Cass. civ. Sez. V, Sent., 18-01-2012, n. 642 Rimborso dell’imposta

Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole direttore del sito giuridico http://www.gadit.it/

Svolgimento del processo

La Punto Scommesse Napoli Municipio srl, società operante nel settore della raccolta delle scommesse ippiche, sportive e non sportive, ha impugnato, dinanzi al giudice tributario, il diniego del rimborso della somma di Euro 88.483,63 versata a titolo di imposta unica sulle scommesse per gli anni 2000/2002. Tale somma è stata versata a norma del D.L. n. 147 del 2003, art. 8, comma 5, così come modificato dalla Legge Conversione n. 200 del 2003, utilizzando la facoltà concessa ai gestori del servizio di raccolta delle scommesse relative alle corse dei cavalli, che non avessero tempestivamente aderito alle condizioni economiche ridefinite con decreto interdirigenziale del 6 giugno 2002 (G.U. 139/2002).

A sostegno della istanza di rimborso, la società deduce di avere già definito i propri obblighi tributari, in relazione all’imposta unica sulle scommesse, avendo presentato, il 21 gennaio 2003, la dichiarazione integrativa di cui alla L. 27 dicembre 2002, n. 289, art 8, comma 2, corredata del relativo versamento del 20% delle imposte non versate. Sostiene, quindi, che il secondo versamento, effettuato ai sensi della successiva L. n. 200 del 2003, costituisce un pagamento indebito, fatto soltanto per evitare possibili sanzioni.

La commissione tributaria provinciale adita ha accolto il ricorso. La commissione tributaria regionale, invece, ha accolto l’appello dell’Ufficio sul rilievo che la Legge Condono n. 289 del 2002, art. 8, comma 2, è stato abrogato del D.L. 24 dicembre 2002, n. 282, art. 5 ter, aggiunto dalla Legge Conversione 21 gennaio 2003, n. 27, con effetto del 1 gennaio 2003, travolgendo quindi gli effetti della dichiarazione integrativa.

Avverso quest’ultima decisione ricorre ia società istante con tre motivi, illustrati anche con memoria. L’amministrazione intimata resiste con controricorso e propone, a sua volta, ricorso incidentale condizionato.

Motivi della decisione

Preliminarmente, i due ricorsi, proposti avverso la stessa sentenza, vanno riuniti ai sensi dell’art. 335 c.p.c..

Nel merito, il ricorso principale non può trovare accoglimento e quindi resta assorbito il ricorso incidentale condizionato.

Con il primo motivo del ricorso principale, la difesa della società denunciando la violazione e falsa applicazione della L. 27 luglio 2000, n. 212, artt. 2, 3 e 10 (Statuto del contribuente), eccepisce che la decisione di appello avrebbe violato le disposizione di legge citate, in forza delle quali i precetti tributari:

a) non possono avere effetto retroattivo, se non in caso di norme interpretative (caso che non ricorre nella specie) e con espressa menzione della deroga all’art. 3 del medesimo statuto e dei presupposti che giustificano la deroga;

b) non devono contravvenire al principio della tutela dell’affidamento e della buona fede del contribuente.

Le censure sono prive di fondamento.

Le questioni prospettate dalla ricorrente, sono già state esaminate da questa Corte di legittimità. Effettivamente, la L. n. 282 del 2002, art. 5 ter, aggiunto dalla legge di conversione, nel prevedere l’abrogazione della L. n. 289 del 2002, art. 8, comma 2 (cd. condono) a far data dal 1 gennaio 2003, deroga a quanto disposto dalla L. n. 212 del 2000, art. 3, comma 1. Tuttavia, tale deroga deve ritenersi legittima, in quanto, secondo la Corte Costituzionale, non esiste, in generale, un principio costituzionale di irretroattività della legge tributaria, fondato sul parametro di cui all’art. 23 Cost. o sulle disposizioni della L. n. 212 del 2000, le quali non hanno rango costituzionale, neppure come norme interposte (v. da Ultimo C.Cost. sent. n. 58/2009). Questa indicazione interpretativa è stata seguita da questo giudice di legittimità ed è condivisa dal Collegio, in quanto "Le norme della L. 27 luglio 2000, n. 212 (c.d. Statuto del contribuente), emanate in attuazione degli artt. 3, 23, 53 e 97 Cost. e qualificate espressamente come principi generali dell’ordinamento tributario, sono, in alcuni casi, idonee a prescrivere specifici obblighi a carico dell’Amministrazione finanziaria e costituiscono, in quanto espressione di principi già immanenti nell’ordinamento, criteri guida per il giudice nell’interpretazione delle norme tributarie (anche anteriori), ma non hanno rango superiore alla legge ordinaria; conseguentemente, non possono fungere da norme parametro di costituzionalità, nè consentire la disapplicazione della norma tributaria in asserito contrasto con le stesse" (Cass. 8254/2009).

