Cass. civ., sez. Unite 01-08-2006, n. 17461 GIURISDIZIONE CIVILE – GIURISDIZIONE ORDINARIA E AMMINISTRATIVA – Pretese asseritamente riconducibili alla tutela del diritto alla salute – Criteri di riparto tra le dette giurisdizioni

Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole direttore del sito giuridico http://www.gadit.it/

Svolgimento del processo

Con atto di appello depositato in data 23 aprile 1998, Luigi N., Ludovico S., Nicolino F., Biagio M. e Giorgio F. impugnavano la sentenza del 2 dicembre 1997, con la quale il Pretore di Tivoli aveva rigettato la domanda dagli stessi proposta nei confronti del suddetto Comune diretta alla declaratoria del diritto a parcheggiare lungo il viale Trieste di Tivoli, per potere facilmente accedere al centro medico ivi situato onde usufruire delle cure necessarie come emodializzati. A sostegno della domanda gli appellanti deducevano il loro diritto a fruire delle cure necessarie allo status di invalidi presso l’unico Centro sito nel territorio comunale, e denunziavano una errata valutazione da parte del primo giudice sulla possibilità di accedere ad altre strutture mediche più compatibili con le loro esigenze, attesa l’inesistenza di altri centri similari nel territorio del Comune di Tivoli. Su tali assunti instavano per la riforma della impugnata sentenza e per l’accoglimento della loro iniziale domanda.

Dopo la costituzione del Comune, che spiegava anche appello incidentale con il quale ribadiva le eccezioni di difetto di giurisdizione del giudice ordinario e di incompetenza funzionale del giudice del lavoro, il Tribunale di Roma con sentenza del 12 luglio 2002 dichiarava il diritto degli appellanti a parcheggiare con la propria autovettura – nei limiti di tempo necessari alla fruizione delle cure di emodialisi cui si sottoponevano – nella zona antistante al Centro di terapia medica di Tivoli, sito sul viale Trieste n. 2/b, e condannava il Comune al pagamento delle spese del doppio grado di giudizio e di quelle della espletata consulenza.

Nel pervenire a tale conclusione il Tribunale premetteva che la controversia in esame andava devoluta alla giurisdizione del giudice ordinario in quanto si era inteso dagli appellanti, invalidi al 100%, fare valere il loro diritto soggettivo alla salute, garantito in via assoluta dalla Costituzione ed insuscettibile, come tale, di affievolimento o compressione; precisava che era competente funzionalmente in materia il giudice del lavoro, per essere ad esso affidata la tutela del diritto del cittadino alla salute ed alle correlate prestazioni assistenziali e previdenziali nei confronti della pubblica amministrazione; e osservava, poi, nel merito che la pretesa azionata risultava fondata perché non era stato contestato dall’appellato che il Centro medico di Tivoli fosse l’unico autorizzato a praticare la dialisi in convenzione con il servizio sanitario nazionale, e perché i diversi ed alternativi servizi di parcheggio approntati dal Comune non erano idonei a garantire le condizioni di salute degli interessati. Ed invero, il nuovo parcheggio attrezzato dal Comune imponeva a ciascun dializzato un sforzo – per la maggiore distanza da percorrere per raggiungere il proprio automezzo – incompatibile con le condizioni in cui versava dopo il trattamento sanitario; ed inoltre il pulmino del Centro, che era stato autorizzato a fungere da navetta ed a sostare davanti al Centro stesso per la salita e discesa degli utenti, non poteva rappresentare una soluzione alternativa al parcheggio dati i non preventivabili tempi di attesa.

Avverso detta sentenza il Comune di Tivoli propone ricorso per cassazione, affidato a tre motivi.

Le controparti sono rimaste contumaci.

