T.A.R. Lazio Roma Sez. II, Sent., 30-09-2011, n. 7634 Edilizia e urbanistica

Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole direttore del sito giuridico http://www.gadit.it/

Svolgimento del processo – Motivi della decisione

1. – I Signori G.M., L.M. e M.F., proprietari di alcune porzioni immobiliari site in Roma, Via Volusia nn. 77 e 87 (più precisamente, di una porzione di giardino dell’edificio di Via Volusia n. 87 e di una porzione di giardino dell’edificio di Via Volusia n. 77 nonché dei sottostanti due locali seminterrati destinati a ricovero degli attrezzi), hanno impugnato la determinazione dirigenziale n. 784 del 3 agosto 2010 emessa dal Dipartimento IXPolitiche di attuazione degli strumenti urbanistici, notificata separatamente ai ricorrenti, con la quale l’Amministrazione diffidava "la proprietà degli stabili siti in Roma, Via Volusia nn° 85, 87 e 77Mun XX – che dovranno essere accertate dal competente Gruppo di Polizia Municipale – nonché la Società R.F.I. affinché, ciascuno per le proprie competenze: mantengano lo stato di inagibilità dei terreni interdetti dai VV.FF., nominino un tecnico abilitato che accerti le cause dei fenomeni di dissesto in corso e individui i provvedimenti da attuare al fine della salvaguardia della incolumità pubblica e privata nonché della salvaguardia degli edifici e del traliccio A.T.. (…)" (così, testualmente, la parte dispositiva del provvedimento impugnato).

2. – Dalla documentazione versata in giudizio e dal contenuto degli atti difensivi prodotti dalle parti controvertenti la vicenda sottesa al contenzioso in esame può essere così ricostruita:

a) sin dall’anno 2005 numerosi proprietari di immobili siti nella Via Volusia in Roma lamentavano un preoccupante fenomeno di compromissione degli edifici da ricollegarsi allo svolgimento dei lavori di ampliamento (adeguamento a tre corsie della sede stradale) del Grande Raccordo Anulare di Roma che interessava, tra l’altro e per quanto qui è necessario rilevare, l’area nella quale è ubicata la Via Volusia (che è una traversa della Via Cassia) ove ai nn. 77 e 87 si trovano le distinte unità immobiliari di proprietà degli odierni ricorrenti;

b) lo svolgimento dei lavori, la cui gestione era affidata all’ANAS e la cui realizzazione è avvenuta con l’intervento di numerose imprese, aveva dato luogo ad una "gravissima situazione di precaria stabilità dell’intero declivio collinare (che) coinvolgeva (…) tutti i fabbricati di Via Volusia a tal punto che nel mese di agosto 2009 l’edificiocivico n. 51, "implodeva" collassando" (così, testualmente, a pag. 4 del ricorso introduttivo);

c) nel corso dei lavori, dunque, si verificarono "gravissimi e irreversibili danni su tutta la zona di Via Volusia, la quale sorge su un terreno collinare, il cui equilibrio idrogeologico, statico o (e) geotecnico veniva irrimediabilmente compromesso. Così, in conseguenza del dissesto causato dai predetti lavori, alcuni edifici, tra cui quelli di proprietà dei ricorrenti, subivano gravi lesioni alle strutture portanti, tali da arrecare ingenti danni" (così si ammette, testualmente, a pag. 1 della memoria conclusiva depositata dalla difesa comunale);

c) in data 10 maggio 2010 le unità immobiliari interessate dal dissesto della zona per come sopra si è evidenziato, tra cui quelle di proprietà degli odierni ricorrenti, erano fatte oggetto di sgombero, in seguito all’intervento dei Vigili del fuoco e della Protezione civile e, in particolare, ai ricorrenti "veniva intimato sia di non praticare il giardino dell’abitazione avente accesso dai civici 8587 di via Volusia, a partire dal marciapiede perimetrale dell’edificio fino al confine di proprietà lato G.R.A., sia di non praticare la porzione di giardino dell’abitazione avente accesso dal civico 77, a partire dalle 2 tettoie ivi presenti fino al confine con il G.R.A., nonché ai sottostanti locali seminterrati destinati al ricovero attrezzi" (così, testualmente, a pag. 5 del ricorso introduttivo);

