Cass. civ. Sez. II, Sent., 19-01-2012, n. 738

Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole direttore del sito giuridico http://www.gadit.it/

Svolgimento del processo

Gli odierni resistenti, Be.Am., M.N. e B.P. hanno impugnato con successo la delibera del 29 ottobre 1998 dell’assemblea del Consorzio Centro Vacanze Marina Piccola, con la quale era stato deliberato l’acquisto di un immobile, costituito da quattro locali, da destinare a uso di ristorazione per i villeggianti.

La Corte d’appello di Roma il 27 maggio 2004, nel confermare la sentenza del tribunale capitolino, rilevava che l’acquisto dell’immobile non rientrava tra le attribuzioni e i compiti dell’assemblea consortile, poichè oggetto del consorzio era solo la gestione delle aree comuni, mentre l’acquisto di immobili, da destinare a fine completamente estraneo al consorzio, snaturava i compiti dell’ente.

Affermava la necessità di delibera unanime o di previa modifica statutaria.

Il consorzio ha proposto ricorso per cassazione con unico motivo.

Hanno resistito i tre attori originari, costituendosi ciascuno con proprio difensore.

All’udienza del 12 gennaio 2011, la Corte ha rilevato la carenza in atti di autorizzazione a ricorrere da parte dell’Assemblea consortile al Presidente del Consorzio.

Rinviata la causa e depositato il relativo documento, è stata rifissata la pubblica udienza per la trattazione del ricorso.

Motivi della decisione

L’unico complesso motivo di ricorso denuncia violazione e falsa applicazione di norme di diritto e insufficiente motivazione.

Nè la rubrica nè il testo del motivo indicano quali sarebbero le norme violate, ma genericamente il ricorso lamenta che la Corte d’appello abbia deciso la causa senza tener conto della normativa in tema di consorzi.

Richiama poi un precedente giurisprudenziale, al fine di sostenere che il consorzio de quo avrebbe dovuto essere equiparato ad un’associazione non riconosciuta, con esclusione del vincolo di unanimità per la delibera contestata.

A indispensabile supporto della ricostruzione giuridica proposta, il ricorso, dopo aver sostenuto che vi è sostanziale incompatibilità tra "l’attività consortile" e quella "condominiale", afferma che la Corte d’appello avrebbe disatteso l’intento dei consorziati di consentire l’espansione del Consorzio mediante il potenziamento, da attuare anche mediante acquisto di immobili.

Invoca infine l’autonomia contrattuale di cui all’art. 1332 c.c. per additare l’erroneità della interpretazione restrittiva dello Statuto data dai giudici di merito.

La censura è inammissibile.

Essa in primo luogo non denuncia espressamente la violazione dell’art. 1362 c.c., anche se si risolve in una doglianza circa l’interpretazione dello statuto contrattuale e il suo asseritamente errato inquadramento.

Ora, l’accertamento e la valutazione delle circostanze di fatto, come l’interpretazione degli atti negoziali, sono riservati al giudice di merito e censurabili in sede di legittimità solo per vizi di motivazione e per violazione dei canoni legali di ermeneutica contrattuale; stanti i suddetti limiti del sindacato della Corte di cassazione, non costituisce precedente in senso tecnico la sentenza che abbia accolto o rigettato un ricorso per la cassazione di una decisione di merito che abbia adottato una determinata valutazione di analoghi, o anche identici, elementi di fatto o di atti negoziali, dipendendo tale circostanza dal superamento o meno del suddetto limitato controllo (Cass. 23569/07; v. anche 22102/09).

Inoltre le censure basate sulle violazione dei canoni legali di ermeneutica contrattuale devono essere specifiche, con indicazione dei singoli canoni ermeneutici violati e delle ragioni dell’asserita violazione (cass. 10203/08), mentre le censure riguardanti la motivazione devono riguardare l’obiettiva insufficienza di essa o la contraddittorieta1 del ragionamento su cui si fonda l’interpretazione accolta, non potendosi perciò ritenere idonea ad integrare valido motivo di ricorso per cassazione una critica del risultato interpretativo raggiunto dal giudice di merito che si risolva solamente nella contrapposizione di una diversa interpretazione ritenuta corretta dalla parte. E’ poi decisivo ribadire che l’interpretazione della volontà delle parti in relazione al contenuto di un contratto o di una qualsiasi clausola contrattuale importa indagini e valutazioni di fatto affidate al potere discrezionale del giudice di merito, non sindacabili in sede di legittimità ove non risultino violati i canoni normativi di ermeneutica contrattuale e non sussista un vizio nell’attività svolta dal giudice di merito, tale da influire sulla logicità, congruità e completezza della motivazione. Peraltro, quando il ricorrente censuri l’erronea interpretazione di clausole contrattuali da parte del giudice di merito, per il principio di specificità ed autosufficienza del ricorso, ha l’onere di trascriverle integralmente perchè al giudice di legittimità è precluso l’esame degli atti per verificare la rilevanza e la fondatezza della censura (Cass. 2560/07;

22889/06; 3075/06; 8296/05; 13587/10).

Nella specie il ricorso non solo non riporta testualmente ed integralmente le clausole statutarie (artt. 3 e 6) o la delibera consortile su cui è imperniato tutto il ragionamento svolto, ma si limita ad indicarne letteralmente solo parole isolate ("potenziamento"), di per sè insufficienti, se non lette nel contesto complessivo del documento, a far ritenere "manifestamente illogica" la qualificazione contrattuale data dai giudici di primo e secondo grado.

L’interpretazione data in sede di merito, di per sè immune da vizi logici, non può essere sindacata dalla Corte di legittimità se non viene ad essa sottoposto l’indispensabile testo integrale sul quale sarebbe caduta l’errata interpretazione, non potendo la Corte rendersi conto dell’esistenza di un errore interpretativo e della sua decisività. Nè giova a parte ricorrente l’aver conseguentemente sviluppato il ricorso come apodittica contrapposizione della propria tesi a quella fatta propria dalla Corte territoriale, senza un puntuale esame critico tale da dimostrare violazione di quali siano stati i criteri ermeneutici eventualmente lesi.

Discende da quanto esposto il rigetto del ricorso e la condanna alla refusione delle spese di lite, liquidate in dispositivo.

P.Q.M.

La Corte rigetta il ricorso.

Condanna parte ricorrente alla refusione delle spese di lite liquidate per ciascuno dei resistenti in Euro 1.500 per onorari, 200 per esborsi, oltre accessori di legge.

Testo non ufficiale. La sola stampa del bollettino ufficiale ha carattere legale.

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