Cass. civ., sez. III 14-07-2006, n. 16123 RISARCIMENTO DEL DANNO – CONDANNA GENERICA -RESPONSABILITÀ CIVILE – PROFESSIONISTI – Accertamento di potenziale idoneità del fatto a produrre conseguenze pregiudizievoli

Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole direttore del sito giuridico http://www.gadit.it/

Svolgimento del processo

Con sentenza non definitiva in data 1 aprile – 7 maggio 1998 il Tribunale di Pordenone, pronunciando sulla domanda proposta da F. V. e P. P., in proprio e quali esercenti la potestà di genitori sulle figlie minori F. e F., tra l’altro, accertava la solidale responsabilità extracontrattuale della USL n. 12 del Livenza e di F. M., aiuto primario del Reparto di Ostetricia e Ginecologia dell’Ospedale Civile di Sacile, nei confronti della V. e del P. e la concorrente responsabilità contrattuale della USL n. 12; stabiliva che la RAS era tenuta a manlevare quest?ultima nei limiti della quota assicurata, pari al 75% del massimale e che l’Assitalia era tenuta a manlevare il M. sino alla concorrenza del massimale assicurato; respingeva la domanda di manleva svolta dal M. nei confronti della RAS e le domande di V. e P. quali esercenti la potestà sulle figlie minori.

Con sentenza in data 30 marzo – 18 aprile 2001, la Corte di Appello di Trieste respingeva tutti gli appelli e, quindi, confermava in toto la sentenza del Tribunale, con integrale compensazione delle spese del grado.

La Corte territoriale osservava per quanto interessa: il Tribunale aveva proceduto alla difficile ricostruzione di una domanda prospettata in termini oscuri e ambigui in ordine sia al petitum, sia alla causa petendi, ritenendo, in esito ad una interpretazione faticosa ma esatta, che fossero state azionate cumulativamente tanto la responsabilità contrattuale, quanto quella extracontrattuale; quindi aveva accertato la responsabilità extracontrattuale del M. per la mancata informazione, nella quale concorreva la USL per il rapporto di servizio che legava i due soggetti, e la responsabilità contrattuale della USL per effetto dell’articolo 1228 Cc, mentre aveva escluso la ravvisabilità della responsabilità contrattuale del medico dipendente, mancando la prova che costui avesse svolto prestazioni ambulatoriali a pagamento; la esecuzione di una serie di attività (visite ginecologiche, esami ecografici, parto) in ambito ospedaliero provavano l’avvenuta stipulazione per facta concludentia del contratto tra la V. e la struttura pubblica sanitaria; il M. aveva omesso di informare la paziente delle malformazioni del feto rilevate in sede di esame ecografico e di indicare le malformazioni sulla relativa scheda o cartella; non risultavano invece provati gli ulteriori comportamenti censurabili che gli attori imputavano al sanitario; la domanda di quantificazione del danno era inammissibile, stante il rinvio contenuto nella sentenza impugnata al prosieguo della causa; le figlie minori non rivestivano la qualità di danneggiate, la nata malformata poiché non era ancora nata -quindi non poteva essere ritenuta soggetto danneggiato – al momento in cui erano stati tenuti i comportamenti illeciti addebitati al M., l’altra non essendo stato neppure specificato quale comportamento del M. l’avrebbe danneggiata e quali danni avesse in concreto subito; i massimali assicurati non dovevano essere rivalutati non essendo ciò giuridicamente configurabile e non essendosi verificato alcun ritardo colposo da parte delle compagnie assicuratrici; mancava la prova di un contratto del M. con la RAS; i comportamenti del medico erano riferibili alla USL in quanto la sua condotta, nella fattispecie concreta, era sicuramente coerente con le finalità istituzionali della struttura sanitaria e il relativo vincolo non era stato spezzato neppure dalla commissione di un reato essendo il fatto addebitato solo un abuso commesso nell’ambito dell’attribuzione dell’ente e delle competenze del dipendente e non per finalità personali egoistiche.

