Cass. civ. Sez. lavoro, Sent., 16-01-2012, n. 463 Previdenza sociale

Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole direttore del sito giuridico http://www.gadit.it/

Svolgimento del processo

Con sentenza del 23.2 – 8.3.2007 la Corte d’Appello di Firenze, rigettò il gravame proposto dall’Inps nei confronti della Copaim srl e di L.D., rilevando che:

– la pretesa contributiva dell’Inps, connessa ad una pretesa interposizione fittizia di manodopera, risultava del tutto indistinta e non riferibile ad alcuna persona specifica e si rivelava pertanto infondata;

– l’obbligazione contributiva poteva essere adempiuta, come avvenuto nel caso di specie, anche dal datore di lavoro interposto, con effetti liberatori nei confronti dell’interponente, effettivo datore di lavoro.

Avverso l’anzidetta sentenza della Corte territoriale l’Inps ha proposto ricorso per cassazione fondato su due motivi.

La Copaim srl e L.D. hanno resistito con unico controricorso.

Motivi della decisione

1. Con il primo motivo l’Istituto ricorrente lamenta violazione e falsa applicazione della L. n. 1369 del 1960, art. 1, artt. 2115, 1180 e 2036 c.c., in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, deducendo che:

– erroneamente la Corte territoriale si era conformata a quanto espresso da una parte della giurisprudenza, secondo cui la nullità del rapporto di interposizione non comporterebbe la liberazione dell’appaltatore – datore di lavoro fittizio, atteso che, in base alla L. n. 1369 del 1960, art. 1, in materia di appalto di mere prestazioni di lavoro, i lavoratori devono essere considerati, a tutti gli effetti, alle dipendenze dell’imprenditore che concretamente abbia utilizzato le loro prestazioni;

– nella fattispecie non poteva configurarsi un’ipotesi di adempimento del terzo ex art. 1180 c.c., posto che l’effetto estintivo può realizzarsi solo se il solvens è consapevole di essere estraneo al rapporto obbligatorio, mentre se il terzo effettua il pagamento nell’erronea convinzione di esservi tenuto, si verifica un indebito soggettivo ex latere solventis, con conseguente diritto del solvens alla ripetizione e permanenza dell’obbligazione in capo al debitore;

– il risultato interpretativo raggiunto dalla giurisprudenza di legittimità richiamata dalla Corte territoriale faceva erroneamente leva sulla circostanza dell’affidamento dei terzi e sull’apparenza della situazione giuridica, omettendo di rilevare che il sistema di interessi fondante la teoria dell’apparenza è di natura soltanto privatistica;

– era impossibile ricollegare effetti ad un contratto di lavoro radicalmente nullo, cosicchè doveva escludersi qualsiasi obbligazione in capo all’interposto;

– con l’individuazione in capo alla sola società interponente delle obbligazioni previdenziali poteva eliminarsi, a priorie definitivamente, il rischio di attenuazione della tutela previdenziale ed assistenziale a discapito del lavoratore.

Con il secondo motivo il ricorrente denuncia violazione del principio di corrispondenza fra il chiesto e il pronunciato, assumendo che la Corte territoriale non si era pronunciata sulla sussistenza o meno, nel caso di specie, della interposizione fittizia di manodopera.

2. Le questioni sollevate dall’Istituto ricorrente con il primo motivo sono state già oggetto di disamina da parte della giurisprudenza di legittimità, che, a più riprese, ha ritenuto che, nelle prestazioni di lavoro cui si riferiscono i primi tre commi della L. n. 1369 del 1960, art. 1, la nullità, per illiceità dell’oggetto e della causa, del contratto fra committente ed appaltatore o intermediario e la previsione dell’ultimo comma dello stesso articolo – secondo cui i lavoratori sono considerati, a tutti gli effetti, alle dipendenze dell’imprenditore che ne abbia utilizzato effettivamente le prestazioni – comportano che solo sull’appagante (o interponente) – e non anche sull’appaltatore (o interposto) – gravano gli obblighi in materia di assicurazioni sociali nati dal rapporto di lavoro, senza che la (concorrente) responsabilità anche di quest’ultimo possa essere affermata in virtù dell’apparenza del diritto e dell’affidamento dell’Inps nella situazione di apparente titolarità del rapporto di lavoro (cfr, ex plurimis, Cass., n. 5901/99; Cass., SU, n. 22910/2006; Cass., n. 2372/2007). Al contempo la giurisprudenza di questa Corte ha avuto modo di affermare il principio secondo cui, in ipotesi di interposizione nelle prestazioni di lavoro, non è configurabile una concorrente obbligazione del datore di lavoro apparente con riferimento ai contributi dovuti agli enti previdenziali, rimanendo tuttavia salva l’incidenza satisfattiva di pagamenti eventualmente eseguiti da terzi, ai sensi dell’art. 1180 c.c., comma 1, nonchè dallo stesso datore di lavoro fittizio, senza che abbia rilevanza la consapevolezza dell’altruità del debito, atteso che, nell’ipotesi di pagamento indebito dal punto di vista soggettivo, il coordinamento tra gli artt. 1180 e 2036 c.c. porta a ritenere che sia qualificabile come pagamento di debito altrui, ai fini della relativa efficacia estintiva dell’obbligazione (con le condizioni di cui al terzo comma dell’art. 2036 c.c.), anche il pagamento effettuato per errore (cfr, ex plurimis, Cass., n. 12509/2004; Cass., n. 12735/2006; Cass., n. 1666/2008; Cass., n. 3707/2009).

