Cass. civ., sez. III 25-07-2006, n. 16937 RESPONSABILITÀ CIVILE – COLPA O DOLO- CONTRATTO PRELIMINARE – IMPUGNAZIONI CIVILI – Cumulablità – Legittimità- Nozione, contenuto e finalità

Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole direttore del sito giuridico http://www.gadit.it/

Svolgimento del processo

La I.F.I. immobiliare, citando in giudizio dinanzi al tribunale di Bolzano l’ing. P.G. per sentir pronunciare nei suoi confronti una sentenza sia di accertamento (dichiarativa della legittimità del recesso di essa attrice dalle trattative intercorse con il convenuto), sia di condanna nei confronti del predetto (al pagamento della somma di L. 880 milioni, a titolo di risarcimento danni e di restituzione di quanto a lui corrisposto), espose: – di avere intavolato trattative con l’ing. V.A. allo scopo di finanziare la ricerca e lo sviluppo di un nuovo sistema di produzione energetica presentato anche dalla stampa come altamente innovativo; – di aver appreso dal V. che l’invenzione alla base del sistema era da attribuirsi essenzialmente al P., e che depositaria del relativo brevetto sarebbe stata una società costituita e registrata nelle Antille Olandesi (la "Pendolo Corporation" n.v.); – di aver versato, in sede di pre-trattative, un acconto di L. 300 milioni, all’esito del quale fu firmata, tra essa attrice, il V. e il P., una lettera di intenti nella quale questi ultimi, progettisti e soci coinventori del sistema denominato "nuova energia alternativa", si dichiaravano possessori dei relativi diritti in quote uguali, intenzionati, come tali, a trasferire il brevetto alla ricordata società "Il pendolo" delle Antille olandesi, di cui soci erano, ancora, il P. al 76% e tale P.L. per il 24%; – di aver ricevuto ulteriori assicurazioni in ordine alla circostanza che, da quella società, il brevetto sarebbe poi stato trasferito ad altra struttura societaria – le cui quote sarebbero state detenute in esclusiva dal V. e dal P. – la quale avrebbe poi allacciato gli opportuni rapporti commerciali con la costituenda Exo New Energy per lo sfruttamento commerciale dell’invenzione; – di aver previsto, nella lettera intenti, che due consulenti fossero incaricati di verificare la situazione giuridico-amministrativa così descritta; – di avere successivamente versato al P. e al V. le ulteriori somme di L. 350 milioni (il 10.12.1996), L. 100 milioni (il 20.12.1996), L. 130 milioni (il 21.1.1997), per un complessivo importo di vecchie L. 880 milioni; – di aver appreso, all’esito delle verifiche effettuate, che inventore del sistema risultava, in realtà, anche il Po., detentore del 76% del capitale della società "Pendolo", dalla cui gestione, inoltre, a seguito di varie vicissitudini societarie e giudiziarie, il P. stesso stava per essere estromesso, così vanificando le prospettive commerciali (concordate a seguito delle mendaci affermazioni del medesimo in ordine al suo presunto controllo della compagine societaria) concordate nella lettera di intenti; – di aver predisposto una seconda lettera di intenti, più aderente alla realtà, accettata dal V. ma rifiutata dal P. il quale in realtà, rappresentando false circostanze, aveva cercato di carpire alla IFI tutta una serie di prefinanziamenti.

Tanto premesso, la IFI spiegò le domande di cui in epigrafe specificando, in particolare, che la restituzione della somma di L. 800 milioni "veniva chiesta a seguito di risoluzione del contratto come giudizialmente spiegata in questo procedimento".

Si costituì P.G. in persona del suo curatore – essendo egli stato inabilitato per infermità mentale il 13 luglio 1994 -, il quale sostenne di aver ricevuto dall’attrice la minor somma di L. 630 milioni, di cui L. 500 utilizzati per acquistare quote della "Pendolo corporation", invocando l’annullabilità di tutta la complessa attività negoziale (di straordinaria amministrazione) posta in essere dal suo assistito.

Il giudice di primo grado, qualificata la lettera di intenti come atto di straordinaria amministrazione, condannò il P., previa declaratoria di annullamento dell’atto, alla restituzione all’IFI della somma di L. 630 milioni, considerati effettivamente ricevuti a vantaggio dell’inabilitato.

