Cass. civ. Sez. III, Sent., 18-01-2012, n. 682 Opposizione al precetto Pignoramento di beni mobili

Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole direttore del sito giuridico http://www.gadit.it/

Svolgimento del processo

p. 1. La Tessiture Pietro Radici s.p.a. ha proposto ricorso per cassazione contro la s.r.l. Addcons avverso la sentenza del 29 maggio 2008, con la quale il Tribunale di Milano ha rigettato l’opposizione, proposta da essa ricorrente – per quello che si enuncia in ricorso ai sensi degli artt. 615 e 617 c.p.c., nel mentre detta sentenza tace sulla sua qualificazione – avverso l’atto di pignoramento presso terzi delle somme dovute ad essa ricorrente da due istituti di credito, notificatole il 23 agosto 2004 dalla Addcons per l’importo di Euro 168.514,06 in forza di titolo esecutivo rappresentato da un decreto ingiuntivo ottenuto nei suoi confronti dalla stessa Addcons. p. 2. Al ricorso, fondato su cinque motivi, ha resistito con controricorso l’intimata, svolgendo in esso ricorso incidentale sulla base di due motivi.

A tale ricorso incidentale la ricorrente ha resistito con controricorso.

Entrambe le parti hanno depositato memoria.

Parte resistente ha depositato la sua memoria facendola redigere da novo difensore costituitosi con "memoria di costituzione", con in calce procura autenticata dallo stesso difensore.

Motivi della decisione

p. 1. Preliminarmente va rilevato che è inammissibile quindi, priva di effetti la memoria di costituzione depositata dalla resistente con nomina di nuovo difensore, atteso che alla presente controversia non trova applicazione al previsione di cui all’art. 83 c.p.c., comma 2, come sostituito dalla L. n. 69 del 2009, art. 45, giusta la norma transitoria di cui all’art. 58, comma 1, della stessa legge, la quale, salve le eccezioni previste dai commi successivi, fra le quali non rientra la modifica del citato comma dell’art. 83, dispone che le disposizioni di modifica del codice di procedura civile introdotte dalla legge de qua trovino applicazione soltanto ai giudizi instaurati dopo la sua entrata in vigore, espressione riferibile all’introduzione originaria della controversia in primo grado e non riferibile all’inizio del giudizio di impugnazione, nella specie comunque avvenuta anteriormente (il 29 maggio 2009) alla data di entrata in vigore suddetta (4 luglio 2009).

Ne discende che la memoria di costituzione è inammissibile e parimenti inammissibile è la successiva memoria ai sensi dell’art. 378 c.p.c..

Inammissibile era anche la partecipazione all’udienza del detto difensore, che è stata esclusa con ordinanza pronunciata in udienza.

Il principio di diritto che viene in rilievo è, in particolare, il seguente. "Poichè la modifica operata dalla L. n. 69 del 2009, art. 45, con la sostituzione dell’art. 83 c.p.c., comma 2, è applicabile soltanto alle controversie introdotte in primo grado dopo la data di entrata in vigore dei detta legge (4 luglio 2009), è inammissibile l’atto di costituzione di nuovo difensore in sede di giudizio di legittimità con la memoria prevista dal detto comma 2, con la conseguenza che tale difensore non è legittimato a redigere la memoria ai sensi dell’art. 378 c.p.c. (e se la depositi se ne deve dichiarare l’inammissibilità), nè è legittimato a partecipare alla discussione in udienza pubblica (o può chiedere di essere sentito in camera di consiglio)". p. 2. Con il primo motivo di ricorso si denuncia "violazione, falsa applicazione del combinato disposto degli artt. 295, 615 e 617 c.p.c.", adducendosi che erroneamente il Tribunale avrebbe ritenuto di non poter disporre la sospensione del giudizio per la pregiudizialità dell’opposizione proposta dalla qui ricorrente, ai sensi dell’art. 480 c.p.c., comma 3, avanti al Tribunale di Bergamo, Sezione Distaccata di Clusone, avverso il precetto intimatole il 27 agosto 2004, sulla base del quale era stato poi eseguito il pignoramento contro il quale era stata proposta l’opposizione davanti al Tribunale di Milano. p. 2.1. Il motivo è innanzitutto inammissibile per palese violazione dell’art. 366 c.p.c., n. 6, in quanto nel ricorso, tanto nell’illustrazione del motivo, quanto nella esposizione del fato, si omette di riprodurre il contenuto dell’atto introduttivo dell’opposizione a precetto, per la parte che dovrebbe evidenziare la pregiudizialità della decisione riguardo ad essa rispetto alla decisione dell’opposizione decisa con la sentenza qui impugnata. In tal modo difetta l’indicazione specifica del documento (tale essendo l’atto introduttivo dell’opposizione al precetto in relazione alla presente controversia) nei termini e nei contenuti ritenuti necessari dalla consolidata giurisprudenza di questa Corte in sede di esegesi dell’art. 366 c.p.c., n. 6, norma che costituisce il precipitato normativo del c.d. principio di autosufficienza nell’esposizione del motivo di ricorso per cassazione (ex multis, si vedano Cass. sez. un. nn. 28547 del 208, 7161 del 2010 e, da ultimo, 22726 del 2011).