Avverso la suddetta sentenza la Víllanucci e il P., in proprio e nella qualità, hanno proposto ricorso per cassazione affidato a tre motivi.

Hanno proposto separati ricorsi incidentali, ciascuno articolato in due motivi, la RAS, il M. e la Azienda per i Servizi Sanitari n. 6 Friuli Occidentale già USL n. 12 del Lívenza.

I ricorrenti principali, il M. e la Asl hanno depositato memorie.

Motivi della decisione

Preliminarmente occorre disporre la riunione dei quattro ricorso, come previsto dall’articolo 335 c.p.c..

Con il primo motivo i ricorrenti principali denunciano violazione degli articoli 5 Legge Regione Friuli Venezia Giulia 25/1985, legge 833/78 e 39 del Codice Deontologico, nonché vizio di motivazione.

Le norme citate affermano rispettivamente il diritto individuale dell’utente all’informazione in termini comprensibili, la finalità in capo al Servizio Sanitario Nazionale dell’educazione sanitaria che logicamente presuppone l’informazione, il dovere del medico di dare completa informazione al paziente in conformità alla sua volontà. Per queste ragioni l’informazione costituisce una imprescindibile integrazione della prestazione sanitaria.

La censura, seppur basata su argomentazioni totalmente condivisibili è inammissibile per manifesta carenza di interesse, in quanto la Corte territoriale ha addebitato al M. proprio le omesse informazioni in ordine alle malformazioni riscontrate nella nascitura.

La V. e il Pìgnat sostengono che la mancata informazione ha loro impedito sia di ricorrere alla interruzione della gravidanza o di recarsi in un paese estero avente un regime giuridico meno rigoroso di quello italiano, sia di avere un approccio meno brutale con la realtà.

Ma queste argomentazioni non dimostrano l’erroneità della sentenza impugnata, poiché essa ha evidenziato appunto sia un illecito contrattuale di natura professionale (la mancanza di informazione), sia un illecito professionale di natura extracontrattuale (la lesione del diritto assoluto all’informazione), in relazione ai quali ha confermato la condanna generica al risarcimento del danno inflitta dal Tribunale.

d’altra parte è noto (Cassazione 2793/99) che il risarcimento del danno per il mancato esercizio del diritto all’interruzione della gravidanza non consegue automaticamente all’inadempimento dell’obbligo dì esatta informazione che il sanitario era tenuto ad adempiere in ordine alle possibili anomalie o malformazioni del nascituro, ma necessita anche della prova della sussistenza delle condizioni previste dagli articoli 6 e 7 della legge 194/78 per ricorrere all’interruzione di gravidanza.

I ricorrenti lamentano anche il mancato invito alla donna a sottoporsi ad ecografia alla ventesima settimana, oltre alle altre praticate alla prima, alla quattordicesima, alla trentesima e alla trentasettesima.

La contestazione implica imprescindibili valutazioni di merito non consentite in sede di legittimità e sulle quali si è pronunciata la Corte d’Appello.

d’altra parte gli elementi testuali ricavabili dalla sentenza impugnata e dal ricorso non consentono di stabilire se l’esecuzione della ecografia di cui si lamenta l’omissione avrebbe fornito elementi più significativi e tempestivi rispetto a quelli risultanti delle ecografie praticate, che gli stessi ricorrenti riconoscono essere state in numero superiore al consueto.

Quanto, poi, alle modalità, tecnica e qualità degli accertamenti strumentali eseguiti, è agevole rilevare che si tratta di temi preclusi in questa sede, così come i riferimenti alla consulenza tecnica medico – legale.

Considerazioni dei tutto analoghe valgono per la villocentesi, che la sentenza impugnata afferma essere stata effettuata per volontà della V., avendola costei prenotata prima di sottoporsi alla visita ginecologíca effettuata dal M. (anche questa circostanza viene contestata ma trattasi di questione di fatto non diversamente ricostruibile in questa sede) e che la pericolosità di tale pratica all’epoca non era ancora nota.

