Cass. civ. Sez. III, Sent., 18-01-2012, n. 675

Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole direttore del sito giuridico http://www.gadit.it/

Svolgimento del processo

Nell’ambito di un procedimento di esecuzione immobiliare la società A.RI.TEL srl impugnava il decreto di pagamento in favore del custode e delegato alla vendita C.R.E., contestandone l’ammontare in relazione alle attività effettivamente svolte in entrambe le vesti.

Al ricorso aderivano R.R. e B.C..

Il tribunale di Palermo con decreto del 26.6.2009 accoglieva il ricorso determinando il compenso complessivo spettante al C. R..

Quest’ultimo ha proposto ricorso per cassazione affidato a due motivi.

Resiste con controricorso l’A.RI.TEL srl.

Gli altri intimati non hanno svolto attività difensiva.

Motivi della decisione

Il Collegio raccomanda una motivazione semplificata.

Il ricorso è stato proposto per impugnare una sentenza pubblicata una volta entrato in vigore il D.Lgs. 15 febbraio 2006, n. 40, recante modifiche al codice di procedura civile in materia di ricorso per cassazione; con l’applicazione, quindi, delle disposizioni dettate nello stesso decreto al Capo 1^.

Secondo l’art. 366 bis c.p.c. – introdotto dall’art. 6 del decreto – i motivi di ricorso debbono essere formulati, a pena di inammissibilità, nel modo lì descritto ed, in particolare, nei casi previsti dall’art. 360, n. 1), 2), 3) e 4, l’illustrazione di ciascun motivo sì deve concludere con la formulazione di un quesito di diritto, mentre, nel caso previsto dall’art. 360, comma 1, n. 5), l’illustrazione di ciascun motivo deve contenere la chiara indicazione del fatto controverso in relazione al quale la motivazione si assume omessa o contraddittoria, ovvero le ragioni per le quali la dedotta insufficienza della motivazione la rende inidonea a giustificare la decisione.

Segnatamente, nel caso previsto dall’art. 360 c.p.c., n. 5, l’illustrazione di ciascun motivo deve contenere, a pena di inammissibilità, un momento di sintesi (omologo del quesito di diritto), che ne circoscriva puntualmente i limiti, in maniera da non ingenerare incertezze in sede di formulazione del ricorso e di valutazione della sua ammissibilità (Sez. Un. 1 ottobre 2007, n. 20603; Cass. 18 luglio 2007, n. 16002).

Il quesito, al quale si chiede che la Corte di Cassazione risponda con l’enunciazione di un corrispondente principio di diritto che risolva il caso in esame, poi, deve essere formulato in modo tale da collegare il vizio denunciato alla fattispecie concreta (v. Sez. Un. 11 marzo 2008, n. 6420 che ha statuito l’inammissibilità – a norma dell’art. 366 bis c.p.c. – del motivo di ricorso per cassazione il cui quesito di diritto si risolva in un’enunciazione di carattere generale ed astratto, priva di qualunque indicazione sul tipo della controversia e sulla sua riconducibilità alla fattispecie, tale da non consentire alcuna risposta utile a definire la causa nel senso voluto dal ricorrente, non potendosi desumere il quesito dal contenuto del motivo od integrare il primo con il secondo, pena la sostanziale abrogazione del suddetto articolo).

La funzione propria del quesito di diritto – quindi – è quella di far comprendere alla Corte di legittimità, dalla lettura del solo quesito, inteso come sintesi logico-giuridica della questione, l’errore di diritto asseritamente compiuto dal giudice di merito e quale sia, secondo la prospettazione del ricorrente, la regola da applicare (da ultimo Cass. 7 aprile 2009, n. 8463; v. anche Sez.Un. ord. 27 marzo 2009, n. 7433).

I motivi non rispettano i requisiti prescritti dall’art. 366 bis c.p.c..

Con i due motivi il ricorrente denuncia a) violazione e/o falsa applicazione del D.M. 25 maggio 1999, n. 313, artt. 2 e 6, con riferimento alla liquidazione del compenso del professionista delegato in caso di anticipata estinzione del procedimento esecutivo;

b) violazione e/o falsa applicazione dell’uso normativo vigente presso il tribunale di Palermo, sezione esecuzioni immobiliari, nonchè del D.M. 15 maggio 2009, n. 80, con riferimento alla liquidazione del compenso del custode.

I quesiti, però, posti al termine del ricorso – e riferiti ai due motivi di cui lo stesso si compone – peccano di genericità, e si risolvono in una enunciazione di carattere generale ed astratto, non contenendo alcun riferimento al caso concreto.

In tal modo, la Corte di legittimità si trova nell’impossibilità di enunciare un o i principii di diritto che diano soluzione allo stesso caso concreto (Cass. ord. 24.7.2008 n. 20409; S.U. ord. 5.2.2008 n. 2658; Sez. Un. 5.1.2007 n. 36, e successive conformi).

Nè il quesito, correttamente posto, può essere desunto dal contenuto e dall’illustrazione del motivo che lo precede, e neppure può essere integrato il primo con il secondo.

Diversamente, si avrebbe la sostanziale abrogazione della norma dell’art. 366 bis c.p.c., applicabile ratione temporis nella specie (Sez. Un. 11.3.2008, n. 6420 e successive conformi).

Inoltre, va ulteriormente sottolineato che il quesito di diritto di cui all’art. 366 bis c.p.c., deve comprendere l’indicazione, sia della regula iuris adottata nel provvedimento impugnato, sia del diverso principio che il ricorrente assume corretto, e che si sarebbe dovuto applicare in sostituzione del primo.

La mancanza anche di una sola di tali due indicazioni rende il ricorso, od il motivo, inammissibile (Cass. 30.9.2008, n. 24339).

Nel caso in esame difettano entrambe le indicazioni.

Conclusivamente, il ricorso per cassazione è dichiarato inammissibile.

Le spese seguono la soccombenza e, liquidate come in dispositivo, sono poste a carico del ricorrente.

P.Q.M.

La Corte dichiara inammissibile il ricorso. Condanna il ricorrente al pagamento delle spese che liquida in complessivi Euro 2.200,00, di cui Euro 200,00 per spese, oltre spese generali ed accessori di legge.

Testo non ufficiale. La sola stampa del bollettino ufficiale ha carattere legale.

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