Cass. civ. Sez. lavoro, Sent., 20-01-2012, n. 800 Indennità o rendita

Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole direttore del sito giuridico http://www.gadit.it/

Svolgimento del processo

Con sentenza depositata in data 30,3.2007 la Corte d’appello di L’Aquila, riformando la sentenza impugnata, ha accolto la domanda proposta da M.R. nei confronti dell’INAIL condannando l’Istituto a costituire in favore del ricorrente una rendita di inabilità per malattia professionale a decorrere dal 29.2.1996 rapportata ad un grado di inabilità del 15%. A tali conclusioni la Corte territoriale è pervenuta ritenendo di dover rigettare l’eccezione di prescrizione sollevata dall’INAIL, sul rilievo che la prescrizione non potrebbe maturare nel corso degli accertamenti amministrativi tutte le volte in cui tali accertamenti si protraggano nel tempo e l’ente previdenziale abbia dato formalmente ripetute assicurazioni all’interessato circa la possibilità di pervenire ad una decisione di merito, e ciò senza minimamente prospettare che possa essere eccepita la prescrizione mentre gli accertamenti sono in corso.

Avverso tale sentenza ricorre per cassazione l’INAIL affidandosi a due motivi di ricorso cui resiste con controricorso M.R..

L’INAIL ha depositato memoria ai sensi dell’art. 378 c.p.c..

Motivi della decisione

1.- Con il primo motivo si denuncia violazione dell’art. 132 c.p.c., comma 2, n. 4, chiedendo a questa Corte di stabilire se risulta conforme alla predetta disposizione di legge la sentenza che, nella parte relativa allo svolgimento del processo, si limita ad una ricostruzione dei fatti del seguente tenore: "L’appellante pretende l’erogazione di rendita per malattia professionale. La domanda è stata respinta dalla suindicata sentenza appellata. L’Istituto appellato resiste". 2.- Con il secondo motivo si denuncia violazione del D.P.R. n. 1124 del 1965, art. 112, chiedendo a questa Corte di stabilire se gli accertamenti amministrativi effettuati dall’Istituto assicuratore anche oltre il termine di cui all’art. 112 del T.U. possano essere considerati atti di rinuncia tacita ad avvalersi della prescrizione da parte dell’INAIL. 3.- Il primo motivo è infondato. Secondo la costante giurisprudenza di questa Corte – cfr. ex plurimis Cass. n. 6683/2009, Cass. n. 5146/2001, Cass. n. 13292/2000, Cass. n. 10045/96 – l’assenza della concisa esposizione dello svolgimento del processo e dei fatti rilevanti della causa (cfr. art. 132 c.p.c., comma 2, n. 4, nel testo vigente antecedentemente alle modifiche apportate dalla L. n. 69 del 2009, art. 45, comma 17) vale ad integrare un motivo di nullità della sentenza se tale omissione impedisca totalmente, non risultando in alcun modo richiamati i tratti essenziali della lite neppure nella parte motiva, di individuare gli elementi di fatto considerati o presupposti nella decisione, nonchè di controllare che siano state osservate le forme indispensabili poste dall’ordinamento a garanzia del regolare esercizio della giurisdizione. Nella specie, dalla motivazione della sentenza impugnata risultano chiaramente sia l’oggetto del giudizio che le ragioni della decisione, avendo la Corte territoriale indicato che la causa ha ad oggetto il riconoscimento del diritto a rendita per malattia professionale e che l’unica contestazione dell’INAIL riguarda la prescrizione del diritto fatto valere dal ricorrente, prescrizione che, tuttavia, secondo il giudice d’appello, non sarebbe maturata in quanto interrotta per effetto del riconoscimento del diritto desumibile dal comportamento tenuto dall’Istituto nel corso del procedimento amministrativo.

Il primo motivo deve essere pertanto respinto.

4.- Il secondo motivo deve ritenersi inammissibile per mancanza dei requisiti prescritti dall’art. 366 bis c.p.c., applicabile ratione temporis alla fattispecie in esame.

5.- Ai sensi dell’art. 366 bis c.p.c., applicabile ai ricorsi per cassazione proposti avverso le sentenze e gli altri provvedimenti pubblicati a decorrere dalla data di entrata in vigore del D.Lgs. n. 40 del 2006, e quindi anche al ricorso in esame, nei casi previsti dall’art. 360 c.p.c., comma 1, nn. 1), 2), 3) e 4), l’illustrazione di ciascun motivo si deve concludere, a pena d’inammissibilità, con la formulazione di un quesito di diritto, che deve essere idoneo a far comprendere alla S.C., dalla lettura del solo quesito, inteso come sintesi logico-giuridica della questione, l’errore di diritto asseritamente compiuto dal giudice di merito e quale sia, secondo la prospettazione del ricorrente, la regola da applicare (Cass. n. 8463/2009). Per la realizzazione di tale finalità, il quesito deve contenere la riassuntiva esposizione degli elementi di fatto sottoposti al giudice di merito, la sintetica indicazione della regola di diritto applicata dal giudice a quo e la diversa regola di diritto che, ad avviso del ricorrente, si sarebbe dovuto applicare alla fattispecie. Nel suo contenuto, inoltre, il quesito deve essere caratterizzato da un sufficienza dell’esposizione riassuntiva degli elementi di fatto ad apprezzare la sua necessaria specificità e pertinenza e da una enunciazione in termini idonei a consentire che la risposta ad esso comporti univocamente l’accoglimento o il rigetto del motivo al quale attiene (Cass. n. 5779/2010, Cass. n. 5208/2010).