In altri termini, i limiti istituzionali del giudizio di legittimità non consentono di apprezzare quella "condotta negligente e omissiva" che i ricorrenti addebitano al M. e che la Corte territoriale ha negato in base all’apprezzamento motivato delle risultanze processuali. In conseguenza di ciò nessuna responsabilità è stata attribuita dai due giudici di merito – e certamente non può esserlo dalla Corte dì Cassazione -al sanitario e all’ente ospedaliero in ordine alle cause che hanno determinato le malformazioni all’origine della controversia.

Il primo motivo risulta, dunque, infondato.

Con il secondo motivo i ricorrenti principali denunciano violazione degli articoli 2059 – 2056 – 2043 Cc, 1223 Cc e 32 Costituzione, nonché vizio di motivazione.

La censura concerne il rigetto della domanda di risarcimento a favore delle due minori, che la Corte d’Appello non ha ritenute soggetti danneggiati. Quanto a F., che è appunto la minore affetta dalle gravissime malformazioni, all’epoca dei comportamenti illeciti attribuiti al M. soltanto concepita, i ricorrenti pongono in evidenza che l’evoluzione giurisprudenziale è nel senso di riconoscere, in presenza di lesioni gravi del nascituro, la tutela dell’individuo sin dal momento del concepimento.

Quanto alla sorella maggiore F., assumono che, nella sua qualità di congiunta, ha subito un pregiudizio che investe molteplici versanti.

Il tema concernente la prima minore viene proposto facendo leva su una nota sentenza di questa stessa sezione che, tuttavia, non è pertinente in quanto risolve la ben diversa fattispecie in cui le lesioni riportate dal nascituro erano direttamente imputabili a comportamento colposo dei sanitari, situazione da escludere nella specie in virtù delle considerazioni vedute con riferimento al primo motivo.

Invece il tema particolare proposto dal caso concreto si sostanzia nello stabilire se la violazione del dovere di informazione cui il sanitario era tenuto e la conseguente mancata interruzione della gravidanza possano dar luogo al risarcimento del danno subito dal nascituro.