d) seguiva a questi eventi l’avvio di un procedimento penale, con l’apertura di una indagine in argomento da parte della Procura della Repubblica presso il Tribunale di Roma, che portava all’adozione di un provvedimento di sequestro del cantiere dell’ANAS, confermato nella sua validità anche nella sede del riesame;

e) a questo punto il Dipartimento IXPolitiche di attuazione degli strumenti urbanistici del Comune di Roma notificava, separatamente, ai ricorrenti la determinazione dirigenziale n. 784 del 3 agosto 2010 con la quale si prescriveva ai predetti ricorrenti che:

1) le proprietà immobiliari site in Via Volusia nn° 85, 87 e 77e, in particolare, i terreni interdetti dai VV.FF. avrebbero dovuto essere mantenute nello stato di inagibilità;

2) i proprietari avrebbero dovuto nominare un tecnico abilitato che accerti le cause dei fenomeni di dissesto in corso e individui i provvedimenti da attuare al fine della salvaguardia della incolumità pubblica e privata nonché della salvaguardia degli edifici e del traliccio A.T..

2) "l’affidamento dell’incarico da parte delle proprietà (…) e l’accettazione dello stesso da parte del tecnico dovranno essere comunicati, a cura della proprietà (…), all’Amministrazione Comunale";

3) "con le medesime modalità., dovrà essere data comunicazione, a cura del tecnico incaricato, dell’inizio degli adempimenti, nonché degli interventi necessari che dovranno essere realizzati nel rispetto della normativa vigente in materia EdiliziaUrbanistica, mediante acquisizione del titolo idoneo alla realizzazione delle opere di ripristino delle condizioni di sicurezza. Il tecnico medesimo, al termine dei lavori, dovrà inviare, agli Uffici sopramenzionati, certificato redatto su carta legale, attestante che, a seguito delle verifiche effettuate e degli interventi eseguiti, è stato eliminato ogni pericolo per l’incolumità delle persone";

4) "in caso di inottemperanza di quanto sopra ordinato, l’Amministrazione Comunale, per il tramite della U.O.T. Municipale di competenza, ai sensi degli artt. 56 e 94 del Regolamento Edilizio vigente, provvederà d’ufficio, a spese dei contravventori, ad adottare i provvedimenti a tutela dell’incolumità pubblica".

Dolendosi per la illegittimità della determina dirigenziale, sopra riprodotta nella parte dispositiva essenziale e ritenendola illegittima, tra l’altro, perché affetta da vizio di eccesso sotto distinti profili e da violazione di legge con riguardo, in particolare, agli artt. 56 e 94 del regolamento edilizio del Comune di Roma, i ricorrenti ne chiedevano il giudiziale annullamento.

3. – Si è costituita in giudizio l’Amministrazione comunale contestando analiticamente le avverse prospettazioni e confermando la correttezza del comportamento posto in essere dagli Uffici competenti.

4. – Con ordinanza 13 gennaio 2011 n. 92 questo Tribunale ha accolto l’istanza cautelare presentata dalla parte ricorrente. Successivamente, con ordinanza 29 aprile 2011 n. 1828 la Quarta sezione del Consiglio di Stato, in accoglimento dell’appello spiegato dal Comune di Roma, ha respinto l’istanza cautelare proposta dai ricorrenti.

Le parti hanno poi prodotto memorie conclusive con le quali hanno confermato le già rassegnate conclusioni.

Il ricorso è stato trattenuto per la decisione all’udienza di merito del 6 luglio 2011.