Il gravame principale proposto da P.G. avverso tale pronuncia dinanzi alla Corte di appello di Bolzano venne rigettato, mentre ricevette accoglimento quello incidentale avanzato dalla IFI. La corte di merito – premesso che l’appellante principale aveva eccepito il vizio di ultrapetizione in cui era incorso il giudice di primo grado (per avere questi statuito su una restituzione di somme da parte dell’incapace richiesta solo tardivamente dall’attrice) e quello incidentale aveva dal suo canto precisato che il titolo delle proprie richieste di rimborso doveva intendersi "di risarcimento extracontrattuale, per trattative in malafede"-, ebbe ad osservare, per quanto ancora rileva in sede di giudizio di legittimità: 1) che, dell’atto negoziale definito dall’appellante incidentale "lettera di intenti" con la quale il P. si era impegnato a trasferire tutti i suoi diritti sull’invenzione in cambio dei finanziamenti, era senz’altro predicabile la annullabilità: si trattava, nella specie, di una complessa operazione economico- finanziaria, sicuramente suscettibile di esecuzione in forma specifica, con la quale il P. si era concretamente impegnato a disporre, la cui natura giuridica era quella di preliminare vincolante di cessione esclusiva di futuri diritti, il cui carattere era quello di disposizione del proprio patrimonio, di straordinaria amministrazione, annullabile su istanza del curatore dell’inabilitato; 2) che "effettivamente la richiesta di restituzione di quanto l’incapace aveva ricevuto a proprio vantaggio non era mai stata formulata nemmeno in via subordinata da parte della IFI", ma era purtuttavia "prospettata quale effetto naturale in precisazione delle conclusioni" (così, testualmente, la sentenza delle corte alto atesina al folio 12 della motivazione); 3) che, essendo il contratto stipulato con l’inabilitato non nullo, ma soltanto annullabile – e quindi suscettibile in astratto di convalida – l’art. 1443 c.c., in tema di ripetizione contro l’incapace, postula, per la sua legittima applicazione, una specifica domanda dell’interessato, non essendo la ripetizione de qua un effetto naturale dell’accoglimento della domanda: nella specie, dunque, il titolo per la restituzione invocata dalla società IFI non poteva essere costituito dal disposto dell’art. 1443 c.c., difettando, in proposito, una specifica domanda (in tal senso trovava così accoglimento in parte qua l’appello del P.); 4) che occorreva, pertanto, appurare l’esistenza di un eventuale, diverso titolo extracontrattuale, come invocato dalla società appellata, che sosteneva di essere stata raggirata dal P.; 5) che, in tema di responsabilità da slealtà precontrattuale, essa andava "inquadrata nella generale annullabilità degli atti – e non dei contratti o obbligazioni – dell’incapace; ci si lega anche con trattative che creino una legittima aspettativa in controparte, ed anche questi sono atti negoziali, per cui non?? si vede quale differenza, ai fini della generale annullabilità degli atti, vi sia" (così testualmente la sentenza al folio 13 della motivazione); 6) che il principio di diritto secondo il quale la responsabilità del genitore, per il danno cagionato da fatto illecito del figlio minore, trova fondamento, a seconda che il minore sia o meno capace di intendere e volere al momento del fatto, rispettivamente nell’art. 2048 c.c., in relazione ad una presunzione "iuris tantum" di difetto di educazione ovvero nell’art. 2047 c.c., in relazione ad una presunzione "iuris tantum" di difetto di sorveglianza e di vigilanza.