Più in particolare è stato osservato che "L’applicazione del principio ora esposto all’ipotesi dei contributi pagati dal datore di lavoro fittizio comporta l’irripetibilità da parte sua dei contributi già versati (così come delle retribuzioni corrisposte ai lavoratori), poichè non può considerarsi scusabile l’eventuale errore sull’identità dell’effettivo debitore di chi è corresponsabile della violazione della L. n. 1369 del 1960, art. 1, peraltro sanzionata come contravvenzione dall’art. 2" (cfr, Cass., n. 12509/2004, cit., in motivazione). Un successivo arresto di questa Corte si è tuttavia posto in consapevole dissenso con il surricordato orientamento ermeneutico (cfr, Cass., n. 20143/2010), accogliendo quindi la tesi prospettata dall’istituto previdenziale.

Si è infatti sostenuto che le argomentazioni inerenti all’esclusione della scusabilità dell’errore sull’identità dell’effettivo debitore di chi si sia reso corresponsabile della violazione della L. n. 1369 del 1960, art. 1 non tiene conto che, nelle controversie in parola, la posizione dell’interposto non viene in esame, per cui l’affermazione della consapevolezza ed inescusabilità dell’errore nel pagamento apparirebbe "del tutto apodittica", inoltre, considerando che l’interposto non è parte in causa, si finirebbe "inammissibilmente con attribuire forza di giudicato ad una circostanza – inescusabilità dell’errore sull’identità dell’effettivo debitore – riguardante un soggetto estraneo al giudizio, che, nella contestata prospettiva, non potrebbe – altrettanto inammissibilmente – giammai avanzare alcuna pretesa volta ad ottenere la ripetizione di quanto indebitamente". Ritiene il Collegio di non poter condividere le testè indicate obiezioni.

Infatti, come osservato da una recentissima pronuncia di questa Corte (cfr. Cass., n. 23844/2011, in motivazione), l’estraneità al giudizio dell’interposto impedisce che la decisione possa assumere nei suoi confronti valenza di giudicato, ma non esclude che il pagamento dal medesimo effettuato, quale fatto storico, possa e debba essere incidentalmente valutato ai fini dell’accertamento della sua valenza satisfattiva; e, in tale prospettiva, la natura dell’interposizione fittizia di manodopera, siccome legislativamente fondata su comportamenti consapevoli e volontari a cui sono ricollegate conseguenze giuridiche ineludibili, conduce, in via di prova logica, ad escludere in radice che l’eventuale errore in cui l’interposto sia incorso possa essere qualificato in termini di scusabilità.

Deve quindi essere riaffermato il più risalente orientamento ermeneutico e, poichè la Corte territoriale ha deciso in conformità, deve convenirsi per l’infondatezza del motivo.

3. Il rilevato effetto satisfattivo del pagamento effettuato dal soggetto interposto esclude la sussistenza della pretesa contributiva azionata e comporta quindi l’assorbimento del secondo motivo.

4. In base alle considerazioni che precedono il ricorso va pertanto rigettato, con conseguente condanna della parte soccombente alla rifusione delle spese in favore dei controricorrenti, liquidate come in dispositivo.

P.Q.M.

La Corte rigetta il ricorso e condanna l’Istituto ricorrente alla rifusione delle spese in favore dei controricorrenti, che liquida complessivamente in Euro 50,00 oltre ad Euro 3.000,00 (tremila) per onorari, spese generali, Iva e CPA come per legge.

Così deciso in Roma il 15 dicembre 2011.

Depositato in Cancelleria il 16 gennaio 2012

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