5. – In disparte ogni considerazione sulle valutazioni operate dai giudici di prime e seconde cure che hanno dato luogo alle difformi decisioni assunte da questo Tribunale e dal Consiglio di Stato nella fase cautelare, emerge ad avviso del Collegio, all’esito di una approfondita analisi delle questioni sollevate dai ricorrenti e tenuto conto della documentazione prodotta dalle parti, una evidente fondatezza delle censure per come dedotte dai ricorrenti nei confronti del provvedimento comunale impugnato, in ragione di quanto verrà qui di seguito sinteticamente illustrato.

E’ fuor di dubbio, non solo perché lo ha confermato nelle sue difese l’Amministrazione comunale per il tramite dell’Avvocatura, ma anche perché ciò emerge dalla lettura degli atti caratterizzanti lo sviluppo del procedimento penale in corso, che i ricorrenti hanno dovuto aderire all’ordine loro imposto di sgomberare gli immobili di proprietà siti in Roma, Via Volusia ai nn. 77 e 87, in quanto divenuti inabitabili in seguito ai lavori svolti sotto la gestione dell’ANAS per l’ampliamento della sede stradale del G.R.A. di Roma.

Vi è dunque un fatto inequivocabile, rappresentato dalla circostanza che i proprietari non hanno dato corso ad attività costruttive o ad interventi di altra natura sugli immobili di proprietà per effetto dei quali essi sono divenuti inabitabili, tanto da disporsene lo sgombero, ma, al contrario, i presupposti per lo sgombero sono imputabili ai lavori di ampliamento del G.R.A..

Banalmente si potrebbe dire che balza all’evidenza come i Signori G.M., L.M. e M.F. non siano autori né coautori degli interventi che hanno provocato l’inabitabilità degli immobili in questione, bensì vittime dello svolgimento dei lavori commissionati dal Comune di Roma e gestiti dall’ANAS.

Orbene, in ragione della posizione che i ridetti ricorrenti assumono nella vicenda sottesa all’adozione del qui impugnato provvedimento, i contenuti di quest’ultimo si presentano caratterizzati da un elevato grado di non consequenzialità logicogiuridica, tanto da risultare contraddittori rispetto al quadro delle responsabilità cui ascrivere il sopravvenuto stato di inabitabilità degli immobili, tenuto conto della platea degli autori che hanno dato luogo al dissesto idrogeologico e statico della zona collinare ove si trova la Via Volusia.

6. – E’ sufficiente, infatti, fare riferimento ad alcuni passaggi contenuti nel decreto di sequestro preventivo del GIP presso il Tribunale penale di Roma del 15 giugno 2010, confermato in sede di riesame e divenuto definitivo per assenza di ricorso in Cassazione, dei cantieri aperti per la realizzazione delle opere di allargamento della sede stradale del G.R.A., in base ai quali (sinteticamente riprodotti qui di seguito) è possibile verificare che, anche con riguardo alle prospettazioni avanzate dalla Procura della Repubblica:

A) indubbiamente si era avviato fin dall’epoca dei fatti qui in esame un processo di dissesto dell’area dove insistono le proprietà dei ricorrenti provocato da un intervento di "consistente asportazione di terreno e (…) connesso scalzamento di sostegno del pendio" collinare della predetta area nonché per la "presenza di un gigantesco traliccio (alto circa 25 mt.) dove transita corrente elettrica ad altissima tensione, pari a 150.000 volts, posto in adiacenza alle abitazioni di via Volusia ed ubicato sul pendio immediatamente prospiciente al G.R.A.";

B) il dissesto dell’area fosse dovuto ai lavori in corso, circostanza indubitabile che discende dal fatto "che detto traliccio, a causa del processo franoso in atto per i lavori di scavo e di scalzamento del terreno su cui insiste, provoca un concreto pericolo di crollo degli edifici ivi ubicati a seguito di continui smottamenti di terreno, verso la sede stradale del G.R.A. e del sottostante cantiere Oberosler";

C) tali circostanze hanno determinato "un concreto pericolo che la protrazione dei lavori sul G.R.A. possa aggravare o protrarre i danni già provocati agli immobili" nonché "il concreto pericolo che possa verificarsi un reato di disastro colposo ex art. 449 c.p. con pericolo per la pubblica incolumità", tenuto conto che "gli interventi delle competenti autorità amministrative incaricate della verifica e controllo della sicurezza di tali lavori non appaiono essere stati sino ad oggi idonei a garantire la pubblica incolumità delle aree in oggetto".