Motivi della decisione

1. Con il primo motivo il Comune ricorrente denunzia violazione dell’art. 360, n. 1, c.p.c., illogicità manifesta della decisione e difetto di motivazione, assumendo che la causa doveva essere decisa dal giudice amministrativo perché il Comune aveva approvato con una deliberazione formale la sistemazione delle aree urbane, compresa quella interessata che coinvolgeva un punto nodale della circolazione stradale, quale quella della statale Tiburtina. Si era, quindi, in presenza di un atto amministrativo attraverso cui la pubblica amministrazione aveva esercitato i poteri di disciplinare discrezionalmente i criteri di viabilità, sicché le posizioni giuridiche interessate non potevano che configurarsi come interessi legittimi. Evidenzia ancora l’impossibilità per il giudice ordinario di condannare l’amministrazione ad un facere o ad un pati. In ogni caso non poteva, ai fini del riparto della giurisdizione, qualificarsi come diritto soggettivo la pretesa avanzata in giudizio – e rivendicata in contrasto con il diritto di tutti i cittadini, utenti della strada, a circolare secondo gli standard di sicurezza imposti dal codice della strada – a parcheggiare in una zona invece di altra, equidistante dal centro sanitario, e senza un accertato e concreto danno capace di ledere il diritto alla salute.

Con il secondo motivo il ricorrente denunzia violazione degli artt. 38 e 442 c.p.c. e per illogicità e contraddittorietà della decisione, deducendo che la stessa aveva errato nel ritenere che la fattispecie in oggetto rientrasse nella competenza funzionale del giudice del lavoro.

Con il terzo motivo il Comune censura la sentenza impugnata ai sensi dell’art. 360, nn. 3 e 5, c.p.c. per violazione del disposto dell’art. 2697 c.c. e della normativa del codice della strada e del relativo regolamento (d.lgs. 285 e d.P.R. 495/1992) nonché per contraddittoria ed insufficiente motivazione. Più specificamente il ricorrente addebita alla decisione del Tribunale di Roma di non avere tenuto conto che il Centro sito in via Trieste non si era mai adoperato per permettere nella sua struttura la fermata per i mezzi di locomozione dei pazienti sicché non potevano trasferirsi oneri da porsi a carico della clinica convenzionata in capo alla pubblica amministrazione; che con ordinanza sindacale n. 131 del 15 marzo 1996 prot. 13439 era stata autorizzata la fermata nelle vicinanze del Centro delle vetture a disposizione degli emodializzati diversamente da quanto era accaduto in passato; che la addotta circostanza della impossibilità di accedere ad altri centri di emodialisi era stata espressamente contestata e che, invece – come evidenziato anche dal primo giudice – il contrario risultava documentalmente provato attraverso la "mappatura del SSN"; che in ogni caso gli emodializzati non avevano assolto all’onere probatorio su di essi gravante di dimostrare di non potere accedere, senza conseguenze pregiudizievoli alla salute, ad altre strutture capaci di fornire le stesse prestazioni sanitarie di cui erano destinatari.

2. Ai fini di un ordinato iter argomentativo si impone l’esame del primo motivo di ricorso riguardante l’eccepito difetto di giurisdizione del giudice ordinario; eccezione che ha determinato la rimessione della controversia a queste Sezioni unite.

La soluzione di detta questione rende opportune alcune preliminari puntualizzazioni sul c.d. diritto alla salute che, garantito dall’art. 32 Cost., cui viene riconosciuta una portata immediatamente precettiva e non meramente programmatica (cfr. Corte cost., 20 maggio 1982, n. 104), non coincide con il solo diritto alla integrità fisica, tutelando infatti lo stato di benessere non solo fisico ma anche psichico del cittadino.