Questa stessa sezione si è già occupata della questione (Cassazione Sezione terza, 14488/04) stabilendo che l’ordinamento positivo tutela il concepito e l’evoluzione della gravidanza esclusivamente verso la nascita, e non anche verso la "non nascita", essendo pertanto (al più) configurabile un "diritto a nascere" e a "nascere sani", suscettibile di essere inteso esclusivamente nella sua positiva accezione: sotto il profilo privatistico della responsabilità contrattuale o extracontrattuale o da "contatto sociale", nel senso che nessuno può procurare al nascituro lesioni o malattie (con comportamento omissivo o commissivo colposo o doloso); sotto il profilo – latamente – pubblicistico, nel senso che debbono venire ad essere predisposti tutti gli istituti normativi e tutte le strutture di tutela cura e assistenza della maternità idonei a garantire (nell’ambito delle umane possibilità) al concepito di nascere sano. Non è invece in capo a quest?ultimo configurabile un "diritto a non nascere" o a "non nascere se non sano", come si desume dal combinato disposto di cui agli articoli 4 e 6 della legge 194/78, in base al quale si evince che: a) l’interruzione volontaria della gravidanza è finalizzata solo ad evitare un pericolo per la salute della gestante, serio (entro i primi 90 giorni di gravidanza) o grave (successivamente a tale termine) ; b) trattasi di un diritto il cui esercizio compete esclusivamente alla madre; e) le eventuali malformazioni o anomalie del feto rilevano esclusivamente nella misura in cui possano cagionare un danno alla salute della gestante, e non già in sé e per sé considerate (con riferimento cioè al nascituro) . E come emerge ulteriormente: a) dalla considerazione che il diritto di "non nascere" sarebbe un diritto adespota (in quanto ai sensi dell’articolo 1 Cc la capacità giuridica si acquista solamente al momento della nascita e i diritti che la legge riconosce a favore del concepito – articoli 462, 687, 715 Cc – sono subordinati all’evento della nascita, ma appunto esistenti dopo la nascita sicché il cosiddetto diritto di "non nascere" non avrebbe alcun titolare appunto fino al momento della nascita, in costanza della quale proprio esso risulterebbe peraltro non esistere più; b) dalla circostanza che ipotizzare un diritto dei concepito a "non nascere" significherebbe configurare una posizione giuridica con titolare solamente (e in via postuma) in caso di sua violazione, in difetto della quale (per cui non si fa nascere il malformato per rispettare il suo "diritto di non nascere") essa risulterebbe pertanto sempre priva di titolare, rimanendone conseguentemente l’esercizio definitivamente precluso. Ne consegue che è pertanto da escludersi la configurabilità e l’ammissibilità nell’ordinamento del c.d. aborto "eugenetico", prescindente dal pericolo derivante dalle malformazioni fetali alla salute della madre, atteso che l’interruzione della gravidanza al di fuori delle ipotesi di cui agli articoli 4 e 6 legge 194/78 (accertate nei termini di cui agli articoli 5 ed 8), oltre a risultare in ogni caso in contrasto con i principi di solidarietà di cui all’articolo 2 Costituzione e di indisponibilità del proprio corpo ex articolo 5 Cc, costituisce reato anche a carico della stessa gestante (articolo 19 legge 194/78), essendo per converso il diritto del concepito a nascere, pur se con malformazioni o patologie, ad essere propriamente – anche mediante sanzioni penali – tutelato dall’ordinamento. Ne consegue ulteriormente che, verificatasi la nascita, non può dal minore essere fatto valere come proprio danno da inadempimento contrattuale l’essere egli affetto da malformazioni congenite per non essere stata la madre, per difetto d’informazione, messa nella condizione di tutelare il di lei diritto alla salute facendo ricorso all’aborto ovvero di altrimenti avvalersi della peculiare e tipicizzata forma di scriminante dello stato di necessità (assimilabile, quanto alla sua natura, a quella prevista dall’articolo 54 Cp) prevista dall’articolo 4 legge 194/78, risultando in tale ipotesi comunque esattamente assolto il dovere di protezione in favore dì esso minore, così come configurabile e tutelato (in termini prevalenti rispetto – anche – ad eventuali contrarie clausole contrattuali: articolo 1419, secondo comma, Cc) alla stregua della vigente disciplina.

Ne consegue che la tutela dell’individuo che, con la nascita acquista la personalità giuridica nella fase prenatale è limitata alle lesioni imputabili ai comportamenti colposi dei sanitari, ma non si estende alle situazioni diverse come quella di specie, ove a carico del M. la Corte di merito ha accertato non errori diagnostici e/o terapeutici, ma la mancata informazione a i genitori e indicazione nella cartella clinica di malformazioni a lui non imputabili.

Ne consegue che correttamente essa ha escluso l’esistenza di un danno risarcibile a favore di F. e anche della sorella F., in quanto non destinataria del diritto all’informazione, soltanto la cui omissione è stata imputata al M. e, quindi, alla USL.

La Corte si rende conto che la decisione adottata comporta un vulnus ai diritti delle due minori, ma ritiene che la soluzione positiva di casi come quello di specie non possa essere ricercata nella elaborazione giurisprudenziale ove manchi il supporto indispensabile di una normativa che la consenta.

Con il terzo motivo i ricorrenti principali lamentano violazione dell’articolo 91 c.p.c. in tema di compensazione delle spese giudiziali.

La censura presuppone l’accoglimento delle tesi esposte nei precedenti motivi e, quindi, rimane travolta dal rigetto di esse.

In definitiva il ricorso principale va rigettato.