Quanto sopra, quindi, costituisce prova della responsabilità per il dissesto geologico creato dai lavori di ampliamento della sede stradale del G.R.A. di Roma da parte di chi tali opere ha realizzato e, quindi, di chi le ha gestite e, prima ancora commissionate: di certo va esclusa ogni ragione di causa o concausa della inagibilità degli immobili di Via Volusia ascrivibile ai proprietari.

7. – Orbene, dinanzi al quadro fattuale sopra tratteggiato e confermato nei provvedimenti assunti in sede penale nonché nella documentazione di riferimento prodotta in atti, non ultimi i verbali di sopralluogo delle autorità intervenute in loco (Vigili del fuoco, Commissione sicurezza stabili privati, ecc., tutti prodotti nel presente giudizio), stride e collide decisamente la scelta operativa assunta dal Comune di Roma e tradotta nella determina dirigenziale qui oggetto di gravame.

Quest’ultima, infatti, è stata (testualmente) adottata dagli uffici comunali sulla scorta della previsione normativa contenuta negli artt. 56 e 94 del regolamento generale edilizio del Comune di Roma (si veda la parte in premessa del provvedimento impugnato), i quali rispettivamente stabiliscono che:

– (art. 56) "Provvedimenti per costruzioni che minacciano pericolo. Quando una casa, un muro o in genere qualunque fabbrica o parte di essa minacci pericolo, il proprietario, i conduttori o gli inquilini sono in obbligo di darne immediatamente denuncia al Comune, e, nei casi di urgenza, provvedere a un immediato sommario puntellamento. L’Ispettorato edilizio, ricevuta notizia che un edificio o manufatto presenti pericolo o che un lavoro sia condotto in modo da destare fondate preoccupazioni nei riguardi della pubblica incolumità, dopo un sommario accertamento indica al proprietario, o a chi per esso, i provvedimenti più urgenti da prendere. In caso di mancata osservanza delle disposizioni indicate, il Comune, in seguito a relazione dell’Ispettorato stesso, e salvi i provvedimenti contingibili ed urgenti richiesti a tutela della incolumità pubblica, fa intimare al proprietario l’ordine di provvedere senza ritardo alla riparazione ed eventualmente allo sgombero ed alla demolizione dell’edificio che minaccia rovina.";

– (art. 94) "Sanzioni penali. Le contravvenzioni alle disposizioni del presente Regolamento sono passibili delle sanzioni previste dalla legge comunale e provinciale; salve le pene speciali che fossero stabilite da altre leggi e regolamenti. Qualora si tratti di contravvenzioni riferentisi ad occupazioni di suolo o spazio pubblico, ovvero ad esecuzione di lavori vietati o per i quali sarebbe occorsa l’autorizzazione comunale, l’intimazione del Sindaco importa di pieno diritto l’obbligo per il contravventore di cessare immediatamente dalla occupazione e di desistere dagli atti vietati distruggendo i lavori e rimuovendo gli oggetti e i materiali. Qualora invece si tratti di contravvenzioni derivanti dalla mancata esecuzione dei lavori o dal mancato adempimento di atti obbligatori, la intimazione del Sindaco importa di pieno diritto l’obbligo per il contravventore di eseguirli. Se trattasi di lavori da eseguirsi su proprietà privata autorizzati, ma non condotti secondo le norme stabilite dal presente RE, il Sindaco, fatti gli accertamenti del caso, ne ordina la sospensione. Se trattasi, invece, di lavori già in precedenza sospesi e che vengano lo stesso proseguiti, oppure di lavori iniziati senza regolare autorizzazione, il Sindaco ne ordina la demolizione. a spese e rischio del contravventore, entro un termine il più possibilmente breve. Il Sindaco ha facoltà di provvedere d’ufficio, a spese dei contravventori, quando questi non diano esecuzione alle diffide ad essi notificate in conformità delle disposizioni del presente Regolamento e del R.D.L. 25 marzo 1935 n. 640, art. 4.".