2.1. Per evidenziare l’assoluta rilevanza assunta nell’attuale assetto ordinamentale di tale diritto è sufficiente rammentare come dal giudice delle leggi: sia stata riconosciuta la incostituzionalità di normative (quali quelle finanziarie del 1984 e del 1985) dirette a disconoscere il rimborso delle spese per le prestazioni di diagnostica specialistica ad alto costo eseguite presso strutture private non convenzionate, uniche detentrici delle relative apparecchiature, in ragione della necessità di garantire «piena ed esaustiva tutela» al «diritto primario e fondamentale» della salute umana, così che «l’esclusione in assoluto ? di qualsivoglia ristoro, ancorché ricorrano particolari condizioni di indispensabilità non parimenti sopperibili, incide sulla garanzia di cui innanzi» (così: Corte cost., 27 ottobre 1998, n. 992); sia stato affermato che «la salute è un valore protetto dalla Costituzione come fondamentale diritto dell’individuo ed interesse della collettività», tanto da essere «costantemente riconosciuto come primario sia per la sua inerenza alla persona umana sia per la sua valenza di diritto sociale» (cfr. in tali sensi: Corte cost., 31 gennaio 1991, n. 37); sia stato ancora rimarcato come il rispetto del principio fondamentale sancito dall’art. 32 Cost. debba valere come criterio interpretativo della legislazione ordinaria (cfr. al riguardo: Corte cost., 16 marzo 1990, n. 127 in materia della c.d. normativa antismog e dell’incidenza dell’inquinamento sulla salute della collettività); e sia stato, infine, in materia di "ambiente", messo in evidenza come dalla legge statale 22 febbraio 2001, n. 36 (legge quadro sulla protezione dalle esposizioni a campi elettrici, magnetici ed elettromagnetici) siano stati, in una funzione non solo di immediata tutela ma anche di prevenzione del bene-salute, fissati tra l’altro «limiti di esposizione» (come valori di campo non superabili «in alcuna condizione di esposizione della popolazione e dei lavoratori per assicurare la tutela della salute», nonché «i valori di attenzione» (come valori di campo da non superare, a titolo di cautela rispetto ai possibili effetti a lungo termine «negli ambienti abitativi e scolastici e nei luoghi adibiti a permanenze prolungate» (cfr. art. 3 l. n. 36 del 2001) (in tali precisi termini: Corte cost., 7 ottobre 2003, n. 307, sub 6).

2.2. Nello scrutinare i numerosi dicta della Corte costituzionale in materia si è osservato in dottrina come sia ormai stata superata l’iniziale lettura restrittiva che vedeva l’art. 32 Cost. rivolto ai soli poteri pubblici e che si è ormai guadagnato alla salute la qualifica di diritto soggettivo, fondamentale ed assoluto, e si è pure aggiunto che allo stato si individua un «nocciolo duro» del diritto – insopprimibile quale che siano le esigenze della collettività – imposto dallo stesso principio di solidarietà sociale che ne permette, solo a determinate condizione, la restrizione. In tale contesto il «principio personalista», di cui l’art. 2 Cost. configura la più chiara espressione, e quello della solidarietà sociale ed economica, caratterizzante il disposto dell’art. 38 Cost., fanno, dunque, della salute un diritto che, nel soddisfare istanze generalizzate della collettività, è diretto a tutelare – in modo efficace e paritario alle altre – le fasce deboli della cittadinanza, garantendo in tal modo pienamente i diritti del malato, considerato come "persona" prima che come paziente da assistere e curare.

2.3. Nella direzione di un progressivo ampliamento dell’ambito di operatività dell’art. 32 Cost. si è mossa pure la giurisprudenza di questa Corte di cassazione, ribadendo più volte che sussiste la giurisdizione del giudice ordinario in relazione alle controversie aventi ad oggetto il diritto soggettivo al rimborso delle spese ospedaliere sostenute dall’assistito all’estero (senza la preventiva autorizzazione della Regione) in caso di ricovero reso necessario da motivi di urgenza, costituiti da una situazione di pericolo di vita o di aggravamento della malattia o di non adeguata guarigione, residuando in tali ipotesi in capo all’autorità amministrativa un potere discrezionale di tipo meramente tecnico in ordine all’apprezzamento dei motivi di urgenza (cfr. in tali sensi: Cass., Sez. un., 19 febbraio 1999, n. 85, cui adde Cass. 6 luglio 1999, n. 7537, sempre per l’affermazione che il rimborso delle spese – in ragione della gravità delle condizioni di salute e nell’impossibilità di ottenere dalle strutture pubbliche e convenzionate prestazioni adeguate – riveste il carattere di diritto soggettivo perfetto tutelabile dal giudice ordinario cui va riconosciuto il potere di disapplicare l’atto amministrativo – e, quindi, anche il decreto ministeriale – che non preveda o escluda detto rimborso).

