Corte Suprema di Cassazione – Penale Sezione Lavoro Sentenza n. 19553 del 2006 deposito del 13 settembre 2006

Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole direttore del sito giuridico http://www.gadit.it/

Fatto

1. Con ricorso depositato in data 27.6.1996, S.G. conveniva la Banca di Roma dinanzi al Pretore ed esponeva di essere stato assunto alle dipendenze della convenuta il ?; di essere divenuto membro della SAS in rappresentanza della Fiba – Cisl; di avere ricevuto una contestazione di addebiti consistente nell’avere utilizzato i sistemi informatici aziendali onde svolgere indagini circa l’esistenza di protesti a carico di nominativi non risultanti nell’elenco dei fornitori della banca, vale a dire di avere svolto operazioni non rientranti nei suoi compiti ed averle rese note a terzi, violando il segreto di ufficio. Il S. sosteneva di avere risposto agli addebiti con lettera ?, chiarendo che l’abnorme numero delle richieste dipendeva da un conteggio inesatto desunto dalle indicazioni della macchina e, comunque, dette informazioni erano state acquisite fuori della normale attività lavorativa. Successivamente, con telegramma in data 29.4.1996, chiedeva l’audizione personale; ma la banca il 3.5.1996 respingeva la richiesta e il 29.5.1996 gli comunicava il licenziamento per giusta causa.

2. Deduceva l’attore che il licenziamento era illegittimo a causa della ancata audizione personale a difesa; inoltre non sussisteva la giusta causa, in quanto egli si era limitato ad accondiscendere alle richiestedi una cliente della banca (tale C.), la quale gli chiedeva saltuariamente di controllare se determinati nominativi fossero o meno protestati.

3. Si costituiva la Banca di Roma e contestava le deduzioni dell’attore, evidenziando che tra il 1995 e il 1996 il S. aveva effettuato 11.710 operazioni riferite a nominativi diversi dai fornitori della banca, tutte nell’orario di lavoro. Non sussisteva alcun onere di sentire personalmente il dipendente, mentre la condotta dolosa, commessa abusando della posizione di lavoro, era giusta causa del licenziamento.

4. Il Pretore accoglieva la domanda attrice sotto il profilo dell’illegittimità del licenziamento a causa della mancata audizione personale del lavoratore. Proponeva appello la Banca di Roma.

Resisteva il S..

Il Tribunale di Roma, in riforma della sentenza impugnata, rigettava la domanda attrice così motivando:

– dopo avere ricevuto la lettera di contestazione il 18.4.1996, il S. forniva le proprie giustificazioni scritte il 23.4.1996;

– il 29.4.1996 l’interessato chiedeva, per telegramma, di essereascoltato personalmente;

– tale richiesta è inammissibile perchè inviata dopo cinque giorni dalla contestazione;

– il tempo impiegato dalla banca per provvedere (circa un mese) non risulta eccessivo;

– nel merito, il licenziamento è legittimo, dato che il lavoratore, addetto al servizio amministrazione e manutenzione immobili, ha svolto numerose interrogazioni, per conto di terza persona, al servizio informatico della banca nel corso dell’orario di lavoro;

– ciò si risolve in una sistematica prestazione di informazioni infavore di tale C.L., incriminata insieme al S. per violazione dell’art. 615 ter cpv., e art. 622 c.p., entrambi condannati in primo grado in sede penale;

– il fatto rimane grave, a prescindere dai motivi, perchè integra una violazione del divieto di prestare a terzi la propria opera e del rapporto fiduciario con la banca;

– la circostanza che, nelle more del giudizio, il S. sia stato reintegrato in esecuzione della sentenza di primo grado non vale acquiescenza alla sentenza stessa.

5. Ha proposto ricorso per Cassazione S.G., deducendo tre motivi.

Resiste con controricorso la s.p.a. Capitalia, nuova denominazione della Banca di Roma, la quale ha presentato memoria integrativa.

Diritto

6. Col primo motivo del ricorso, il ricorrente deduce violazione efalsa applicazione, a sensi dell’art. 360 c.p.c., n. 3, della L. n. 300 del 1970, art. 7, degli artt. 1175 e 1375 c.c., nonchè omessa, insufficiente e contraddittoria motivazione circa punti decisivi della controversia, ex art. 360 c.p.c., n. 5: il termine di cinque giorni concesso al lavoratore per far pervenire le proprie difese costituisce il termine minimo, prima del quale il datore di lavoro non può adottare il provvedimento disciplinare, ma non preclude al lavoratore di esporre nuove difese e di chiedere l’audizione personale. Inoltre l’addebito non è tempestivo, perchè gli accertamenti partono dal marzo 1995 e non appare lecito al datore di lavoro "accumulare" pretesi inadempimenti da contestare.