Come ha chiarito nella memoria conclusiva l’Avvocatura comunale "il Comune di Roma, preso atto del provvedimento dei Vigili del Fuoco (in base al quale lo stabile è stato sgomberato) nonché del verbale redatto dal Servizio Sicurezza Immobili Privati circa le condizioni dell’edificio ed accertata la situazione di pericolosità (…), ha ordinato ai proprietari dell’immobile di porre rimedio alle cause che arrecavano danni alla struttura del fabbricato (che resta sempre di proprietà privata) mediante la nomina di un tecnico qualificato ad individuare gli opportuni lavori da eseguire specificando che in caso di inottemperanza totale o parziale l’Autorità si sarebbe vista costretta a disporre d’ufficio a spese dell’inadempiente" (così, testualmente, a pag. 6 della memoria conclusiva).

Ciò che non convince affatto della ricostruzione interpretativa, circa la presenza di un corretto fondamento giuridico sotteso al provvedimento qui impugnato ed offerta dalla difesa comunale, volta a sostenere la doverosità e quindi la correttezza dell’esercizio di potere posto in essere dagli uffici, è il passaggio difensivo nel quale si afferma che la decisione da questi assunta, proprio in applicazione dell’art. 56 del regolamento edilizio generale del Comune di Roma, costituisca "la soluzione idonea ed adeguata implicante non solo un vantaggio per la collettività, ma anche il minor sacrificio possibile per gli interessi destinatari del provvedimento, rimettendo in prima battuta all’iniziativa degli stessi la possibilità di ovviare alla situazione di pericolo in atto e riservandosi, soltanto in caso di loro inerzia, di intervenire per rimuovere la situazione di minaccia" (cfr. pag. 7 della memoria conclusiva del Comune di Roma).

Sul punto è facile rimarcare la presenza di due evidenti contraddizioni in ordine al contenuto del provvedimento qui impugnato:

– sotto un primo profilo emerge la difficoltà per i proprietari di intervenire materialmente su immobili dei quali non hanno più la disponibilità, essendo stati sgomberati per mano pubblica (per come risulta dagli atti di sgombero versati in giudizio);

– sotto un secondo profilo non si comprende quali vantaggi discenderebbero in favore dei proprietari dalla decisione comunale, posto che, per un verso a costoro è fatto carico (a tutto voler concedere) di anticipare le somme per l’intervento del tecnicoprofessionista al quale affidare il compito della individuazione delle opere necessarie per rendere agibili gli immobili, oltre a sopportare i costi dovuti per la loro realizzazione e, per altro verso, nei loro confronti, in caso di inottemperanza all’ordine disposto con la determina dirigenziale, è minacciata la irrogazione di sanzioni penali, oltre che (e comunque) della realizzazione in danno degli interventi necessari.

In definitiva il punto di cocente contraddizione che rende viziata la determina dirigenziale è costituito dalla circostanza che la situazione di pericolo non è stata provocata dai proprietari ma, per il tramite dei soggetti che hanno posto in essere e gestito i lavori in questione, dalla stessa autorità che ha disposto lo sgombero e che, con il provvedimento impugnato, pone in capo ai proprietari, i cui immobili sono stati gravemente danneggiati per effetto dei lavori di ampliamento della sede stradale del G.R.A. tanto da dover essere sgomberati, onerosi incombenti in sostituzione dell’Amministrazione stessa, che tale situazione di grave pericolo ha provocato.