Con specifico riferimento al principio di non retroattività delle leggi tributarie, questa Corte ha già chiarito:

a) che "In tema di efficacia nel tempo di norme tributarie, in base alla L. 27 luglio 2000, n. 212, art. 3 (cosiddetto Statuto del contribuente), il quale ha codificato nella materia fiscale il principio generale di irretroattività delle leggi stabilito dall’art. 12 disp. gen., va esclusa l’applicazione retroattiva delle medesime salvo che come è avvenuto nella specie questa sia espressamente prevista" (Cass. 25722/2009; conf. 5015/2003);

b) che "l’espressa previsione di retroattività – necessaria per poter derogare al principio stabilito dall’art. 3 dello Statuto citato – sussiste anche quando sia espressamente disposta una decorrenza anteriore della norma, senza che sia invece necessario che la disposizione sia anche qualificata come regola di eccezionale retroattività" (Cass. 11141/2011).

Nella specie, poi, la società ricorrente sostiene a tesi dell’indebito oggettivo (riferito al secondo pagamento) e della violazione del principio del legittimo affidamento, in quanto, in punto di fatto, la stessa, a suo dire, aveva definito i rapporti tributari relativi all’imposta unica sulle scommesse, avendo ottemperato a tutti gli adempimenti prescritti dalla L. n. 289 del 2002, art. 8 comma 2, fin dal 31 gennaio 2003, molto prima che tale disposizione venisse poi abrogata retroattivamente dal D.L. n. 282 del 2002, art. 5 ter, entrato in vigore il 23 febbraio 2003 (per effetto dell’aggiunta apportata dalla Legge Conversione 21 febbraio 2003, n. 27). La tesi della società è che comunque gli effetti retroattivi, anche se legittimi, non potrebbero incidere sui rapporti definiti. Tale assunto, però, si regge sull’errato presupposto che l’apparente adempimento delle prescrizioni della legge di condono sia sufficiente per ritenere definiti i rapporti condonati, anche prima del controllo sulla correttezza degli adempimenti stessi e quindi anche se al successivo controllo tali adempimenti si rivelassero incompleti, insufficienti o errati. E’ vero invece che i rapporti tributari possono intendersi definitivamente consolidati soltanto con la scadenza dei termini di decadenza per i controlli delle relative dichiarazioni fiscali, anche quando si tratti di dichiarazioni integrative (arg. ex Cass. 14928/2006). L’ufficio può sempre rilevare, nei termini di decadenza, l’inesistenza dei presupposti del condono, tanto da poter richiedere anche l’eventuale ordinanza di estinzione emessa dal giudice investito della relativa controversia (Cass. 715/2010).

Non sussistono, dunque, le denunciate violazioni di legge, sia per la legittimità dell’efficacia retroattiva della L. n. 27 del 2003, sia perchè la vicenda sulla quale incide tale efficacia non era ancora definita al momento dell’entrata in vigore della legge stessa e quindi non può essere ipotizzata alcuna violazione del principio del legittimo affidamento (a parte la considerazione, assorbente, che tale principio riguarda i rapporti con l’amministrazione finanziaria e non i provvedimenti legislativi): "il principio dell’affidamento del contribuente previsto dalla L. 27 luglio 2000, n. 212, art. 10, ed il principio di irretroattività delle norme tributarie sfavorevoli … si applicano soltanto a quelli i rapporti che non siano ancora stati definiti con accertamento" (Cass. 16843/2008, 935/2009).

Risulta, peraltro, insussistente la fattispecie dell’indebito oggettivo. Infatti, lo stesso ripetuto art. 5 ter, al comma 1, dopo avere sancito la L. n. 289 del 2002, art. 8, abrogazione comma 2, ha disposto espressamente che "I versamenti effettuati sulla base della disposizione di cui alla L. n. 289 del 2002, art. 8, citato comma 2 prima della data di entrata in vigore della disposizione di cui al precedente periodo sono restituiti ai contribuenti dall’Amministrazione finanziaria ovvero dalla stessa trattenuti, anche in acconto, se i relativi importi sono dovuti ad altro titolo".

