Cass. civ. Sez. lavoro, Sent., 17-01-2012, n. 568

Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole direttore del sito giuridico http://www.gadit.it/

Svolgimento del processo

Con sentenza del 19 – 26.1.2007, la Corte d’Appello di Firenze, in accoglimento del gravame proposto dall’Inps nei confronti di R. A., rigettò i ricorsi svolti da quest’ultimo in opposizione alle cartelle esattoriali con le quali gli era stato richiesto, nella gestione commercianti, il pagamento di contributi e sanzioni per gli anni 1998 – 2000.

A sostegno del decisum, per ciò che ancora qui rileva, la Corte territoriale ritenne quanto segue:

– doveva qualificarsi commerciale l’attività svolta dalla Mobilità Servizi sas, di cui il R. era socio accomandatario, atteso che:

a) la forma giuridica adottata faceva presumere fino a prova contraria che l’attività svolta fosse di natura commerciale;

b) nella domanda di iscrizione alla Gestione Commercianti il R. aveva attestato che la natura dell’attività svolta dalla Società rientrava nel settore terziario, in linea con la classificazione dei datori di lavoro ai fini previdenziali dettata dalla L. n. n. 88 del 1989, art. 49;

c) a fronte di tali circostanze, orientanti decisamente verso un inquadramento nel settore commerciale dell’attività svolta dalla Società, sarebbe stato onere dell’opponente dedurre e provare che l’attività in concreto esercitata non rientrava nello schema di classificazione di cui al ridetto L. n. 88 del 1989, art. 49;

– sulla scorta della normativa di riferimento, doveva ritenersi la legittimità di una doppia iscrizione alla gestione separata di cui alla L. n. 335 del 1995, art. 2, comma 26, e alla gestione commercianti;

– tenuto conto che con la domanda di iscrizione alla gestione commercianti il R. aveva dichiarato di svolgere tale attività "con carattere di abitualità e prevalenza" e che il predetto si occupava direttamente e personalmente, assieme all’altro socio, dell’attività sociale in assenza di personale dipendente, doveva ritenersi la sussistenza dei requisiti di cui alle lettere a), b) e c) della L. n. 669 del 1996, art. 1, comma 203, cosicchè risultava fondata la pretesa dell’Inps di ricevere la contribuzione IVS fissa – percentuale sul minimale – per l’attività commerciale svolta dalla Mobilità Servizi sas. Avverso tale sentenza della Corte territoriale, R.A. ha proposto ricorso per cassazione fondato su quattro motivi e illustrato con memoria.

L’Inps, in proprio e quale mandatario della SCCI spa, ha resistito con controricorso. L’intimata Cerit spa non ha svolto attività difensiva.

Motivi della decisione

1. Con il primo motivo il ricorrente denuncia violazione della L. n. 662 del 1996, art. 1, comma 202, e vizio di motivazione, deducendo che l’attività svolta dalla Mobilità Servizi sas, quale evincibile dal certificato della Camera di Commercio allegato al ricorso di primo grado, non era inquadrabile nel settore terziario, bensì in quello dell’assistenza sociale non residenziale; la Corte territoriale aveva peraltro trascurato di analizzare molteplici elementi di giudizio, che, se considerati, avrebbero confermato che l’attività svolta da esso ricorrente quale socio della Mobilità Servizi sas non rientrava fra quelle indicate alla L. n. 88 del 1989, art. 49, a cui rinvia il ridetto L. n. 662 del 1996, art. 1, comma 202.

In relazione a tale motivo è stato formulato il seguente quesito di diritto: "accerti la Corte se vi è stata violazione e/o falsa applicazione della L. n. 662 del 1996, art. 1, comma 202 ed enunci a norma dell’art. 363 c.p.c. il seguente principio di diritto:

"l’assicurazione obbligatoria per l’invalidità, la vecchiaia ed i superstiti di cui alla L. 22 luglio 1966, n. 613 e successive modificazioni ed integrazioni, non può essere estesa ai soggetti che non esercitino, in qualità di lavoratori autonomi, le attività di cui alla L. n. 88 del 1989, art. 49, comma 1, lett. d) e che svolgano attività di consulenza tecnica e professionale in ordine alla normativa vigente in materia di assistenza sociale".

