Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole direttore del sito giuridico http://www.gadit.it/
Svolgimento del processo
Con citazione ritualmente notificata, M.P. conveniva M.G., M.M. e L.C. innanzi al Tribunale di Roma per sentire accertare che le azioni di Impreme, formalmente intestate a M.G., erano state dallo stesso fiduciariamente possedute per conto di esso istante e, conseguentemente, sentirlo condannare alla restituzione delle stesse (eventualmente fatta eccezione per quelle derivanti dall’aumento di capitale sociale della Impreme deliberato in data 25.10.77) oppure accertare che le azioni in questione erano state donate da esso M.P. ma con donazione affetta da nullità, oppure ancora accertare la grave ingratitudine di cui si era reso responsabile M.G.; in ogni caso accertare il complessivo disegno illecito, compiuto dai tre convenuti in danno di esso istante. Inoltre chiedeva il risarcimento dei danni per la diffamazione posta in essere mediante due interviste rilasciate da M.G. a (OMISSIS) (in cui si affermava che " G.A., a uno come mio fratello P., gli fa un baffo purtroppo….mio fratello si vantava sempre di controllare tutti, politici, giudici e giornalisti…sono sicuro che a Impreme si possono ancora trovare tracce di certe operazioni….
P. mi ha depredato sistematicamente di tutto…. quanto? centinaia di miliardi…. lui si sente un Dio, ma un Dio cattivo" e che, il fratello era "traditore che ha depredato".
Chiedeva pertanto il risarcimento di L. 350 miliardi o anche in diversa misura da stabilirsi equitativamente.
I convenuti si costituivano in giudizio chiedendo, in via riconvenzionale, a seguito della denuncia presentata da M. P. nei loro confronti, ritenuta calunniosa e diffamatoria, la condanna dello stesso al risarcimento dei danni da liquidarsi in L. 50 miliardi per ciascuno, oltre i L. 10 miliardi ciascuno ex art. 12 legge sulla stampa.
Il Tribunale di Roma, con sentenza depositata in data 15.1.2003, accoglieva esclusivamente la domanda relativa al risarcimento del danno per diffamazione a mezzo stampa proposta da M.P. nei confronti dei tre convenuti, liquidando il danno nella misura di Euro 3 milioni, rigettando ogni altra domanda, inclusa la domanda riconvenzionale dei convenuti.
A seguito dell’appello di M.G., M.M. e L.C., costituitosi l’appellato, la Corte d’Appello di Roma, con la decisione in esame depositata in data 15.1.2007, in parziale accoglimento dell’impugnazione, così decideva: "dichiara il difetto di legittimazione passiva di M.M. e L. C., con riferimento all’azione risarcitoria per diffamazione a mezzo stampa intrapresa da M.P. nei loro confronti;
condanna M.G. a corrispondere a M.P., a titolo di risarcimento del danno morale da questi subito, conseguente alla diffamazione a mezzo stampa, la somma di Euro 70.000,00, ai valori attuali, comprensiva del danno da lucro cessante per la mancata tempestiva disponibilità del denaro; condanna, altresì, M.G. a corrispondere a M.P. la somma di Euro 15.000,00, quale sanzione pecuniaria di cui alla L. 8 febbraio 1948, n. 4, art. 12, conseguente alla riconosciuta sussistenza del reato di diffamazione; rigetta l’appello incidentale condizionato proposto da M.P., volto a ottenere anche il risarcimento del danno patrimoniale conseguente alla diffamazione, non riconosciuto dal primo giudice; rigetta l’appello proposto da L. avverso la parte della sentenza di primo grado che respinto la domanda riconvenzionale risarcitoria dallo stesso formulata;
dichiara, per il resto, cessata la materia del contendere tra M.P., M.G. e M.M.".