Quindi, quanto pagato dalla società ricorrente, con riferimento al debito pregresso per il triennio 2000/2002, è stato dalla L. n. 27 del 2003 utilmente considerato nel senso che se ne è prevista la restituzione o la imputazione a deconto della somma complessivamente da corrispondere anche per altri debiti di imposta insoluti (quote di prelievo e minimi garantiti), nell’ambito di un piano agevolativo quinquennale già definitivo con la spontanea domanda di adesione del contribuente. Non si può parlare quindi di duplicazione di imposta ma di validità dell’unica forma di condono ammissibile con le modalità stabilite dalla legge ed accettate dal contribuente.

D’altra parte, anche con riferimento alle liti fiscali pendenti, relative alle imposte sui concorsi pronostici e le scommesse, questa Corte ha escluso che tali liti possano essere definite ai sensi della L. n. 289 del 2002, art. 16, proprio a causa dell’abrogazione della medesima L. n. 289 del 2002, art. 8, comma 2, ad opera del D.L. n. 282 del 2002, art. 5 ter (Cass. 2691/2011).

Con il secondo motivo del ricorso principale viene denunciata la violazione e falsa applicazione della L. n. 400 del 1988, art. 15, anche in relazione all’art. 77 Cost.. La ricorrente sostiene la tesi che in forza delle citate disposizioni le modifiche apportate ai decreti legge dalla legge di conversione hanno efficacia dal giorno successivo, con la conseguenza che l’art. 5 ter, aggiunto dalla L. n. 27 del 2003 di conversione del D.L. n. 282 del 2002, non potrebbe avere efficacia se non dal giorno successivo alla sua pubblicazione.

La tesi è priva di fondamento. Innanzitutto, la L. n. 400 del 1988, art. 15, comma 5 dispone che le modifiche ai decreti legge hanno efficacia dal giorno successivo alla pubblicazione della legge di conversione, ma soltanto se questa non disponga diversamente. Nella specie, poi, l’art. 5 ter in questione reca una modifica che non incide sugli effetti del D.L. convertito, ma direttamente sulla legge di condono. Il legislatore si è servito del "veicolo" della Legge Conversione del D.L. n. 282 del 2002, per abrogare, legittimamente, un articolo di un’ altra precedente legge.

Con il terzo motivo del ricorso principale viene denunciato un vizio di motivazione della sentenza impugnata nella parte in cui la CTR afferma erroneamente che la domanda di condono "fu presentata il 29 gennaio 2003 e cioè successivamente alla data di conversione in legge (21.03.2003) del menzionato art. 5 ter recante per l’appunto l’abrogazione a partire dall’1.01.2003 della L. n. 27 del 2003, suddetto art. 8, comma 2, sicchè – a ben vedere – non può neanche parlarsi di effetto retroattivo della legge".

E’ evidente la sussistenza dell’errore denunciato dalla parte ricorrente, posto che non è vero che la domanda di condono sia stata presentata successivamente alla abrogazione della L. n. 289 del 2002, art. 8, comma 2, come risulta del resto dalla lettura della stessa motivazione che da atto che la dichiarazione integrativa è stata presentata il 29 gennaio 2003 e la legge di conversione è stata approvata il 21 febbraio 2003. Si tratta però di un errore irrilevante perchè relativo ad una ratio decidendi aggiuntiva e comunque assorbita dalle considerazioni sopra svolte. L’errore stesso va quindi semplicemente corretto, ai sensi dell’art. 384 c.p.c., comma 4, (nel senso che il periodo che inizia dalla parola "Inoltre" e finisce con la parola"presentata" è tamquam non esset), perchè non incide sul dispositivo.

Conseguentemente, il ricorso principale va rigettato, con conseguente assorbimento di quello incidentale condizionato. Le spese, liquidate come da dispositivo, seguono la soccombenza.

P.Q.M.

La Corte, riuniti i ricorsi, rigetta il ricorso principale, assorbito l’incidentale, e condanna società ricorrente in via principale al pagamento delle spese processuali che liquida in complessivi Euro seimilacinquecento/00, oltre le spese prenotate a debito.

Testo non ufficiale. La sola stampa del bollettino ufficiale ha carattere legale.

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