L’indicato indirizzo risulta ormai essersi consolidato, essendosi più volte riconosciuto al diritto alla salute, come detto, la dimensione di diritto assoluto e primario ed essendosi conseguentemente negato – a fronte delle già individuate situazioni di urgenza – l’esercizio di poteri discrezionali (compresi quelli autorizzativi) da parte della pubblica amministrazione e, quindi, la configurabilità di atti amministrativi (comunque disapplicabili ai sensi dell’art. 5 della l. 20 marzo 1865, n. 2248, all. E), condizionanti il diritto all’ assistenza (cfr. ex plurimis: Cass., Sez. un., 20 agosto 2003, n. 12249; Cass., Sez. un., 28 ottobre 1998, n. 10737; Cass., Sez. un., 29 dicembre 1990, n. 12218, ed, in epoca più recente: Cass., Sez. un., 6 luglio 2005, n. 14197; Cass., Sez. un., 24 giugno 2005, n. 13548; Cass., Sez. un., 30 maggio 2005, n. 11334).

3. Ai fini di un più completo excursus sui precedenti giurisprudenziali volti all’esigenza di assicurare, anche nei confronti della pubblica amministrazione, il rispetto del diritto alla salute, ritenuto diritto «forte», che impone una «difesa a tutta oltranza contro ogni iniziativa ostile» (cfr. in tali precisi termini: Cass., Sez un., 6 ottobre 1979, n. 5172), è opportuno segnalare come già in passato in relazione ad interventi riguardanti l’ambiente naturale (in un settore cioè rappresentativo di valori anche essi costituzionalmente protetti e definito di natura trasversale per le diverse competenze che lo caratterizzano) si sia giunti a negare – pur in un presenza di una stretto legame tra titolarità di interessi individuali da parte di singoli cittadini coinvolti dai suddetti interventi e titolarità di interessi, cosiddetti diffusi, facenti capo a collettività unitariamente considerate – alla pubblica amministrazione ogni potere ablatorio tale da fare degradare il diritto alla salute ad interesse legittimo (cfr. Cass., Sez. un., 9 marzo 1979, n. 1463 in materia di localizzazione di centrali nucleari).

3.1. Ed ancora il carattere di assolutezza del diritto scrutinato e la sua elaborazione sul versante dei rapporti intersoggettivi hanno trovato riscontro: sia nell’affermazione che il diritto alla salute «è sovrastante all’amministrazione di guisa che questa non ha alcun potere, neppure per motivi di interesse pubblico specialmente rilevante, non solo di affievolirlo, ma neanche di pregiudicarlo nel fatto indirettamente», perché incidendo in un diritto fondamentale la pubblica amministrazione «agisce nel fatto», dal momento che «non essendo giuridicamente configurabile un suo potere in materia, esso per il diritto non provvede», ma «esplica comunque, e soltanto attività materiale illecita» (cfr. in questi precisi termini: Cass., Sez. un., 20 febbraio 1992, n. 2092 in una fattispecie di realizzazione di un impianto di depurazione in prossimità di una abitazione); e sia nell’assunto che la tutela giudiziaria del diritto alla salute può essere preventiva e dare luogo a pronunce inibitorie se, prima che l’opera pubblica sia messa in esercizio nei modi previsti, si riesca ad accertare – con riguardo alla situazione che verrà a determinarsi a seguito di detto esercizio – un pericolo di compromissione per la salute di chi agisce in giudizio (cfr., in una fattispecie di realizzazione di un elettrodotto, Cass. 27 luglio 2000, n. 9893).