Il rilievo della manata riproduzione del contenuto rilevante dell’opposizione al precetto è di per sè sufficiente a giustificare la valutazione di inosservanza dell’art. 366 c.p.c., n. 6, non senza che, però, si debba considerare che tale norma risultava inosservata anche per la mancanza di indicazione del modo e della sede di produzione nel giudizio di merito e nel presente giudizio di legittimità del detto documento, pure necessarie secondo la riferita giurisprudenza. Infatti, a pagina due del ricorso si allude all’opposizione a precetto come documento n. 23, ma (oltre a tacersi del momento di produzione nel giudizio di merito) non si specifica a che cosa si riferisca tale numerazione, il che non consente di raccordarla con l’indicazione, contenuta in chiusura del ricorso, della produzione (sub D) del fascicolo di parte del primo grado di giudizio. p. 2.2. Inoltre, a pagina tre del ricorso si dice che il giudizio di opposizione a precetto sarebbe stato deciso con sentenza n. 89 del 207 del 19 maggio 207 che sarebbe stata prodotta nel giudizio definito dalla sentenza qui impugnata all’udienza del 13 febbraio 2008 (cioè quella in cui la causa enne ritenuta in decisione): ciò, in disparte che non si dice se la produzione sia stata mantenuta in questa sede, evidenzia che il rapporto fra il preteso giudizio pregiudicante e quello pregiudicato era divenuto riconducibile all’ambito dell’art. 337 c.p.c., comma 2, e, dunque, della sospensione discrezionale di cui a tale norma. Onde, il motivo sarebbe inammissibile anche perchè denuncia la violazione di una norma che non era più rilevante (si veda, in termini, ex multis, Cass. n. 26435 del 2009). Con la conseguenza che la negazione della sua rilevanza da parte della sentenza impugnata sarebbe stata priva di rilievo, perchè concernente una norma che non poteva venire in considerazione. p. 3. Con il secondo motivo si denuncia "violazione, falsa applicazione dell’art. 83 cod. proc. civ.".

Il motivo presenta tre gradate ragioni di inammissibilità. 3.1. La prima è sempre riconducibile all’art. 366 c.p.c., n. 6, posto che la sua illustrazione si fonda sul contenuto del precetto e dell’atto di pignoramento, che recherebbero una sottoscrizione illeggibile e non espliciterebbero le generalità del soggetto che si sarebbe presentato come legale rappresentante della qui resistente, ma omette di riprodurne il contenuto per la parte che interessa la censura. Inoltre, entrambi gli atti sono indicati nell’esposizione come prodotti con la generica indicazione "doc. n 22" e "doc. n 24", ma nuovamente tali indicazioni meritano le considerazioni svolte nel primo motivo. p. 3.2. La seconda ragione di inammissibilità è che non si individua nè il tenore del motivo di opposizione cui il motivo di ricorso si riferisce (ed in proposito la motivazione della sentenza impugnata fa riferimento solo all’atto di pignoramento e non anche al precetto, come oggetto della doglianza della qui ricorrente) nè la parte della motivazione della sentenza impugnata che con esso si intende sottoporre a censura (salvo per un generico riferimento alla pagina dieci del ricorso, ad una sentenza di questa Corte citata dalla sentenza impugnata). p. 3.3. La terza ragione di inammissibilità risiede nell’assoluta astrattezza del quesito di diritto che chiude l’illustrazione del motivo: vi si chiede, infatti, di affermare i segueti due principi di diritto: "(b1)". p. 4. Con il quarto motivo si denuncia "violazione, falsa applicazione del combinato disposto degli artt. 501 e 543 cod. proc. civ. e della L. n. 742 del 1969, art. 1".

Vi si svolgono due censure.

Con la prima si critica la sentenza impugnata per non avesse ritenuto che il mancato rispetto dei temine di cui all’art. 543 c.p.c., comma 3, in relazione all’art. 501 avesse determinato nullità dell’atto di pignoramento presso terzi. L’errore sarebbe stato compiuto per un’erronea lettura della sentenza di questa Corte n. 6312 del 1993, la quale sarebbe stata riferibile alla posizione del terzo pignorato e non del debitore.

