Cass. civ. Sez. III, Sent., 17-01-2012, n. 545

Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole direttore del sito giuridico http://www.gadit.it/

Svolgimento del processo – Motivi della decisione

1. C.F. impugna per cassazione, sulla base di cinque motivi, la sentenza della Corte di Appello di Lecce, depositata l’8 ottobre 2008, di conferma di quella di primo grado, la quale, come da sentenza penale definitiva della Corte stessa, aveva ritenuto il C. responsabile al 60% del sinistro in lite (in considerazione della manovra repentina effettuata con il ciclomotore da lui condotto) ed il R. (conducente del veicolo che aveva tamponato il ciclomotore) al 40%, liquidando la parte di risarcimento del danno spettante all’odierno ricorrente. Il danneggiante e la compagnia assicuratrice, intimati, non hanno svolto attività difensiva.

2. Il C. formula i seguenti motivi :

2.1. Violazione e falsa oltre che erronea applicazione degli artt. 654 e 651 c.p.p. nonchè omessa e/o insufficiente motivazione su punto controverso decisivo e chiede alla Corte se "poteva la Corte di Appello, come il giudice di primo grado, discostarsi ai principi costantemente affermati dalla consolidata giurisprudenza di legittimità in materia di efficacia extrapenale del giudicato penale, in particolare nei giudizi di danno; e se poteva legittimamente negare la prova testimoniale richiesta dall’attore". 2.2. Violazione e falsa applicazione degli artt. 2043, 1226 e 2056 c.c. – nonchè insufficiente e contraddittoria motivazione – sulla valutazione e quantificazione del danno biologico da invalidità permanente e chiede alla Corte se "per garantire il risarcimento integrale del bene salute, anche costituzionalmente tutelato, i giudici devono tendere ad una valutazione attenta sottoposto al loro esame del soggetto leso e ciò senza automatismi che possono rendere veloci ma ingiuste le decisioni prese divenendo lesive del diritto all’integrale risarcimento del danno nel singolo caso concreto effettivamente subito dal danneggiato". 2.3. Violazione e falsa applicazione degli artt. 2043, 122 6 e 2056 c.c. – nonchè insufficiente e contraddittoria motivazione – sulla valutazione e quantificazione del danno patrimoniale futuro e chiede alla Corte se "in ipotesi di danneggiato che invochi il risarcimento de danno patrimoniale futuro riconducibile ai postumi invalidanti di rilevante entità esitati da fatto illecito altrui il quale sia, al momento dell’evento dannoso, minore, inoccupato e dedito agli studi, debba escludersi ogni risarcimento in assenza della sua prova rigorosa ovvero debba tale danno in ogni caso essere risarcito sulla scorta di presunzioni, in relazione al tipo di studi intrapresi o alle qualifiche lavorative dichiarate o, ancora, in base al livello culturale ed economico della famiglia d’origine potendo ritenersi nell’ordine naturale delle cose che un soggetto ancora in età scolastica produrrà, comunque, in futuro un reddito". 2.4. ulteriore violazione e falsa applicazione degli artt. 2043, 1226 e 2056 c.c. – nonchè insufficiente e contraddittoria motivazione – sul mancato riconoscimento del diritto al risarcimento del danno da c.d. perdita di chance, risarcibile per presunzione pur se sempre sulla base di circostanze di fatto certe ed allegate, come nella specie, a mezzo di prova testimoniale e per tabulas.

2.5. violazione e falsa applicazione delle disposizioni in materia di risarcimento del danno – nonchè insufficiente e contraddittoria motivazione – sul punto della valutazione del danno morale e chiede alla Corte se "sia sufficiente a far ritenere soddisfatto il requisito della liquidazione equitativa del danno morale da parte del giudice civile la mera enunciazione dei criteri asseritamente tenuti presente per l’adeguamento al caso concreto seguita da una sua considerazione in termini quota e/o frazione del danno biologico che, tuttavia, per la misura concretamente liquidata, sia logicamente incompatibile con quella enunciazione medesima". 3.1. I motivi si rivelano tutti inammissibili per mancanza del quesito di diritto in relazione al quarto motivo, per inidoneità di quelli formulati in relazione agli altri motivi e per mancanza dei "momenti di sintesi" previsti in relazione ai vizi motivazionali dedotti in parte di tutti i motivi. Infatti, l’art. 366 bis cod. proc. civ., nel testo applicabile ratione temporis, prevede le modalità di formulazione dei motivi del ricorso in cassazione, disponendo la declaratoria di inammissibilità del ricorso se, in presenza dei motivi previsti dell’art. 360 cod. proc. civ., comma 1, nn. 1, 2, 3 e 4, ciascuna censura deve, all’esito della sua illustrazione, tradursi in un quesito di diritto, la cui enunciazione (e formalità espressiva) va funzionalizzata, come attestato dall’art. 384 cod. proc. civ., all’enunciazione del principio di diritto ovvero a dieta, giurisprudenziali su questioni di diritto di particolare importanza; mentre, ove venga in rilievo il motivo di cui all’art. 360 cod. proc. civ., n. 5 (il cui oggetto riguarda il solo iter argomentativo della decisione impugnata), è richiesta una illustrazione che, pur libera da rigidità formali, si deve concretizzare in una esposizione chiara e sintetica del fatto controverso – in relazione al quale la motivazione si assume omessa o contraddittoria – ovvero delle ragioni per le quali la dedotta insufficienza rende inidonea la motivazione a giustificare la decisione (Cass. n. 4556/09).