Con il primo motivo del proprio ricorso incidentale la RAS lamenta violazione dell’articolo 112 c.p.c. e vizio di motivazione assumendo che la domanda dei coniugi P. è stata accolta per ragioni del tutto diverse da quelle prospettate, in quanto al M. era stata imputata una condotta negligente, imprudente e imperita, ma non la mancata informazione circa la malformazione.

La censura risulta infondata poiché (Cassazione 11639/02) l’interpretazione della domanda spetta al giudice del merito, per cui, ove questi abbia espressamente ritenuto che una certa domanda era stata avanzata – ed era compresa nel "thema decidendum", tale statuizione, ancorché erronea non può essere direttamente censurata per ultrapetizione, atteso che, avendo comunque il giudice svolto una motivazione sul punto, dimostrando come una certa questione debba ritenersi ricompressa tra quelle da decidere, il difetto di ultrapetizione non è logicamente verificabile prima di avere accertato che quella medesima motivazione sia erronea; la sentenza non può pertanto essere annullata per ultrapetizione se preliminarmente non si annulli quella parte di essa in cui si sono spiegate le ragioni che hanno indotto alla trattazione della questione. In tal caso, l’errore del giudice non si configura come "error in procedendo", ma attiene esclusivamente al momento logico relativo all’accertamento in concreto della volontà della parte, e non a quello inerente a principi processuali, pertanto detto errore può concretizzare solo una carenza nella interpretazione di un atto processuale, ossia un vizio sindacabile in sede di legittimità unicamente sotto il profilo del vizio di motivazione di cui all’articolo 350 n. 5 c.p.c., giacché la ricostruzione del contenuto di tali atti è compito istituzionale del giudice del merito.

La Corte d’Appello, con apprezzamento di merito insindacabile in quanto sufficientemente e razionalmente motivato, ha spiegato di condividere l’interpretazione che della oscura e confusa domanda il Tribunale aveva accreditato e di ritenere compresa nella domanda la prospettazione della responsabilità extracontrattuale del Maìoni per omessa informazione.

In effetti gli attori avevano prospettato nell’atto di citazione e negli atti ulteriori una serie di questioni tra cui l’omessa informazione a partire dalla trentesima settimana, anche se essa non costituiva l’argomento centrale della loro domanda e da essa hanno tratto spunto i giudici dì merito, che invece hanno escluso i denunciati comportamenti negligenti nella esecuzione dei controlli.

Con il secondo motivo la RAS censura la motivazione della sentenza impugnata con riferimento alla sussistenza del reato dì cui all’articolo 328 Cp e di una condotta dolosa del medico.

Entrambi i giudici di merito hanno ritenuto colpevole il deficit informativo del Maìoni e hanno legittimamente valutato al riguardo anche l’esito del giudizio penale (le pagg. 25 e 26 della sentenza impugnata trattano proprio la questione).

Il relativo accertamento fa leva su apprezzamenti di fatto e su considerazioni di merito razionalmente esposte, cui la ricorrente contrappone altre di segno opposto e basate su circostanze (l’esperienza maturata dal M. in un precedente caso analogo) che non possono essere addotte in sede di legittimità.

In definitiva, il ricorso incidentale della RAS è privo di pregio e va rigettato.

Il ricorrente incidentale M. con il primo motivo denuncia violazione degli articoli 112 c.p.c. e 2697 Cc e vizio di motivazione con riferimento alle prospettazioni contenute nella domanda introduttiva del giudizio di primo grado.

La censura è infondata per le ragioni già addotte in riferimento all’analoga doglianza espressa dalla RAS. Giova aggiungere che lo stesso ricorrente ammette che uno dei presupposti della domanda era costituito dal riferimento all’articolo 328 Cp e che la Corte d’Appello ha spiegato che essa era stata proposta in termini talmente ampi da includervi tutte la possibili conseguenze e tutti i possibili danni provocati dai comportamenti censurati, inclusi quelli derivati dalla mancata informazione.

