto alla vendita da parte del G. a C.I., vedova di G.C.G., di tre lotti, di cui quello A) costituito dal podere (OMISSIS) comprendente casa colonica, aia, orto del contadino; quello B) costituito da parte della casa padronale, e quello C), costituito da altri annessi. L’aia indicata nel lotto A) non poteva essere la corte padronale, ma doveva essere l’aia rurale annessa al fabbricato colonico di cui all’atto di divisione del 1925, posto che, in caso contrario, essa non avrebbe dovuto essere inserita nel lotto A), attinente ai beni lavorati dal colono, ma nel lotto B), attinente alla casa padronale di cui era pertinenza, o, meglio ancora, nel lotto C), posto che l’aia padronale era inserita, nell’atto di divisione del 1925, nei beni in comune.

Del resto, in caso contrario, il venditore G., all’atto della vendita dell’aia padronale, avrebbe dovuto garantirsi la possibilità di accesso al suo appartamento al secondo piano della casa padronale mediante la costituzione di una servitù di passo della quale non vi era traccia nel contratto del 1934. L’aia padronale era sempre rimasta di pertinenza della particella 842, poi divisa in 159 e 160, quest’ultima riferentesi alla corte oggetto di causa, mentre quella colonica era rimasta di pertinenza della particella 845, e gli atti successivi a quello del 1934 non contenevano elementi che dimostrassero la vendita dell’aia padronale con l’atto indicato, poichè negli stessi detta corte era sempre indicata come comune.

3. – Per la cassazione di tale sentenza ricorre G.M. sulla base di due motivi. Resiste con controricorso Go.

M., che ha anche depositato memoria illustrativa.

Motivi della decisione

1. – Con il primo motivo di ricorso, si deduce nullità della sentenza o del procedimento ai sensi dell’art. 360 c.p.c., n. 4, in relazione all’art. 102 cod. proc. civ. Si rileva che nel corso della controversia l’attuale ricorrente aveva fatto valere l’esistenza di una ipotesi di litisconsorzio necessario, risultando comproprietari dell’aia di cui si tratta, in base ai titoli dedotti in giudizio, ed alle risultanze istruttorie, anche soggetti diversi dalle parti in causa. La mancata partecipazione di costoro al giudizio integrerebbe una irregolare costituzione del rapporto processuale, rilevabile, anche di ufficio, in ogni stato e grado del processo. Si richiede, pertanto, ai sensi del combinato disposto degli artt. 383 e 354 cod. proc. civ., che questa Corte, stante la presenza di un vizio costituito dalla violazione di un litisconsorzio necessario ex art. 102 cod. proc. civ., ordini la rimessione della causa al primo giudice.

2.1. – La censura è priva di fondamento.

2.2. – Premesso che nei precedenti gradi del giudizio non risultano essere state formulate conclusioni nel senso della configurabilità, nella specie, di una ipotesi di litisconsorzio necessario, deve, al riguardo, richiamarsi l’indirizzo giurisprudenziale secondo il quale il difetto di integrità del contraddittorio per omessa citazione di un litisconsorte necessario, non costituendo un’eccezione in senso proprio, può essere rilevata d’ufficio in ogni stato e grado del giudizio, e anche nel giudizio di legittimità, quando la relativa prova risulti dagli atti già acquisiti nel giudizio di merito e sulla questione non si sia formato il giudicato (v., tra le altre, Cass., sentt. n. 203 del 2003, n. 15907 e n. 8689 del 2000).

Nella specie, non emergono dagli atti del giudizio elementi idonei a comprovare l’assunto dedotto, nè potrebbero, non consentendolo la sede di legittimità, essere acquisite nuove prove o ulteriori attività. 3. – Con la seconda doglianza si deduce la omessa, insufficiente o contraddittoria motivazione circa un punto decisivo della controversia, consistente nella individuazione dell’area che, con la denominazione di aia, fu venduta dal sig. G.G. alla signora C.I. con rogito in data 20 novembre 1934. Si osserva che nell’atto di divisione del 1925 il termine "aia" individuava l’area compresa tra la casa padronale, il frantoio e le capanne, e che è pacifico che l’area in questione corrispondesse topograficamente al resede antistante la casa padronale. Parimenti pacifica è la circostanza che detta area fu inclusa tra i beni che rimanevano di proprietà ed uso comune tra tutti i condividenti. La sentenza impugnata, nel dare atto di tali circostanze, ha affermato che "a mezzo di un frazionamento" sarebbe stata "determinata una nuova area che, divenuta di proprietà esclusiva di G. G. individuata dalla particella 845…" avrebbe costituito "l’aia rurale annessa al fabbricato colonico". Ebbene, l’affermazione che la "nuova area" avrebbe costituito una seconda "aia" cd. rurale annessa al fabbricato colonico è, secondo quanto affermato nel ricorso, apodittica, in quanto non giustificata da una adeguata motivazione, nè in termini logico-deduttivi, nè in base ad oggettive e verificabili risultanze tecniche. La Corte di merito si sarebbe rimessa sul punto alle valutazioni del c.t.u., pedissequamente recepite pur non dando conto le stesse delle ragioni che le giustificavano.

4.1. La doglianza non è meritevole di accoglimento.

4.2. – La Corte di merito ha dato conto del proprio convincimento con motivazione congrua ed immune da vizi logico-giuridici, facendo proprie le conclusioni cui, sul punto dibattuto, era pervenuto il c.t.u., non già attraverso un recepimento acritico, come sostiene il ricorrente, ma per averle giudicate corrette in quanto fondate su idonei elementi tecnici ed argomentazioni logiche immuni da vizi e contraddizioni. La Corte ha poi ricostruito la regolamentazione contrattuale quale risultante dagli accordi succedutisi nel tempo, per pervenire alla conclusione della proprietà comune dell’aia in capo ai comproprietari della casa padronale, di cui l’aia medesima costituiva pertinenza.

5. – Conclusivamente, il ricorso deve essere rigettato. Le spese del giudizio, che vengono liquidate come da dispositivo, devono essere poste, in ossequio al criterio della soccombenza, a carico del ricorrente.

P.Q.M.

La Corte rigetta il ricorso. Condanna il ricorrente al pagamento delle spese del giudizio, che liquida in complessivi Euro 3200,00, di cui Euro 3000,00 per onorari.

Testo non ufficiale. La sola stampa del bollettino ufficiale ha carattere legale.

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