3.2. Orbene, nel caso in esame, rispetto a tutti i motivi che deducono in parte vizi motivazionali non è stato adeguatamente formulato il momento di sintesi. che come da questa Corte precisato richiede un quid pluris rispetto alla mera illustrazione del motivo, imponendo un contenuto specifico autonomamente ed immediatamente individuabile (v. Cass., 18/7/2007, n. 16002). L’individuazione dei denunziati vizi di motivazione risulta perciò impropriamente rimessa all’attività esegetica del motivo da parte di questa Corte (Cass. n. 9470(08). Si deve, peraltro, ribadire che è inammissibile, alla stregua della seconda parte dell’art. 366 bis cod. proc. civ., il motivo di ricorso per cassazione con cui, ai sensi dell’art. 360 cod. proc. civ., n. 5, la parte si limiti a censurare l’apoditticità e carenza di motivazione della sentenza impugnata, in riferimento alla valutazione d’inadeguatezza delle prove da parte del giudice del merito, in quanto la norma processuale impone la precisazione delle ragioni che rendono la motivazione inidonea a giustificare la decisione mediante lo specifico riferimento ai fatti rilevanti, alla documentazione prodotta, alla sua provenienza e all’incidenza rispetto alla decisione (Cass. n. 4589/09).

3.3. Invece, rispetto al quarto motivo manca non solo il momento di sintesi, ma anche il quesito di diritto relativo alla dedotta violazione delle norme in tema di risarcimento del danno; inoltre rispetto alle violazioni di legge dedotte negli altri quattro motivi, non è stato idoneamente formulato il quesito di diritto.

3.4. I quesiti, come noto, non possono consistere in una domanda che si risolva in una mera richiesta di accoglimento del motivo o nell’interpello della Corte in ordine alla fondatezza della censura cosi come illustrata, ma deve costituire la chiave di lettura delle ragioni illustrate nel motivo e porre la Corte di cassazione in condizione di rispondere al quesito con l’enunciazione di una regula iuris (principio di diritto) che sia suscettibile di ricevere applicazione in casi ulteriori rispetto a quello sottoposto all’esame del giudice che ha pronunciato la sentenza impugnata. A titolo indicativo, si può delineare uno schema secondo il quale sinteticamente si domanda alla corte se, in una fattispecie quale quella contestualmente e sommariamente descritta nel quesito (fatto), si applichi la regola di diritto auspicata dal ricorrente in luogo di quella diversa adottata nella sentenza impugnata (Cass. S.U., ord. n 2658/08). E ciò quand1anche le ragioni dell’errore e della soluzione che si assume corretta siano invece – come prescritto dall’art. 366 c.p.c., n. 4. adeguatamente indicate nell’illustrazione del motivo, non potendo la norma di cui all’art. 366 bis c.p.c. interpretarsi nel senso che il quesito di diritto possa desumersi implicitamente dalla formulazione del motivo, poichè una siffatta interpretazione si risolverebbe nell’abrogazione tacita della norma in questione (Cass. 20 giugno 2008 n. 16941). Una formulazione del quesito di diritto idonea alla sua funzione richiede, pertanto, che, con riferimento ad ogni punto della sentenza investito da motivo di ricorso la parte, dopo avere del medesimo riassunto gli aspetti di fatto rilevanti ed averne indicato il modo in cui il giudice lo ha deciso, esprima la diversa regola di diritto sulla cui base il punto controverso andrebbe viceversa risolto, formulato in modo tale da circoscrivere la pronunzia nei limiti del relativo accoglimento o rigetto (v. Cass., 17/7/2008 n. 19769; 26/3/2007, n. 7258). Occorre, insomma che la Corte, leggendo il solo quesito, possa comprendere l’errore di diritto che si assume compiuto dal giudice nel caso concreto e quale, secondo il ricorrente, sarebbe stata la regola da applicare.

3.5. Non si rivelano, pertanto, idonei i quesiti in questione: quelli formulati alla fine del secondo e del quinto motivo, dato che non contengono alcun riferimento in fatto (nè l’oggetto della questione controversa, nè la sintesi degli sviluppi della controversia sullo stesso), nè espongono chiaramente le regole di diritto che si assumono erroneamente applicate – come avviene anche nel primo e nel terzo quesito – e, quanto a quelle di cui s’invoca l’applicazione, in ciascuno di detti quesiti, si è in presenza di enunciazioni di carattere generale ed astratto che, in quanto prive di qualunque indicazione sul tipo della controversia e sulla sua riconducibilità alla fattispecie in esame, non consentono di dare risposte utili a definire la causa (Cass. S.U. 11.3.2008 n. 6420). Del resto, il quesito di diritto non può risolversi – come nell’ipotesi – in una tautologia o in un interrogativo circolare, che già presuppone la risposta, ovvero in cui la risposta non consente di risolvere il caso sub iudice (Cass. S.U. 2/12/2008 n. 28536).

4. Ne deriva l’inammissibilità del ricorso. Nulla per le spese del presente giudizio, non avendo l’intimato svolto attività difensiva.

P.Q.M.

Dichiara inammissibile il ricorso.

Testo non ufficiale. La sola stampa del bollettino ufficiale ha carattere legale.

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