4. E sempre sul versante del diritto alla salute e, più specificatamente della tutela del malato, va segnalato come la giurisprudenza di questa Corte ricalchi in grandi linee quella comunitaria che – pur riconoscendo che gli artt. 59 e 60 del Trattato CE (coincidenti, a seguito delle modifiche introdotte dal Trattato di Amsterdam, con gli artt. 49 e 50) non sono violati dalla normativa di uno Stato membro, che subordina alla previa autorizzazione della cassa malattia di appartenenza il rimborso delle spese sostenute dall’assicurato per il ricovero presso un Istituto ospedaliero situato in altro stato membro – ha affermato che l’autorizzazione non può essere negata quando risulti che il trattamento sanitario considerato assuma i caratteri dell’«usualità» (nel senso che sia adeguatamente provato e riconosciuto dalla scienza medica internazionale), e dalla «necessità» (nel senso che non sia possibile ottenere definitivamente un trattamento identico che presenti lo stesso grado di efficacia presso un istituto che abbia concluso una convenzione con la cassa malattia cui fa parte l’assicurato) (cfr. Corte giust. 12 luglio 2001, causa C-157/99, richiamata da Cass., Sez. un., 30 maggio 2005, n. 11334 cit.); ed ha altresì statuito che la suddetta autorizzazione non possa essere rifiutata sempre che le cure in questione figurino tra le prestazioni previste dalla legislazione dello Stato membro nel cui territorio risiede l’interessato e sempre che un trattamento identico (o con lo stesso grado di efficacia) non possa essere tempestivamente ottenuto nel territorio dello Stato (cfr. Corte giust. 23 ottobre 2003, causa C-56/01).

5. A volere riassumere quanto sinora esposto può, seppure con qualche approssimazione, affermarsi che nel nostro ordinamento si rinvengono a fronte di situazioni «soggettive a nucleo variabile» – in relazione alle quali si riscontra un potere discrezionale della pubblica amministrazione capace di degradare (all’esito di un giudizio di bilanciamento degli interessi coinvolti) i diritti ad interessi legittimi o di espandere questi ultimi sino ad elevarli a diritti – «posizioni soggettive a nucleo rigido», rinvenibili unicamente in presenza di quei diritti, quale quello alla salute, che – in ragione della loro dimensione costituzionale e della loro stretta inerenza a valori primari della persona – non possono essere definitivamente sacrificati o compromessi, sicché allorquando si prospettino motivi di urgenza suscettibili di esporli a pregiudizi gravi ed irreversibili, alla pubblica amministrazione manca qualsiasi potere discrezionale di incidere su detti diritti non essendo ad essa riservato se non il potere di accertare la carenza di quelle condizioni e di quei presupposti richiesti perché la pretesa avanzata dal cittadino assuma, per il concreto contesto nel quale viene fatta valere, quello spessore contenutistico suscettibile di assicurarle una tutela rafforzata.

6. Quanto sinora detto fornisce le coordinate per risolvere la questione di giurisdizione sollevata dal Comune di Tivoli.