La Corte di merito, dopo aver premesso che "a seguito della transazione intervenuta tra le parti, l’oggetto del presente giudizio si riduce esclusivamente all’impugnativa della parte della sentenza di primo grado che li ha condannati al risarcimento dei danni morali conseguenti alla diffamazione a mezzo stampa", affermava che fondata era l’eccezione di carenza di legittimazione passiva di M. M. e L.C. in quanto l’intervista era stata rilasciata esclusivamente da M.G. e nessuna compartecipazione in proposito era ascrivibile a M.M. e a L..
Ricorrono per cassazione, in via principale, M.P. con tre motivi e, in via incidentale, M.G. con due motivi e L.C. con un unico motivo.
Motivi della decisione
Ricorso principale:
con il primo motivo si deduce violazione delle norme in tema di legittimazione passiva e di responsabilità solidale per illecito civile nonchè difetto di motivazione; si censura la decisione in esame là dove "ritenuto infondato il primo motivo di appello di M.G., M.M. e L.C., nella parte in cui gli appellanti hanno contestato che le frasi riportate negli articoli pubblicati su (OMISSIS) avessero contenuto denigratorio e fossero attribuibili all’intervistato M.G. piuttosto che, come da essi sostenuto, ad una elaborazione giornalistica compiuta dall’autore dell’articolo";
con il secondo motivo si deduce violazione degli artt. 1226, 2043 e 2059 c.c., e difetto di motivazione in ordine alla riduzione della somma liquidata in primo grado; con il terzo motivo si deduce difetto di motivazione in relazione al rigetto dell’appello incidentale condizionato propostola esso ricorrente.
Ricorso incidentale M.G.:
con il primo motivo si deduce violazione degli artt. 1226, 2043 e 2059 c.c., in riferimento alla ritenuta sussistenza della diffamazione a mezzo stampa in questione; con il secondo motivo si deduce violazione dell’art. 75 c.p.c. in quanto l’azione civile esercitata con l’atto introduttivo del presente giudizio avrebbe dovuto essere dichiarata estinta, per essere stata trasferita in sede penale, trattandosi della stessa condotta posta in essere dall’odierno ricorrente incidentale.
Ricorso incidentale di L.:
con l’unico motivo si deduce violazione degli artt. 2043 e 2059 c.c. e difetto di motivazione in merito al contenuto dell’esposto a firma di M.P..
Preliminarmente si da atto della avvenuta riunione dei ricorsi ai sensi dell’art. 335 c.p.c..
Tutti i ricorsi non sono meritevoli di accoglimento.
Quanto al ricorso principale di M.P. si rileva:
inammissibile è il primo motivo riguardando la dedotta violazione delle norme in tema di legittimazione passiva, accertamenti in fatto, compiutamente svolti dalla Corte di merito (e non più riesaminabili nella presente sede di legittimità) sulla base delle risultanze relative all’intervista in questione ed alla sua portata diffamatoria.
Sul punto la Corte di merito ha sufficientemente e logicamente motivato, affermando che "nel caso di specie, infatti, la condotta lesiva della reputazione di M.P., è stata posta in essere tramite le dichiarazioni rese al giornalista da M. G. (citato nel giudizio di primo grado), e la pubblicazione delle stesse da parte del redattore degli articoli (non citato nel giudizio di primo grado). Nessuna condotta può al riguardo essere attribuita agli altri due appellanti, ai quali, pertanto, non può essere oggettivamente ascritto in concreto alcun comportamento lesivo della reputazione dell’appellato. Il fatto poi che M.M., nell’interrogatorio reso in primo grado abbia dichiarato di avere condiviso la decisione del padre di rilasciare l’intervista ed il contenuto della stessa, non vale certamente a renderlo corresponsabile della diffamazione, che in concreto è stata posta in essere soltanto dal padre, non essendo in tema di art. 2043 c.c., ravvisabile una sorta di concorso morale. Analoghe considerazioni valgono per L.. Il fatto che il giornalista autore degli articoli in questione abbia dichiarato in sede penale di aver incontrato più volte ed in vari posti il L., ricevendo dallo stesso documenti e notizie, non vale certamente ad escludere la circostanza che i comportamenti oggettivamente produttivi del danno (rilascio dell’intervista e pubblicazione della stessa) sono stati posti in essere da persone diverse dal L.)".