Con il secondo motivo il ricorrente denuncia violazione della L. n. 662 del 1996, art. 1, comma 203, e vizio di motivazione, deducendo l’insussistenza delle condizioni in presenza delle quali esso ricorrente, obbligato quale amministratore di società all’iscrizione presso la gestione separata, sarebbe assicurabile presso la Gestione commercianti, non esistendo una sua partecipazione personale all’attività aziendale oltre a quella di socio amministratore; la Corte territoriale aveva erroneamente ritenuto di ravvisare il carattere di abitualità e prevalenza nell’attività di esso ricorrente sulla base di elementi o circostanze inesistenti o presunti o solo dedotti. In relazione a tale motivo è stato formulato il seguente quesito di diritto: "accerti la Corte se vi è stata violazione e/o falsa applicazione della L. n. 662 del 1996, art. 1, comma 203, della ed enunci a norma dell’art. 363 c.p.c. il seguente principio di diritto: "l’obbligo di iscrizione nella gestione assicurativa degli esercenti attività commerciali di cui alla L. n. 613 del 1966, e successive modificazioni ed integrazioni, non sussiste per i soggetti che non abbiano i requisiti elencati ai punti a), b), c) e d) di tale comma. In particolare non sussiste per coloro che non svolgano l’attività autonoma con i caratteri dell’abitualità e della prevalenza in relazione alle altre attività esplicatè".

Con il terzo motivo il ricorrente denuncia violazione della L. n. 662 del 1996, art. 1, comma 208, deducendo che, in base a tale norma, avrebbe dovuto essere iscritto esclusivamente nella gestione separata di cui alla L. n. 3355 del 1995, art. 2, comma 26, posto che l’interpretazione letterale del predetto comma 208 esclude un duplice obbligo contributivo.

Con il quarto motivo il ricorrente denuncia violazione dell’art. 2697 c.c., assumendo che, nella fattispecie, incombeva all’Inps dimostrare il fondamento della propria pretesa e che tale onere probatorio non era stato assolto.

In relazione a tale motivo è stato formulato il seguente quesito di diritto: "accerti la Corte se vi è stata violazione e/o falsa applicazione dell’art. 2697 c.c. ed enunci a norma dell’art. 363 c.p.c. il seguente principio di diritto: l’I.N.P.S., convenuta in giudizio per effetto dell’impugnazione di un atto impositivo con cartella esattoriale, deve provare i fatti costitutivi della sua pretesa, anche in relazione al fondamento, mentre al privato che ha promosso l’azione spetta dimostrare la loro inefficacia". 2. Il terzo motivo di ricorso è stato espressamente abbandonato dal ricorrente, con la memoria ex art. 378 c.p.c., a seguito dell’emanazione della norma interpretativa di cui al D.L. n. 78 del 2010, art. 12, comma 11, convertito, con modificazioni, in L. n. 122 del 2010; conseguentemente tale motivo non può essere esaminato.

3. Osserva preliminarmente la Corte che l’art. 366 bis c.p.c. è applicabile ai ricorsi per cassazione proposti avverso i provvedimenti pubblicati dopo l’entrata in vigore (2.3.2006) del D.Lgs. 2 febbraio 2006, n. 40 (cfr., D.Lgs. n. 40 del 2006, art. 27, comma 2) e anteriormente al 4.7.2009 (data di entrata in vigore della L. n. 68 del 2009) e, quindi, anche al presente ricorso, atteso che la sentenza impugnata è stata pubblicata il 26.1.2007.