Le indicate ipotesi di responsabilità presunta pertanto, sono alternative – e non concorrenti – tra loro, in dipendenza dell’accertamento, in concreto, dell’esistenza di quella capacità (la sentenza cita il precedente di cui a Cass. 2606/1997), ponendo una sostanziale e sistematica equiparazione tra minore emancipato e inabilitato che va oltre le disposizioni dettate dalla normativa sulla curatela e riveste anche gli aspetti derivanti da atti illeciti degli stessi inabilitati, doveva trovare ingresso anche nella fattispecie concreta con riguardo al P., inabilitato; 7) che, pur essendo in primo grado mancato del tutto – perchè non richiesto – un qualsivoglia accertamento sulla prova in ordine la effettiva capacità del P. nel condurre le trattative, sul suo intento di voler scientemente truffare la IFI, sul chi dovesse concretamente sorvegliarlo, su chi dovesse conseguentemente rispondere dei suoi atti in caso di omessa sorveglianza e, infine, sul concreto contributo causale di quest’ultimo all’asserito meccanismo truffaldino in caso di sua incapacità mentale al momento dei fatti, "il tenore letterale della scrittura" era "chiaro e inequivocabile: il P. si è presentato come coinventore e titolare dei diritti di sfruttamento al 76% dell’invenzione. Le pressioni che egli riferisce di aver subito per intavolare le trattative mai gli provennero dalla IFI, ma semmai dal V.. E non essendo provato nel caso di specie che la IFI si sia servita del V. per ingannare il P., lo stesso deve rispondere dei danni" (così il folio 14 della sentenza), da quantificarsi in tutto quanto versato dalla IFI; e cioè L. 880 milioni, avendo la IFI "ben diritto, essendo il P. solidalmente coinvolto nel meccanismo che indubbiamente ha sorpreso la buona fede della finanziaria inducendola a compiere il suddetto atto di fede, di essere integralmente risarcita anche dall’incapace"; 8) che "il potere di accordare equa indennità" si ricollegava "alla richiesta di risarcimento del danno procurato dall’incapace, e non abbisognava di domanda ad hoc. Comunque il P., per evitare tale responsabilità, avrebbe dovuto chiamare in manleva chi avrebbe dovuto sorvegliarlo, comprovando nel contempo la propria assoluta incapacità all’epoca dei fatti. Tale prova avrebbe dovuto essere data dal P. non essendo sufficiente a tal fine la sentenza di inabilitazione" (folio 15 della sentenza).

Per la cassazione della sentenza della corte d’appello di Bolzano ricorre oggi dinanzi a questa Corte P.G..

Resiste con controricorso la IFI immobiliare.

La parte ricorrente ha depositato memoria.

Motivi della decisione

Il ricorso, articolato in 3 motivi di doglianza, è fondato.

In limine, va decisa la questione di inammissibilità del ricorso per omessa esposizione del fatto sollevata da parte controricorrente in sede di discussione orale, trattandosi di (eventuale) nullità di un atto del procedimento rilevabile di ufficio da questa Corte.

La questione non è fondata.

Pur non facendo pedissequamente propri i passaggi e lo svolgimento dei fatti contenuti nella sentenza oggi impugnata, difatti, il ricorso, dal folio 2 al folio 11, riproduce e ripercorre le tappe più significative delle vicende processuali ed extraprocessuali che costituiscono l’oggetto dell’attuale giudizio, fornendo inoltre, e in più occasioni, ulteriori e fondamentali chiarimenti (come, ad esempio, in relazione alle cause e modalità di inabilitazione dell’odierno ricorrente) rispetto alla (non sempre lucida ed esaustiva) ricostruzione dei fatti contenuta nella pronuncia della Corte di appello di Bolzano.

Va altresì preliminarmente esaminata la questione della inammissibilità del controricorso, sollevata in memoria da parte ricorrente, per omessa notifica al curatore del P..

La questione non è fondata.

L’assenso fornito dal curatore alla impugnazione della sentenza, difatti (della cui esistenza la stessa parte ricorrente non dubita) esaurisce l’attività demandata all’organo di protezione dell’incapace, che, nel manifestare la propria volontà, si rende parte di un atto unilaterale complesso "a complessità disuguale". La sostanziale unicità dell’atto, e (la non contestata e) contestuale elezione di domicilio compiuta dal ricorrente presso il proprio difensore nel giudizio di cassazione (l’avv. Paolo Del Bufalo, con domicilio in Roma alla via Anastasio II n. 139, ove il controricorso risulta concretamente notificato), rendono del tutto valida ed efficace la notifica dell’atto processuale in contestazione.