6.1. ÿ giurisprudenza costante che la giurisdizione si determina sulla base della domanda e che, ai fini del suo riparto tra giudice ordinario e giudice amministrativo, rileva non già la prospettazione delle parti, bensì il cosiddetto "petitum sostanziale", il quale va identificato non solo e non tanto in funzione della concreta statuizione che si chiede al giudice, ma anche e soprattutto in funzione della "causa petendi", ossia della intrinseca natura della posizione soggettiva dedotta in giudizio ed individuata dal giudice stesso con riguardo ai fatti allegati ed al rapporto giuridico di cui essi sono manifestazione e dal quale la domanda viene identificata (cfr. sul criterio del "petitum sostanziale" tra le tante: Cass., Sez. un., 11 aprile 2006, n. 8374; Cass., Sez. un., 27 giugno 2003, n. 10243; Cass., Sez. un., 7 marzo 2003, n. 3508); ed è stato altresì precisato che l’applicazione, ai fini del riparto della giurisdizione, del suddetto criterio implica senza dubbio l’apprezzamento di elementi che attengono anche al merito (con la conseguenza che la Corte di cassazione è in materia di giurisdizione anche giudice di fatto) ma non comporta che la statuizione sulla giurisdizione (la quale – come la competenza – va determinata con riguardo ai fatti allegati dall’attore, essendo in contrario irrilevanti le difese del convenuto) possa confondersi con la decisione sul merito né, in particolare, che la decisione possa essere determinata "secundum eventum litis", sicché non esiste alcuna contraddizione logico-giuridica in una sentenza che, sulla base della qualificazione del rapporto dedotto in causa, affermi la giurisdizione del giudice che l’ha emessa e, in un momento logicamente successivo, valutando le risultanze dell’istruttoria svolta, neghi la sussistenza in concreto del rapporto stesso (cfr. in tali esatti termini: Cass. 25 febbraio 1994, n. 1470, cui adde tra le altre: Cass. 14 giugno 2001, n. 8057).

Ed a conforto dell’assunto che la statuizione sulla giurisdizione vada in ogni caso tenuta distinta dalla decisione sul merito – sì da non configurasi alcuna incompatibilità logico-giuridica tra la iniziale qualificazione del rapporto ai fini della individuazione del giudice competente e la declaratoria di insussistenza del rapporto stesso intervenuta in un momento successivo con la decisione della controversia all’esito dell’istruttoria – i giudici di legittimità hanno fatto riferimento agli artt. 187, comma 2 e 3, e 279 c.p.c., ed ancora alla suscettibilità della suddetta statuizione di passare autonomamente in cosa giudicata formale nonché al principio che le sentenze dei giudici di merito che abbiano pronunciato sulla giurisdizione, proprio perché non di merito, non sono idonee a spiegare effetti al di fuori del processo in cui sono emesse (cfr. al riguardo in motivazione: Cass., Sez. un., 15 febbraio 1994, n. 1470 cit., ed ancora Cass. 14 giugno 2001, n. 8057 cit.).

6.2. Corollario di quanto sinora detto – e ribadendosi ancora una volta la netta distinzione tra declaratoria nel corso del giudizio sulla giurisdizione e sentenza definitiva di merito – è che dovendosi la giurisdizione determinare, come si è ora rimarcato, sulla base del cosiddetto "petitum sostanziale" – il quale si identifica soprattutto in funzione della "causa petendi", ossia – è bene ribadirlo – sui soli fatti indicati a fondamento della pretesa fatta valere con l’atto iniziale della lite – va devoluta alla giurisdizione del giudice ordinario la domanda con la quale, proponendosi a fondamento della stessa il diritto alla salute e la necessità di interventi resi necessari per motivi di urgenza (al fine di scongiurare concreti pericoli di vita o di aggravamenti della malattia o di non adeguata guarigione della stessa) si chieda alla pubblica amministrazione, cui si addebita il sorgere della denunziata situazione, una condotta volta a tutelare il suddetto diritto che, per trovare espresso riconoscimento nell’art. 32 Cost., si configura come diritto soggettivo perfetto non degradabile ad interesse legittimo.

6.3. La sentenza impugnata, alla stregua di quanto ora detto, va pertanto sul punto confermata per avere il Tribunale riconosciuto la giurisdizione del giudice ordinario sul presupposto che gli invalidi emodializzati hanno posto alla base della loro richiesta (ripristino del diritto di parcheggio di cui in precedenza usufruivano) il diritto alla salute, di cui hanno lamentato un grave pregiudizio per essere la fruizione delle cure rese estremamente difficoltose e disagevoli ad opera del Comune di Tivoli, che aveva proceduto ad interventi sulla viabilità, costringendo gli emodializzati a parcheggiare il loro automezzo ad una maggiore distanza dal Centro, fornitore delle prestazioni sanitarie.