7. Il motivo è infondato. La L. n. 300 del 1970, art. 7, "il quale subordina la legittimità del procedimento di irrogazione della sanzione disciplinare alla previa contestazione degli addebiti, al fine di consentire al lavoratore di esporre le proprie difese in relazione al comportamento ascrittogli, non comporta un dovere autonomo di convocazione del dipendente per l’audizione orale, ma solo un obbligo correlato alla manifestazione tempestiva (entro il quinto giorno) della volontà del lavoratore di essere sentito di persona, e nel giudizio il lavoratore ha l’onere di provare la tempestività della sua richiesta, quale elemento costitutivo ed a lui favorevole della fattispecie procedimentale" (Cass. 4.3.2004 n. 4435). Nello stesso senso Cass. 1.9.2003 n. 12735, la quale condiziona il dovere del datore di lavoro di convocare il dipendente per l’audizione personale alla tempestiva richiesta, entro il quinto giorno, di essere sentito. Unico temperamento al principio è costituito dalla sentenza 13.1.2005 n. 488, la quale stabilisce che anche quando la difesa si è spiegata attraversole giustificazioni scritte o l’audizione personale, "l’obbligo del datore di lavoro di dare seguito alla richiesta del lavoratore (di un supplemento di difesa) sussiste solo ove la stessa risponda ad esigenze di difesa non altrimenti tutelabili", ovvero quando entro il termine "il lavoratore non sia stato in grado di presentare compiutamente la propria confutazione dell’addebito e la valutazione di questo presupposto va operata alla stregua dei principi di correttezza e buona fede che devono regolare l’esercizio del potere disciplinare del datore di lavoro". Nella specie, non risulta che il lavoratore non avesse compiutamente esposto la propria difesa per iscritto.

8. Con il secondo motivo del ricorso, il ricorrente deduce violazione efalsa applicazione, a sensi dell’art. 360 c.p.c., n. 3, dell’art. 654 c.p.p., L. n. 604 del 1966, art. 5, art. 2119 c.c., nonchè omessa, insufficiente e contraddittoria motivazione circa punti decisivi della controversia, ex art. 360 c.p.c., n. 5. La sentenza penale non è irrevocabile ed è stata appellata. La parte dichiara di allegare l’atto di appello. Sostiene il S. che il Giudice di merito non ha preso in considerazione la tesi difensiva, secondo la quale non era lui il responsabile di tutte le richieste, perchè qualsiasi altro dipendente poteva utilizzare il computer cui esso S. era addetto; il numero delle richieste effettuate è sensibilmente inferiore a quelle contestate; nessun elemento è emerso dalla perquisizione; non è stata raccolta la deposizione quale teste della C..

9. Il motivo è infondato. Il Giudice di merito ha tratto elementi di prova dagli atti del giudizio penale, ma non ha basato la propria decisione unicamente su di essi. Non è certo se il giudicato penale sia vincolante per la Banca di Roma, la quale non risulta si sia costituita parte civile. Per il resto, il motivo attinge largamente al fatto, lacui ricostruzione è stata operata dal Tribunale con motivazione esauriente, immune da vizi logici o contraddizioni, talchè essa si sottrae ad ogni censura in sede di legittimità.

Quanto alla mancata audizione della teste C., il ricorrente non indica in quale atto processuale essa sia stata indicata come teste e su quali circostanze.

10. Col terzo motivo del ricorso, il ricorrente deduce violazione efalsa applicazione, a sensi dell’art. 360 c.p.c., n. 3, degli artt. da 1362 a 1371 c.c., e art. 28 del c.c.N.L., nonchè omessa, insufficiente e contraddittoria motivazione circa punti decisivi della controversia, ex art. 360 c.p.c., n. 5: il Tribunale si è basato su sentenza non passata in giudicato, ha acquisito l’elenco delle consultazioni ed ha ascoltato a conferma un solo teste (V. la cui deposizione è risultata generica.

11. Il motivo è infondato. Anche esso riguarda prevalentemente il fatto, come accertato dal Giudice di merito con apprezzamento in fatto, insuscettibile di riesame in sede di legittimità, in quanto adeguatamente giustificato dal Giudice di appello con motivazione esauriente e completa, talchè essa si sottrae alla censura proposta.

12. Vale la pena di precisare, a questo punto, come non appaia fondata la censura di violazione delle regole di buona fede, in quanto la banca avrebbe atteso eccessivamente prima di effettuare la contestazione. Il principio dell’immediatezza della contestazione è un principio relativo, il quale va combinato col principio della completa acquisizione degli elementi da porre a base dell’addebito disciplinare, onde non incorrere in contestazioni precipitose e sfornite di prova: il riferimento agli anni 1995 e 1996 attiene alla ricostruzione, a ritroso, delle interrogazioni conservate nella memoria del computer.

D’altra parte, una volta contestato l’addebito, il tempo impiegato per decidere la sanzione è stato giudicato dal Tribunale non eccessivo. Non rimane quindi spazio per una autonoma applicazione dei principi in tema di correttezza nell’attuazione del rapporto di lavoro. Quanto all’applicazione del c.c.N.L., trattasi di questione di fatto sottratta al sindacato del Giudice di legittimità (cfr. Cass. 5.12.2005 n. 26352 a 25.10.2005 n. 20660). Il principio per cui la valutazione della gravita della giusta causa è riservato al Giudice di merito è affermato da giurisprudenza costante: vedi "ex multis" Cass. n. 21213.2005 e n. 3994.2005.

13. Il ricorso, per i su esposti motivi, deve essere rigettato. Le spese del grado seguono la soccombenza. Esse vengono liquidate indispositivo.

P.Q.M.

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

Rigetta il ricorso e condanna il ricorrente S.G. a rifondere all’intimato controricorrente Capitalia s.p.a. le spese del giudizio di Cassazione, che liquida in Euro 43,00 (quarantatre) oltre Euro tremila per onorari, spese generali ed accessori di legge.

Testo non ufficiale. La sola stampa del bollettino ufficiale ha carattere legale.

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