Con il primo motivo, lamenta il ricorrente una pretesa violazione dell’art. 1337 c.c. – violazione del principio della corrispondenza tra il chiesto e il pronunciato ex art. 112 c.p.c., sostenendo che il giudice di merito, dopo aver correttamente escluso che la pretesa della IFI potesse essere accolta ai sensi dell’art. 1443 c.c. – poichè, pur essendo la pattuizione P./ V. sicuramente annullabile in quanto sottoscritta dal solo P. benchè inabilitato, difettava, nella specie, ogni domanda in tal senso da parte della società -, e dopo aver, altrettanto correttamente, qualificato la "lettera di intenti" intercorsa tra le parti come vero e proprio "contratto preliminare vincolante" (e dunque suscettibile di esecuzione coattiva) avente ad oggetto la cessione esclusiva dei futuri diritti di sfruttamento industriale di un’invenzione, sarebbe incorso in un evidente errore di diritto nel predicare l’esistenza di un titolo extracontrattuale di responsabilità a carico del P., così estendendo indebitamente la domanda della IFI, anzichè limitarsi ad annullare la pattuizione. "La pronuncia di invalidità del contratto prosegue ancora il ricorrente "sarebbe stata preclusiva del giudizio sulla legittimità del recesso dalle trattative e sul risarcimento, non potendosi discettare di recesso e di responsabilità se il contratto (sia pur preliminare) si è perfezionato".

Il motivo è fondato.

Il giudice del merito, difatti, dopo aver conferito alla lettera di intenti per la quale è oggi processo la natura giuridica di "contratto preliminare vincolante di cessione di futuri diritti" (non rileva, in questa sede, analizzare la conformità a diritto di tale qualificazione, essendosi sul punto formato il giudicato interno per avere lo stesso controricorrente ribadito, al folio 6 del controricorso, che "il titolo per le proprie richieste è il risarcimento extracontrattuale per trattative di malafede"), e dopo avere altrettanto rettamente escluso che l’istanza risarcitoria dellaIFI potesse trovare fondamento nel disposto dell’art. 1443 c.c. (che, come è noto, disciplina l’ipotesi di restituzione, da parte del contraente incapace, in favore della controparte, della prestazione ricevuta entro i limiti in cui questa sia stata rivolta a suo vantaggio), in difetto di apposita domanda aveva poi esteso l’indagine all’accertamento dell’esistenza di un titolo extracontrattuale, così come invocato dalla IFI, che aveva fondato la propria istanza risarcitoria proprio su di una asserita responsabilità extracontrattuale dell’odierno ricorrente "per trattative in malafede". Oggetto della indagine diveniva così, nel ragionamento della corte alto atesina, la "slealtà precontrattuale", da inquadrarsi "nelle generale annullabilità degli atti: ci si lega anche con trattative che creino una legittima aspettativa in controparte, e anche questi sono atti negoziali".

Il dictum del giudice di appello è, in realtà, giuridicamente viziato sotto molteplici aspetti.

Poco comprensibile, appare, innanzitutto, il riferimento alla categoria della "slealtà contrattuale" come fonte diretta di annullabilità degli atti. Le trattative, difatti, di cui erroneamente si predica, tra l’altro, la natura negoziale (attesone, viceversa, il carattere di atti "prenegoziali", comunemente individuato dalla dottrina) non sono destinate "all’annullamento" (perchè, a tacer d’altro, rientrerebbero pur sempre nell’orbita della responsabilità contrattuale), bensì a sfociare, o meno, in una successiva struttura contrattuale. La mancata stipula del contratto cui esse risultano teleologicamente collegate può pertanto, in ipotesi, dar luogo a responsabilità precontrattuale (sulla cui natura molto si è discusso in dottrina e giurisprudenza, se essa debba, cioè, riconnettersi all’istituto della responsabilità contrattuale ovvero extracontrattuale ovvero ancora sia destinata a costituire un vero e proprio tertium genus intermedio), tutte le volte che (e solo se) mai esse non sfocino nell’alveo di una successiva convenzione negoziale, alla cui stipula, per converso, consegue che per ciò solo esse perdono ogni autonomia e ogni giuridica rilevanza, e sotto il profilo risarcitorio convergono, perdendo ogni autonomia, in quella struttura contrattuale che, essa si, essa sola, potrà (in ipotesi) costituire fonte di responsabilità risarcitoria. Di talchè, nella ipotesi in cui la convenzione negoziale così divisa tragga linfa da condizioni diverse da quelle che avrebbero preso corpo se una parte non avesse tenuto un comportamento contrario a buona fede, la fattispecie di responsabilità legittimamente azionabile dal deceptus è (solo) quella contrattuale, e non più quella precontrattuale ex art. 1337 c.c. la cui configurabilità resta preclusa ed assorbita nella intervenuta stipula del contratto.