Anche gli altri due motivi del ricorso principale, riguardanti rispettivamente la liquidazione equitativa del danno morale e l’omessa liquidazione del danno patrimoniale, non sono meritevoli di accoglimento, in quanto attengono al potere discrezionale del giudice del merito nel valutare i presupposti di fatto che legittimano la determinazione dei danni; nel caso di specie la Corte di merito ha riformato la decisione di primo grado, statuendo sul punto, quanto al danno non patrimoniale, che "nel caso di specie di diffamazione è del tutto evidente che i contenuti dell’intervista rilasciata da M.G. fossero stati dallo stesso preordinati, perchè se così non fosse non vi sarebbe neanche il dolo, che è elemento costitutivo della diffamazione. Del resto è ben difficile ipotizzare che l’intervistato potesse fare, nel corso dell’intervista, delle dichiarazioni lesive della reputazione del fratello P. colto da un improvviso raptus. Pertanto, sulla base delle predette considerazioni, valutata la reale portata diffamatoria degli articoli ed il conseguente danno morale nella sua effettiva dimensione, appare decisamente più consono liquidare in via equitativa, ai sensi degli artt. 2043 e 2059 c.c. e art. 595 c.p., la somma di Euro 70.000,00, ai valori attuali, comprensiva del danno da lucro cessante per la mancata tempestiva disponibilità del denaro. Alla suddetta somma dovrà essere aggiunta la sanzione pecuniaria di cui alla L. 8 febbraio 1948, n. 47, art. 12, conseguente alla riconosciuta sussistenza del reato di diffamazione, che, in considerazione di quanto sopra esposto si liquida in Euro 15.000,00, ritenendo del tutto eccessiva la cifra liquidata dal giudice di primo grado". E quanto al danno patrimoniale, escluso nel caso di specie, che "si è già avuto modo di evidenziare come non sia stata data prova che M.P. abbia subito in concreto un danno di natura patrimoniale. Anzi la sussistenza di tale danno è escludersi, in quanto nella intervista il fratello G., pur lanciandogli delle accuse di varia natura, non ne mette in alcun modo in discussione le capacità imprenditoriali, e la correttezza nel fare fronte agli impegni assunti nell’esercizio di tale attività, e, tantomeno, ne mette in discussione la correttezza nell’adempimento delle funzioni proprie delle cariche ricoperte nelle società del suo gruppo". Ogni ulteriore esame in proposito è precluso a questa Corte. Come infatti già statuito (tra le altre, da Cass. n. 17395/2007), nell’azione di risarcimento dei danni da diffamazione a mezzo stampa, la valutazione del contenuto degli scritti, l’apprezzamento in concreto delle espressioni usate come lesive dell’altrui reputazione e la connessa liquidazione dei danni costituiscono accertamenti di fatto, riservati al giudice di merito ed incensurabili in sede di legittimità se sorretti da motivazione congrua ed esenti da vizi logico-giuridici.
Infondati sono anche i ricorsi incidentali.
In relazione a quanto già esposto, assorbito è il primo motivo del ricorso di M.G. e l’unico motivo del ricorso L..
Quanto poi al secondo motivo del ricorso di M.G. si osserva: lo stesso è inammissibile in quanto l’identità di soggetti di petitum e di causa petendi che determina l’estinzione del giudizio civile in caso di trasferimento dell’azione penale è rimesso all’apprezzamento del giudice di merito, come tale incensurabile in sede di legittimità, ove, come nel caso di specie, non risultino vizi di motivazione (sul punto, tra le altre, Cass. n. 6293/2003).
In relazione alla natura e all’esito della controversia sussistono giusti motivi per dichiarare interamente compensate tra tutte le parti in causa le spese della presente fase.
P.Q.M.
La Corte, riuniti i ricorsi, li rigetta e compensa le spese.
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