Anche nel caso in cui venga dedotto un vizio di motivazione ( art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5), l’illustrazione del motivo deve contenere, a pena d’inammissibilità, la "chiara indicazione del fatto controverso in relazione al quale la motivazione si assume omessa o contraddittoria, ovvero le ragioni per le quali la dedotta insufficienza della motivazione la rende inidonea a giustificare la decisione". Ciò comporta, in particolare, che la relativa censura deve contenere un momento di sintesi (omologo del quesito di diritto) che ne circoscriva puntualmente i limiti, in maniera da non ingenerare incertezze in sede di formulazione del ricorso e di valutazione della sua ammissibilità. Al riguardo, inoltre, non è sufficiente che tale fatto sia esposto nel corpo del motivo o che possa comprendersi dalla lettura di questo, atteso che è indispensabile che sia indicato in una parte del motivo stesso, che si presenti a ciò specificamente e riassuntivamente dedicata (cfr. ex plurimis, Cass. n. 8555/2010, Cass. sez. unite n. 4908/2010, Cass. n. 16528/2008, Cass. n. 8897/2008, Cass. n. 16002/2007).

6.- Questa Corte ha più volte ribadito che, nel vigore dell’art. 366 bis c.p.c., non può ritenersi sufficiente – perchè possa dirsi osservato il precetto di tale disposizione – la circostanza che il quesito di diritto possa implicitamente desumersi dall’esposizione del motivo di ricorso, nè che esso possa consistere o ricavarsi dalla formulazione del principio di diritto che il ricorrente ritiene corretto applicarsi alla specie. Una siffatta interpretazione della norma positiva si risolverebbe, infatti, nella abrogazione tacita dell’art. 366 bis, secondo cui è invece necessario che una parte specifica del ricorso sia destinata ad individuare in modo specifico e senza incertezze interpretative la questione di diritto che la S.C. è chiamata a risolvere nell’esplicazione della funzione nomofilattica che la modifica di cui al D.Lgs. n. 40 del 2006 ha inteso valorizzare (Cass. n, 5208/2010, Cass. n. 20409/2008). E’ stato altresì precisato che il quesito deve essere formulato in modo tale da consentire l’individuazione del principio di diritto censurato posto dal giudice a quo alla base del provvedimento impugnato e, correlativamente, del principio, diverso da quello, la cui auspicata applicazione da parte della S.C. possa condurre a una decisione di segno inverso; ove tale articolazione logico-giuridica mancasse, infatti, il quesito si risolverebbe in una astratta petizione di principio, inidonea sia a evidenziare il nesso tra la fattispecie e il principio di diritto che si chiede venga affermato, sia ad agevolare la successiva enunciazione di tale principio a opera della S.C. in funzione nomofilattica. Il quesito, pertanto, non può consistere in una mera richiesta di accoglimento del motivo o nell’interpello alla S.C. in ordine alla fondatezza della censura, ma deve costituire la chiave di lettura delle ragioni esposte e porre la S.C. in condizione di rispondere a esso con la enunciazione di una regala iuris che sia, in quanto tale, suscettibile di ricevere applicazione in casi ulteriori rispetto a quello sottoposto all’esame del giudice che ha pronunciato la sentenza impugnata (Cass. sez. unite n. 27368/2009); per gli stessi motivi, il quesito di diritto non può mai risolversi nella generica richiesta rivolta alla S.C. di stabilire se sia stata violata o meno una certa norma, nemmeno nel caso in cui il ricorrente intenda dolersi dell’omessa applicazione di tale norma da parte del giudice di merito, e deve poi investire la ratio decidenti della sentenza impugnata, proponendone una alternativa e di segno opposto (Cass. n. 1285/2010, Cass. n. 4044/2009).

7.- Nella specie, il quesito di diritto formulato a chiusura del secondo motivo è del tutto inconferente rispetto all’effettiva ratio decidenti della sentenza impugnata, che non è affatto costituita dall’affermazione di una supposta rinuncia tacita dell’Istituto a far valere la prescrizione – rinuncia che, se pure "sussistente e concomitante" (pag. 2 della sentenza), secondo la Corte territoriale, non potrebbe comunque ritenersi valida, in quanto relativa a diritto indisponibile – ma si fonda sul rilievo del più volte intervenuto riconoscimento del diritto da parte dell’Istituto nel corso del procedimento amministrativo ( art. 2944 c.c.), riconoscimento che, sempre secondo i giudici di merito, avrebbe impedito il maturarsi della prescrizione. Poichè, dunque, il quesito di diritto formulato dal ricorrente non è assolutamente idoneo ad investire la ratio decidendi della sentenza impugnata e, correlativamente, ad individuare un principio che possa condurre ad una decisione di segno diverso da quello adottato dalla Corte territoriale, il motivo in esame deve ritenersi inammissibile.

8.- In conclusione, il ricorso deve essere rigettato.

9.- Le spese del giudizio di legittimità seguono la soccombenza.

P.Q.M.

La Corte rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese del presente giudizio liquidate in Euro 30,00 oltre Euro 2.000,00 per onorati, oltre ad accessori di legge.

Testo non ufficiale. La sola stampa del bollettino ufficiale ha carattere legale.

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