In base alla norma suddetta, nei casi previsti dall’art. 360 c.p.c., comma 1, nn. 1), 2), 3) e 4), l’illustrazione di ciascun motivo si deve concludere, a pena di inammissibilità, con la formulazione di un quesito di diritto, mentre, nel caso previsto dall’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5), l’illustrazione di ciascun motivo deve contenere, sempre a pena di inammissibilità, la chiara indicazione del fatto controverso in relazione al quale la motivazione si assume omessa o contraddittoria, ovvero le ragioni per le quali la dedotta insufficienza della motivazione la rende inidonea a giustificare la decisione. Secondo l’orientamento di questa Corte il principio di diritto previsto dall’art. 366 bis c.p.c., deve consistere in una chiara sintesi logico-giuridica della questione sottoposta al vaglio del giudice di legittimità, formulata in termini tali per cui dalla risposta – negativa od affermativa – che ad esso si dia, discenda in modo univoco l’accoglimento od il rigetto del gravame (cfr, ex plurimis, Cass., SU, n. 20360/2007), mentre la censura concernente l’omessa, insufficiente o contraddittoria motivazione deve contenere un momento di sintesi (omologo del quesito di diritto) che ne circoscriva puntualmente i limiti, in maniera da non ingenerare incertezze in sede di formulazione del ricorso e di valutazione della sua ammissibilità (cfr., ex plurimis, Cass., SU, n. 20603/2007). In particolare deve considerarsi che il quesito di diritto imposto dall’alt 366 bis c.p.c., rispondendo all’esigenza di soddisfare l’interesse del ricorrente ad una decisione della lite diversa da quella cui è pervenuta la sentenza impugnata, ed al tempo stesso, con una più ampia valenza, di enucleare, collaborando alla funzione nomofilattica della Suprema Corte di Cassazione, il principio di diritto applicabile alla fattispecie, costituisce il punto di congiunzione tra la risoluzione del caso specifico e l’enunciazione del principio generale, e non può consistere in una mera richiesta di accoglimento del motivo o nell’interpello della Corte di legittimità in ordine alla fondatezza della censura così come illustrata nello svolgimento dello stesso motivo, ma deve costituire la chiave di lettura delle ragioni esposte e porre la Corte in condizione di rispondere ad esso con l’enunciazione di una regola iuris che sia, in quanto tale, suscettibile di ricevere applicazione in casi ulteriori rispetto a quello sottoposto all’esame del giudice che ha pronunciato la sentenza impugnata (cfr, explurimis, Cass., nn. 11535/2008; 19892/2007). Conseguentemente è inammissibile non solo il ricorso nel quale il suddetto quesito manchi, ma anche quello nel quale sia formulato in modo inconferente rispetto alla illustrazione dei motivi d’impugnazione; ovvero sia formulato in modo implicito, sì da dovere essere ricavato per via di interpretazione dai giudice; od ancora sia formulato in modo tale da richiedere alla Corte un inammissibile accertamento di fatto; od, infine, sia formulato in modo del tutto generico (cfr, ex plurimis, Cass., SU, 20360/2007, cit).

4. Alla luce di tali principi deve rilevarsi l’inammissibilità del primo, del secondo e del quarto motivo di ricorso.

4.1 Infatti, quanto al primo e al secondo, con i quali sono stati denunciati sia la violazione di norme di diritto ( art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3), sia il vizio di motivazione ( art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3), i quesiti svolti sono inammissibili perchè formulati in modo da richiedere alla Corte un non consentito accertamento di fatto, mentre, per ciò che concerne i denunciati vizi di motivazione (la sussistenza dei quali sarebbe prodromica al rilievo delle denunciate violazioni di legge), gli stessi sono inammissibili per la mancata formulazione del prescritto momento di sintesi.

4.2. Quanto al quarto motivo, il quesito è stato formulato in termini assolutamente generici, senza alcun specifico riferimento alla questione controversa, tanto che, quale che fosse la risposta che gli si volesse dare, non potrebbe di per sè condurre alla decisione (in un senso o nell’altro) della causa.

5. Per le considerazioni che precedono il ricorso va quindi dichiarato inammissibile.

Le spese a favore del controricorrente, liquidate come in dispositivo, seguono la soccombenza.

Non è luogo a provvedere al riguardo quanto all’intimata Cerit spa, che non ha svolto attività difensiva.

P.Q.M.

La Corte dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente alla rifusione delle spese a favore del controricorrente, che liquida in Euro 50,00, oltre ad Euro 3.000,00 (tremila) per onorari ed accessori come per legge; nulla per le spese quanto alla Cerit spa.

Testo non ufficiale. La sola stampa del bollettino ufficiale ha carattere legale.

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