8. – Ne si può sostenere che l’intervento imposto ai privati comunque mantiene integra la loro tutela giuridica rispetto alla situazione pregiudizievole subita e più volte sopra rappresentata, visto che non sposta la possibilità della verifica (giudiziale) in merito alla responsabilità dei danni ed al loro risarcimento la portata pregiudizievole della scelta provvedimentale realizzata dal Comune, atteso che anche una sorta di anticipazione economica in ordine agli intereventi necessari per rendere abitabili gli immobili imposta agli stessi proprietari, costituisce un peso giuridicamente insostenibile perché non giustificato.

Appare infatti, nel caso di specie, non adeguata l’applicazione provvedimentale delle disposizioni, di cui al regolamento edilizio comunale, evocate nel corpo della determina dirigenziale impugnata a sostegno del potere che con essa gli uffici comunali intendevano esercitare.

La ratio sottesa alla disposizioni di cui all’art. 56 del predetto regolamento comunale, tenuto conto che l’art. 94 contiene solo prescrizioni punitive per la eventuale violazione degli ordini disposti in attuazione delle norme regolamentari, va ricercata indubbiamente nell’obiettivo di voler privilegiare e mantenere integra la incolumità di persone e cose nel caso in cui sia posta in pericolo da "un edificio che minaccia la rovina", indipendentemente dalle ragioni proprietarie. In tal caso il normatore regolamentare ha ritenuto equo che, dinanzi al pericolo che possa correre il terzo ovvero beni appartenenti ad un terzo dalla rovina di un edificio (o in presenza anche solo del pericolo che ciò accada), il proprietario debba sopportare i costi necessari per rendere inoffensiva la condizione statica dell’immobile di sua proprietà, sia attraverso l’affidamento dell’incarico ad un tecnico perché individui gli interventi necessari, da realizzare anche in via d’urgenza, al fine di garantire l’incolumità pubblica sia sopportandone tutti i costi; e ciò rendendo costantemente edotto i competenti uffici del Comune dell’andamento delle operazioni di consolidamento e recupero statico dell’edificio.

Tale situazione, tuttavia, come appare evidente dalle espressioni utilizzate nel testo dell’art. 56, trova sempre i proprietari quali potenziali responsabili o corresponsabili delle condizioni di dissesto e, quindi, di pericolo dell’immobile di proprietà, sia perché essi hanno avviato interventi costruttivi sull’immobile "in modo da destare fondate preoccupazioni nei riguardi della pubblica incolumità" sia perché essi non sono intervenuti tempestivamente evitando che "un edificio o un manufatto presenti pericolo".

Nel caso di specie, al contrario, i proprietari non sono autori delle condizioni di pericolo, anche solo per il tramite di omissioni o di intollerabili atteggiamenti di disinteresse, ma sono vittime del comportamento assunto dagli esecutori degli interventi costruttivi disposti nella zona territoriale in questione dalla stessa pubblica autorità comunale e che hanno provocato la situazione di grave pericolo alla quale in nessun modo i proprietari degli immobili hanno dato corso o contribuito in qualche modo alla sua realizzazione.

9. – Non va poi sottaciuto che i proprietari degli immobili di Via Volusia ed in particolare gli odierni ricorrenti hanno provveduto ad eseguire la prima parte delle disposizioni ingiunte con la determina dirigenziale qui impugnata, atteso che essi hanno nominato il tecnico incaricato nella persona dell’ing. U.S., con atto dell’11 ottobre 2010, comunicandolo al Comune di Roma ed il quale ha accettato l’incarico di accertare "le cause dei fenomeni di dissesto in corso ed" individuare "i provvedimenti da attuare al fine della salvaguardia della incolumità pubblica e privata nonché della salvaguardia degli edifici e dei giardini", impegnandosi, infine, "a mantenere lo stato di inagibilità dei rispettivi terreni e porzioni di fabbricati, interdetti all’uso, fino alla realizzazione dei lavori di ripristino dell’agibilità".