7. In ragione del ruolo nomofilattico, assegnato istituzionalmente a questa Corte, va rigettato anche il secondo motivo del ricorso con il quale il Comune di Tivoli ha eccepito il difetto della competenza funzionale del giudice del lavoro a decidere la presente controversia, atteso che secondo un consolidato indirizzo giurisprudenziale – avverso il quale non sono state avanzate in questa sede ragioni capaci di metterne in dubbio la validità – le controversie relative alla previdenza ed assistenza sanitaria obbligatoria (nonché alle correlate prestazioni), per rientrare tra le cause espressamente menzionate dall’art. 409, comma 1, c.p.c., sono devolute alla competenza del giudice del lavoro (cfr. sul punto tra le altre: Cass. 17 dicembre 1983, n. 7456, in relazione ad una fattispecie riguardante proprio il trattamento di dialisi, cui adde, negli stessi termini e con un rinnovato richiamo agli artt. 442 e 444 c.p.c., Cass., Sez. un., 29 dicembre 1990, n. 12218).

8. Risulta, di contro, fondata la censura spiegata con il terzo motivo di ricorso, attraverso il quale si addebita al Tribunale di Roma di non avere fatta corretta applicazione della regola fissata dall’art. 2697 c.c. sulla ripartizione dell’onere della prova, e di non avere sorretto l’accoglimento della domanda degli invalidi emodializzati con adeguata motivazione.

8.1. Sulla base della scrutinata giurisprudenza costituzionale e di legittimità, consolidatasi nelle materie in cui il diritto alla salute va contemperato con altri diritti anche essi costituzionalmente protetti – e nelle quali il giudice è tenuto al difficile compito di bilanciare gli interessi in gioco definendone i rispettivi limiti – può enunciarsi il seguente principio: «In relazione al bene-salute è individuabile un "nucleo essenziale", che configura un diritto soggettivo assoluto e primario, volto a garantire le condizioni di integrità psico-fisica delle persone bisognose di cura allorquando ricorrano condizioni di indispensabilità, di gravità e di urgenza non altrimenti sopperibili, a fronte delle quali è configurabile soltanto un potere accertativo della pubblica amministrazione in punto di apprezzamento della sola ricorrenza di dette condizioni. In assenza, però, di dette condizioni e allorquando non vengano denunziati pregiudizi alla salute – anche in termini di aggravamenti o di non adeguata guarigione – la domanda volta a ottenere le dovute prestazioni con modalità di più comoda ed agevole praticabilità per il paziente di quelle apprestate dalla pubblica amministrazione, ha come presupposto una situazione soggettiva di interesse legittimo stante la discrezionalità riconosciuta alla autorità amministrativa di soddisfare tempestivamente le esigenze del richiedente scegliendo tra le possibili opzioni praticabili – anche attraverso una opportuna integrazione tra le potenzialità delle strutture pubbliche con quelle private convenzionate – la soluzione reputata più adeguata alla finalità di piena efficienza del servizio sanitario».

8.2. L’ora riportato principio si colloca nell’ambito delle ripetute statuizioni dei giudici costituzionali e di quelli di legittimità. Ed invero, a dimostrazione della veridicità di tale assunto, è sufficiente rammentare come i primi abbiano – ancora una volta sul presupposto della natura della salute come diritto individuale assoluto – emesso, come si è già ricordato, decisioni caducatorie di norme che non consentano di assumere a carico del servizio sanitario nazionale la spesa per prestazioni di alta specializzazione ottenibili soltanto presso strutture private non convenzionali sempre che si sia in presenza della «indispensabilità» (intesa come idoneità delle medesime a produrre effetti diagnostici e terapeutici più certi e completi di quelli riferibili alle metodiche in uso presso il servizio pubblico; così Corte cost. 27 ottobre 1988, n. 992 cit.); e come, a loro volta, i giudici di legittimità abbiano anche essi riconosciuto una «tutela forte» al diritto alla salute in presenza di situazioni d’urgenza e di esposizione a pericoli di danni irreparabili alla integrità fisica (cfr. ex plurimis: Cass., Sez. un., 19 febbraio 1999, n. 85 cit.; Cass., Sez. un., 28 ottobre 1994, n. 8882), a fronte dei quali la pubblica amministrazione può eventualmente apprezzare soltanto i dati fattuali addotti dall’interessato, secondo i criteri della discrezionalità tecnica, che non basta ad alterare la consistenza del diritto soggettivo, giacché l’inosservanza di tali criteri nell’accertamento della concreta sussistenza di una posizione soggettiva non esprime alcun potere di supremazia, tanto da essere consueta anche nei rapporti interprivati, e da non comportare, quindi, in quelli pubblici, alcun fenomeno di affievolimento (così: Cass., Sez. un., 2 aprile 2002, n. 4647).