Con la seconda censura si sostiene che comunque il termine per la comparizione indotto dall’atto di pignoramento era anche da ritenere sospeso ai sensi della L. n. 742 del 1969, onde anche a non voler ritenere erronea la sentenza impugnata sotto il profilo dell’errore addebitato con la prima censura, essendo avvenuta la notifica del pignoramento il 23 agosto 2004 per l’udienza del 30 agosto 2004, anche di ciò sarebbe derivata l’illegittimità del pignoramento. p. 4.1. Quanto a questa seconda censura il Collegio rileva la sua inammissibilità, perchè nella sentenza impugnata non è trattata la questione e la ricorrente ha omesso di indicare dove nell’atto di opposizione aveva prospettato l’inosservanza della sospensione dei termini come ragione di nullità del pignoramento. Se mai l’avesse prospettata, comunque, avrebbe dovuto denunciare un’omissione di pronuncia ai sensi dell’art. 112 c.p.c.. p. 4.2. Il motivo nella sua interezza è inammissibile, perchè impugna soltanto una delle due rationes decidendi della sentenza impugnata sulla questione dell’inosservanza del termine di cui all’art. 543, comma 3: la sentenza, infatti, dopo avere fatto riferimento alla sentenza di questa Corte n. 6312 del 1993 – effettivamente in modo erroneo, tenuto conto che essa ha affermato l’irrilevanza della violazione rispetto al terzo e non riguardo al debitore – ha osservato, con motivazione autonoma, che al relativo argomento "devesi aggiungere la considerazione che l’udienza de qua n.d.r.: cioè quella del 30 agosto 2004, indicata nell’atto di pignoramento è stata rinviata d’ufficio al 25 novembre 2004, ciò comportando il rispetto della disciplina in esame". Questa motivazione non è stata impugnata e, pertanto, su di essa si è formata cosa giudicata, con la conseguenza che sulla questione decisa da essa si è formato un giudicato interno (ex multis, da ultimo, Cass. n. 3386 del 2011).

Per ragioni di noniofilachia, si può, comunque, evidenziare che rispetto allo stesso debitore la prospettiva che la concessione di un termine minore di quello di cui all’art. 501, non è tale da doversi interpretare come determinativa della nullità del pignoramento, bensì nel senso che l’assegnazione di un termine minore comporta la nullità delle attività del procedimento che eventualmente fossero compiute all’udienza, con possibilità del debitore di dedurla nel termine per l’impugnazione con l’opposizione agli atti. p. 5. Con il quarto motivo si denuncia "violazione, falsa applicazione degli artt. 96 e 483 cod. proc. civ." e si critica la motivazione della sentenza impugnata là dove avrebbe ritenuto "di non poter decidere sull'(inammissibilità) de pignoramento per essere l’abuso dei mezzi di espropriazione un aspetto eventualmente rilevabile dal giudice dell’esecuzione ai sensi degli artt. 496 e 483 c.p.c.". In tale modo il Tribunale avrebbe omesso di considerare che il detto accertamento sarebbe stato prodromico ad una statuizione sulla risarcibilità del danno ai sensi dell’art. 92 c.p.c., comma 2, la quale competeva al Tribunale quale giudice dell’opposizione all’esecuzione, chiamato a dichiarare l’inesistenza del diritto azionato in via esecutiva. p. 5.1. Il motivo è inammissibile ai sensi dell’art. 366 c.p.c., n. 6, perchè non individua, riproducendo il contenuto dell’atto di opposizione in parte qua quanto al motivo di opposizione sul quale sarebbe stata resa la decisione erronea dal Tribunale. A pagina dodici si indica che vi era stato un altro pignoramento (cui pure si fa riferimento alla pagina due), ma non si dice se la relativa circostanza era stata dedotta come motivo di opposizione e non si riproduce, per il caso positivo, il relativo contenuto.

Nemmeno – e tanto costituisce ulteriore ragione di inammissibilità – si individua la parte della motivazione da esso resa al riguardo, se non per l’assolutamente insufficiente conclusione riportata fra virgolette. In particolare, non si chiarisce che cosa si fosse fatto valere a sostengo della inammissibilità del pignoramento per esserci stato un abuso dei mezzi di espropriazione. p. 6. Con il quinto motivo si denuncia "violazione, falsa applicazione del combinato disposto degli artt. 100 e 615 cod. proc. civ." e si critica la sentenza impugnata che ha ritenuto priva di interesse la ricorrente ad una pronuncia sul "non dovuto rimborso della tassa di registro liquidata circa il titolo posto in esecuzione …. posto che l’esecuzione si è esitata con parziale soddisfo del credito del procedente".

Il motivo è inammissibile ai sensi dell’art. 366 c.p.c., n. 6, atteso che fa riferimento alla copia dell’avviso di liquidazione della tassa di registro comunicato dall’Agenzia delle Entrate, ma lo indica genericamente come doc. n. 25 e si astiene dal riprodurne il contenuto per la parte che interessa.

Il motivo sarebbe inoltre ulteriormente inammissibile, perchè si conclude con un quesito di diritto del tutto astratto. p. 7. Conclusivamente, riuniti i ricorsi, va dichiarato inammissibile il principale ed inefficace l’incidentale, che aveva natura di ricorso incidentale tardivo (perchè proposto oltre l’anno solare).

Le spese seguono la soccombenza che è riferibile alla ricorrente.

P.Q.M.

La Corte riunisce i ricorsi. Dichiara inammissibile il principale ed inefficace l’incidentale. Condanna la ricorrente alla rifusione alla resistente delle spese del giudizio di cassazione, liquidate in Euro cinquemila, di cui Euro duecento per esborsi, oltre spese generali ed accessori come per legge.

Testo non ufficiale. La sola stampa del bollettino ufficiale ha carattere legale.

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