In tal modo essi, pur contestando la legittimità della determina dirigenziale n. 784 del 3 agosto 2010, hanno manifestato la loro concreta adesione al piano di recupero delle condizioni di agibilità per come necessariamente stabilito dagli uffici comunali, ma ciò non toglie che gli effetti pregiudizievoli nei loro confronti che discendono dal predetto provvedimento e che restano inalterati anche dopo la nomina del tecnico incaricato (spese per le competenze del predetto tecnico, costi degli interventi fino al recupero delle condizioni di agibilità degli immobili, ecc.) conducono a mantenere integro il loro interesse (ai sensi dell’art. 34, comma 3, c.p.a.), nel presente processo, ad acquisire una pronuncia giudiziale in merito alla correttezza e legittimità del provvedimento impugnato, anche solo per coltivare la domanda risarcitoria con riferimento ai danni subiti dall’attuazione del ridetto provvedimento comunale.

D’altronde, in conclusione ed a maggior evidenziazione della illegittimità del provvedimento qui impugnato, sotto il profilo dell’eccesso di potere per difetto di istruttoria, dalla documentazione prodotta in giudizio emerge la impossibilità tecnicofattuale per i proprietari di dare corso agli interventi ordinati con la determina dirigenziale n. 779 del 3 agosto 2010, tenuto conto delle conclusioni rese dal tecnico incaricato nella sua relazione (cfr. pag. 3 dell’allegato C alla relazione tecnica prodotta in atti) che così si sviluppano: "dal momento che il dissesto degli edifici è solidalmente legato al dissesto del versante, i singoli proprietari degli edifici e dei giardini non possono mettere in atto alcun singolo efficace intervento di messa in sicurezza e nemmeno possono andare a porre in essere interventi di sostegno al piede del versante, su altre opere e terreno di proprietà dell’A.N.A.S. S.p.a.". Conclusioni rispetto alle quali, nel presente giudizio, non si è potuta esaminare alcuna difforme o diversa posizione tecnica degli uffici tecnici comunali, avendo costoro taciuto e non replicato, per il tramite dell’ufficio comunale patrocinatore, a quanto espresso dal tecnico nominato dai proprietari degli immobili di Via Volusia.

Il solo elemento dispositivo che resta indenne in seguito all’accertamento giudiziale della illegittimità della determina dirigenziale impugnata, per evidenti ragioni di sicurezza ed incolumità degli stessi proprietari e dei terzi, è costituito dall’ordine di mantenere nello stato di inagibilità gli immobili in questione e quindi, per i proprietari, di non poter rientrare nella loro materiale disponibilità né renderli, senza interventi adeguati e verificati nella loro efficacia dai competenti uffici comunali, nuovamente abitabili. Tale aspetto della determina dirigenziale impugnata, dunque, non viene travolto dall’annullamento dell’atto impugnato per quanto concerne le restanti sezioni dispositive.

10. – In ragione di tutto quanto si è sopra esposto il Collegio reputa fondate le censure dedotte dalla parte ricorrente e, in accoglimento del ricorso, annulla il provvedimento impugnato, nei limiti sopra evidenziati.

La spese seguono la soccombenza e, in applicazione dell’art. 91 c.p.c. per come richiamato dall’art. 26, comma 1, c.p.a., vanno poste a carico del Comune di Roma, stimandosi equo liquidarle nella misura complessiva di Euro 6.000,00 (euro seimila/00) come da dispositivo.

P.Q.M.

pronunciando in via definitiva sul ricorso in epigrafe, lo accoglie e, per l’effetto, annulla il provvedimento impugnato, nei limiti di cui in motivazione.

Condanna Roma Capitale (già Comune di Roma), in persona del Sindaco pro tempore, a rifondere le spese di giudizio in favore dei ricorrenti, Signori G.M., L.M. e M.F., che liquida in complessivi Euro 6.000,00 – da intendersi Euro 2.000,00 (euro duemila/00) pro capite – oltre contributo unificato ed accessori come per legge.

Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall’Autorità amministrativa.

Testo non ufficiale. La sola stampa del bollettino ufficiale ha carattere legale.

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