9. Alla stregua delle considerazioni svolte e del principio di diritto sopra enunciato la motivazione della sentenza impugnata si presenta non adeguata nella parte in cui non ha esplicitato le ragioni su questioni di certo rilevanti ai fini della decisione. Ed invero, tra l’altro, da parte del giudice d’appello non è stato chiarito se il denunziato spostamento del parcheggio determinasse un concreto danno alla salute degli emodializzati o fosse causa, in ragione di una sempre limitata distanza dal Centro sanitario, soltanto di un meno agevole accesso per gli utenti dello stesso Centro (senza però alcun rilevante pregiudizio per la loro integrità fisica); non è stato precisato – mediante un lineare, coerente ed esaustivo percorso argomentativo – se gli emodializzati, su cui incombeva il relativo onere probatorio, avessero provato l’impossibilità di accedere ad altri presidi o strutture capaci di garantire la necessaria assistenza nel pieno rispetto della loro salute, nonostante la dedotta permanente contestazione degli elementi posti a base della domanda degli attuali intimati e nonostante l’agevole accertamento (anche attraverso la "mappatura" del Servizio sanitario nazionale) della effettiva dislocazione di altri centri per la dialisi extracorporea, e della loro agevole accessibilità. Ed, infine, in nessun passaggio motivazionale è stata esplicitata la ragione per la quale non sia stata accertata in modo esauriente la praticabilità – anche nell’ambito di una doverosa sinergia tra strutture pubbliche e strutture convenzionate capaci di assicurare alti standard di conoscenze specialistiche e di efficienza pratica – di soluzioni alternative a quella seguita dal Comune di Tivoli, e più specificatamente non sia stata né esaminata né, tanto meno, valutata la capacità di soddisfare le esigenze degli emodializzati attraverso l’adibizione di spazi, a disposizione dello stesso Centro sanitario, a parcheggi deputati ad assicurare un agevole accesso ai luoghi attrezzati per la dialisi, od anche attraverso alcuna delle iniziative che il Comune di Tivoli ha sostenuto di avere preso a favore degli emodializzati.

10. Per concludere, va rigettato sia il primo motivo, dovendosi dichiarare la giurisdizione del giudice ordinario, che il secondo motivo del ricorso. In accoglimento, invece, del terzo motivo la sentenza impugnata va cassata ed, ai sensi dell’art. 384 c.p.c., essendo necessari ulteriori accertamenti di fatto, la causa va rimessa ad altro giudice, designato nella Corte d’appello di Roma, che procederà ad un nuovo esame della controversia, facendo applicazione dei principi innanzi formulati.

11. Al giudice del rinvio va rimessa la statuizione anche delle spese del presente giudizio di cassazione.

P.Q.M.

La Corte rigetta il primo motivo del ricorso, dichiarando la giurisdizione del giudice ordinario, nonché il secondo motivo ed, in accoglimento del terzo motivo del ricorso, cassa la sentenza impugnata e rinvia alla Corte d’appello di Roma anche per le spese del presente giudizio di cassazione.

Testo non ufficiale. La sola stampa del bollettino ufficiale ha carattere legale.

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