E? opportuno rilevare ancora, per ragioni di completezza, che non è contraddittorio stigmatizzare l’oscurità e ambiguità della domanda e poi, una volta completata l’opera di interpretazione, affermarne l’ampiezza dei contenuti.

Con il secondo motivo il M. lamenta violazione degli articoli 328,47,54 e 55 Cp, 2045 e 2059 Cp, nonché vizio di motivazione, in quanto la Corte territoriale non si è pronunciata sulle proprie censure (assume che ha esaminato solo gli appelli incidentali della RAS e della USL) non affrontando il tema della sussistenza del reato dì cui all’articolo 328 Cp, non considerando che l’esistenza della malformazione alla 30° settimana avrebbe riguardato una situazione clinica già definita, non reversibile né emendabile, cosi come non ha considerato un caso precedente e la possibilità che il sanitario avesse errato nel ritenere non dovuta l’informazione o che sussistesse l’esimente di cui all’articolo 54 Cp; infine, assume che non si era pronunciata sulla censura relativa alla posizione del P., che egli aveva contestato essere destinatario del dovere di informazione.

Premesso che dal testo della sentenza impugnata si evince che l’appello del M. non è stato pretermesso, osserva la Corte che, a prescindere dal rilievo che il ricorrente non ha ottemperato al principio di autosufficienza del ricorso, omettendo di indicare le specifíche argomentazioni sottoposte all’esame della Corte territoriale, è determinante il rilievo che le questioni concernenti la sussistenza delI?ipotesi delittuosa configurata dall’articolo 328 Cp e l’applicabilità dell’articolo 47 Cp (la stessa prospettazione del ricorrente sembra riferibile più ad un errore di diritto che di fatto, risultando il dovere di informazione da una normativa specifica) e dell’articolo 54 Cp risultano superate dalla sentenza penale di questa stessa Corte, cui la sentenza impugnata fa esplicito riferimento condividendone e recependone le conclusioni.

Per il resto la stessa Corte territoriale ha osservato che gli attori non hanno mosso alcun addebito al M. sotto il profilo della mancata possibilità dì scelta di una eventuale interruzione della gravidanza come conseguenza della mancata o ritardata informazione.

Quanto alla sussistenza del danno e della estensione del medesimo al P. occorre rilevare (Cassazione, Sezione terza, 9709/03) che la pronuncia di condanna generica al risarcimento del danno per fatto illecito, emessa ex articolo 278 c.p.c., integra un accertamento di potenziale idoneità lesiva di quel fatto, e non anche l’accertamento del fatto effettivo, la cui prova è riservata alla successiva fase di liquidazione. Tale accertamento di lesività potenziale prescinde dalla misura e anche dalla stessa concreta esistenza del danno, con la conseguenza che il giudicato formatosi su detta pronuncia non osta a che nel giudizio instaurato per la liquidazione venga negato il fondamento concreto della domanda risarcitoria, previo accertamento del fatto che il danno non si sia in concreto verificato.

La sentenza impugnata ha fondato la propria statuizione sulla diminuzione del trauma psico-fisico che i genitori avrebbero comunque subito in virtù di una preparazione adeguata all’evento, ove l’informazione fosse stata tempestiva.

Spetterà alla sentenza definitiva stabilire se in concreto tale danno vi sia stato, chi lo abbia subito e quale ne sia stata l’entità.

Tuttavia occorre rilevare sul piano generale che la posizione "contrattuale" anche del padre è stata ormai condivisibilmente affermata dalla sentenza 20320/05 di questa Corte.

Pertanto anche il ricorso incidentale del M. risulta infondato.

Con il primo motivo del ricorso incidentale l’Azienda per i Servizi Sanitari propone il tema della violazione degli articoli 2697, 1218, 2043 e seguenti del Cc e vizio di motivazione della sentenza impugnata assumendo che manca la prova dell’esistenza di un rapporto contrattuale tra la V. e la Usl 12 e che, in ogni caso, non è configurabile alcun rapporto contrattuale con il P..

