Cass. civ. Sez. III, Sent., 17-01-2012, n. 533 Responsabilità professionale

Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole direttore del sito giuridico http://www.gadit.it/

Svolgimento del processo

1. G.M.R. vedeva rigettata dal Tribunale di Napoli la domanda di risarcimento dei danni, (pari a circa L. 500 milioni) subiti in esito a un intervento chirurgico all’orecchio; domanda avanzata nei confronti della Università degli Studi di Napoli "Federico II", del prof. M.G., in proprio e quale direttore del Dipartimento di otorinolaringoiatria della Facoltà di medicina e chirurgia. Il giudizio si svolgeva nel contraddittorio anche di Assitalia spa, intervenuta quale ente assicuratore dell’Ateneo; di quest’ultimo il Tribunale dichiarava la carenza di legittimazione passiva.

La Corte di appello di Napoli, adita dalla G. nel contraddittorio con M. e Assitalia, dichiarava l’appello inammissibile per mancanza della necessaria specificità dei motivi (sentenza del 14 luglio 2008).

2. Avverso la suddetta sentenza la G. propone ricorso per cassazione con due motivi.

Resistono con controricorso il M., che ha depositato memoria, l’Università, e l’INA ASSITALIA spa, chiedendo dichiararsi l’inammissibilità del ricorso.

Motivi della decisione

1. Il collegio ha disposto l’adozione di una motivazione semplificata. E’ applicabile ratione temporis l’art. 366 bis cod. proc. civ..

1.1. Preliminarmente, deve essere precisato che il ricorso è stato inammissibilmente proposto nei confronti della Università degli studi di Napoli, della quale nel giudizio di primo grado era stata dichiarata la carenza di legittimazione passiva e rispetto alla quale non si era svolto il giudizio di appello, con conseguente passaggio in giudicato della sentenza nei suoi confronti.

2. Con il primo motivo si deduce la violazione e falsa applicazione dell’art. 342 cod. proc. civ.; con il secondo motivo la violazione e falsa applicazione dell’art. 1218 cod. civ..

I motivi di ricorso sono inammissibili.

2.1. Rispetto ai secondo motivo, prima ancora del mancato rispetto dell’art. 366-bis cod. proc. civ., rileva la circostanza che la Corte di merito, avendo esaminato la questione preliminare preclusiva dell’esame del merito – attinente alla mancanza di specificità dei motivi di impugnazione – non si è pronunciata sul merito della causa, che costituisce l’oggetto del secondo motivo di ricorso. Nè potrebbe ritenersi pronuncia sul merito il passaggio motivazionale in cui la Corte di appello, per mettere in risalto che i motivi di impugnazione non erano specifici, sintetizza, valutandola positivamente, la decisione di primo grado.

2.2. Il primo motivo – ma le stesse considerazioni varrebbero per il secondo se fosse esaminabile – è inammissibile per il mancato rispetto dell’art. 366-bis cod. proc. civ..

Non è formulato, infatti, il quesito di diritto da sottoporre alla Corte a corredo del motivo di ricorso.

2.2.1. Nè può ritenersi integrare idoneo quesito quanto contenuto nelle conclusioni, nelle quali si chiede alla Corte di enunciare i seguenti principi di diritto: per il primo "violato il principio di diritto secondo il quale ex art. 342 c.p.c., nell’atto di appello l’indicazione dei motivi specifici deve essere sufficientemente chiara e precisa per consentire la delimitazione in modo esatto dell’ambito di riesame invocato dall’appellante"; per il secondo "violato il principio di diritto secondo il quale ex art. 1218 c.c., la responsabilità medica va qualificata come responsabilità contrattuale".

Anche a voler considerare le suddette frasi quali formulazione di quesiti, è evidente che questi non sono adeguati, contenendo affermazioni generiche, prive di qualunque riferimento alla fattispecie concreta oggetto del giudizio.

Il motivo (i motivi) è, pertanto, inammissibile, in applicazione del principio consolidato secondo cui, se il quesito di diritto si esaurisce in una enunciazione di carattere generale ed astratto che, in quanto priva di qualunque indicazione sul tipo di controversia e sulla riconducibilità alla fattispecie, non consente di offrire alcuna risposta utile a definire la causa nel senso voluto dal ricorrente, il motivo è da dichiararsi inammissibile, non potendo essere desunto o integrato dal motivo (Sez. Un. 11 marzo 2007, n. 7258).

3. In conclusione, il ricorso è inammissibile e le spese seguono la soccombenza.

P.Q.M.

LA CORTE DI CASSAZIONE dichiara inammissibile il ricorso e condanna G.M.R. al pagamento delle spese processuali del giudizio di cassazione, che liquida in Euro 4.800,00, di cui Euro 200,00 per spese, oltre alle spese generali ed agli accessori di legge, in favore di ciascuno dei controricorrenti.

Testo non ufficiale. La sola stampa del bollettino ufficiale ha carattere legale.

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