Nè vale obbiettare che, nella specie, il negozio concluso aveva natura di contratto preliminare, il cui oggetto (tradizionalmente identificato nella prestazione di un futuro consenso) non consentirebbe un autonomo esperimento dell’azione risarcitoria ex contractu, legittimamente riferibile, di converso, alle precedenti trattative intercorse tra le parti. Al di là della inesattezza tout court di tale affermazione, va in questa sede rammentato come la più recente giurisprudenza di legittimità e la più avvertita dottrina si sia indotta a rifiutare (in consonanza con le innegabili evoluzioni economiche e normative dell’istituto) la costruzione del preliminare in termini di puro e nudo pactum de futuro contraendo.

Questa stessa Corte, con una recente sentenza resa a sezioni unite (Cass. 1624/2006), nel negare ogni fondamento alla teoria che esclude la legittimità della prestazione del promittente venditore di un bene altrui concretantesi (anche) nel "procurare" il trasferimento del bene al promissario acquirente direttamente dal terzo proprietario senza necessità di un doppio trapasso, e nel predicare il principio secondo il quale l’identità del venditore è del tutto indifferente per il compratore, poichè "la conclusione del definitivo non assorbe nè esaurisce gli effetti del preliminare, che continua, viceversa, a regolare i rapporti tra le parti, sicchè il promettente venditore resta responsabile per il caso di evizione e per i vizi", approda infine alle sponde di un moderna concezione del preliminare inteso come struttura negoziale destinata già (quantomeno in ipotesi di cd. "preliminare impuro" ovvero "a prestazioni anticipate") a realizzare un assetto di interessi prodromico a quello che sarà compiutamente attuato con il contratto definitivo, sicchè il suo oggetto diviene non solo e non tanto un tacere consistente nel manifestare successivamente una volontà rigidamente predeterminata quanto alle parti e al contenuto, ma anche e soprattutto un (sia pur futuro) dare, consistente nella trasmissione del diritto (dominicale o quant’altro), che costituisce, alfine, il risultato pratico avuto di mira dai contraenti. Così, la stessa mappa genetica del preliminare "impuro" (quale quello di specie, essendo la prestazione a carico della parte promissoria acquirente in gran parte già stata eseguita) ne risulta rimodellata, restandone esclusa la configurabilità in termini di mero pactum de contahendo, sicchè, a più forte ragione, la confluenza tout court, in esso, degli atti di trattativa che lo abbiano preceduto risulta incontestabile.

Ne consegue che, stipulato il contratto preliminare, l’unica azione a disposizione della promissaria acquirente già esecutrice di parte della propria prestazione era quella contrattuale ex art. 1443 c.c. (versandosi in ipotesi di contratto di persona incapace legalmente presunta tale per effetto della sentenza di inabilitazione), e che l’azione extracontrattuale, così come proposta dalla società IFI nella specie, non poteva avere ad oggetto, come pure ribadito in questa sede dal controricorrente, gli atti di trattative condotte in (supposta) malafede dalla controparte. Nè legittimo sarebbe il richiamo al principio della cumulabilità, nel nostro ordinamento, dei due tipi di responsabilità da illecito civile, poichè il principio predetto è legittimamente invocabile quando uno stesso fatto autonomamente generatore di danno integri gli estremi tento dell’inadempimento contrattuale, quanto del torto aquiliano (ciò che accade, ad esempio, nell’ipotesi di lesioni subite dal lavoratore per inosservanza di norme antinfortunistiche), ma non anche nell’ipotesi in cui una attività prenegoziale astrattamente generatrice di danno (le trattative) confluisca fisiologicamente nel negozio cui essa risultava funzionalmente e teleologicamente collegata, risultando, in tal caso, soltanto il negozio stesso la eventuale fonte di responsabilità (contrattuale).

Il secondo e terzo motivo del ricorso, attinenti al profilo della capacità dell’inabilitato e della relativa prova, pur fondati sotto il profilo giuridico, sono assorbiti nell’accoglimento del primo motivo.

Il ricorso è, pertanto, accolto, e il processo rinviato alla Corte di appello di Trento che, nel provvedere anche alle spese del presente giudizio, si atterrà ai principi di diritto suesposti.

P.Q.M.

La Corte accoglie il ricorso per quanto di ragione, cassa e rinvia, anche per le spese del giudizio di cassazione, alla corte di appello di Trento.

Testo non ufficiale. La sola stampa del bollettino ufficiale ha carattere legale.

Lascia un commento

Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato. I campi obbligatori sono contrassegnati *