La prima argomentazione è infondata poiché la Corte territoriale è pervenuta all’affermazione contestata facendo leva su una serie di indizi (le visite ginecologiche si sono svolte in ambito ospedaliero, gli esami ecografici sono stati eseguiti negli ambulatori dell’ospedale, il parto è avvenuto in ospedale) che ha ritenuto gravi, precisi e concordanti e confortati dalle nozioni di comune esperienza dell’id quod plerumque accidit.

Al riguardo si tratta di un accertamento di fatto che – stante la congruità e razionalità della motivazione – sfugge al sindacato della Corte regolatrice.

Non costituisce violazione dell’articolo 2697 Cc, ma corretta applicazione della ripartizione dell’onere probatorio, la considerazione della sentenza che, ritenuto provato in base a quanto sopra sintetizzato il contratto stipulato per facta concludentia tra la V. e la struttura pubblica, gravava sulla USL dimostrare che il sanitario aveva svolto la propria attività nell’ambito dì visite ambulatoriali a pagamento che poteva compiere nell’ambito della sua attività di libero professionista.

Non vi è dubbio che l’effettuazione delle visite in ambiente ospedaliero, coordinata con gli ulteriori elementi fattuali valorizzati dalla Corte d’Appello, determini la riconducibilità dell’attività del sanitario alla USL, sulla quale gravava, dunque, l’onere di dimostrare il contrario.

d’altra parte appare condivisibile anche l’ulteriore affermazione del giudice di merito circa il mezzo attraverso il quale (le proprie registrazioni) la USL avrebbe potuto agevolmente dimostrare il proprio assunto, laddove non è dato vedere di quale altro strumento probatorio, oltre le evidenziate presunzioni, disponesse la V. per dimostrare il rapporto con la USL.

Ugualmente priva di pregio è la seconda argomentazione sottoposta all’esame della Corte, la cui infondatezza deriva sia dalla estensione soggettiva del rapporto contrattuale affermata dalla giurisprudenza appena sopra citata (Cassazione 20320/05), sia dai principi che disciplinano il ricorso per cassazione.

l’Azienda per i Servizi Sanitari ha sostanzialmente prospettato una violazione di legge in tema di definizione dei limiti soggettivi di un contratto, ma ha omesso di dimostrare di averla già sollevata nel giudizio di appello.

Poiché dal testo della sentenza emessa in quel grado si evince il contrario, in ottemperanza al principio dell’autosufficienza del ricorso per cassazione era onere della ricorrente dimostrare – riproducendo testualmente il relativo motivo di appello – di averne specificamente investito la Corte territoriale.

Con il secondo motivo la ricorrente incidentale prospetta violazione degli articoli 28 Costituzione, 2043 e seguenti e 2949 Cc nonché vizio di motivazione circa la riferibilità alla USL del comportamento del dipendente.

La censura è esposta in termini che la rendono inammissibile prima che infondata.

Inammissibile poiché la ricorrente incidentale non prende in esame le argomentazioni addotte dalla sentenza impugnata, ma si limita a riproporre la propria tesi facendo leva su massime ?tratte da pronunce di questa Corte che non attengono al tema specifico trattato dalla Corte territoriale.

Infondata poiché è ormai jus receptum (Cassazione n. 1798 del 2006) la riferibilità del contratto all’ente ospedaliero anche in mancanza di un formale rapporto di lavoro con il sanitario essendo sufficiente la prestazione d’opera come ausiliario necessario, cioè un mero rapporto di occasionalità necessaria.

Pertanto anche questo ricorso incidentale deve essere rigettato.

La natura della causa, le tesi rispettivamente sostenute dalle parti, il loro esito consigliano la compensazione integrale delle spese del giudizio di cassazione.

P.Q.M.

Riunisce i ricorsi e li rigetta. Compensa totalmente le spese del giudizio di cassazione.

Testo non ufficiale. La sola stampa del bollettino ufficiale ha carattere legale.

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