Cass. civ. Sez. Unite, Sent., 23-01-2012, n. 832 Giurisdizione del giudice ordinario e del giudice amministrativo

Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole direttore del sito giuridico http://www.gadit.it/

Svolgimento del processo

Il Consiglio di Stato con sentenza del 14 aprile 2010 ha confermato la decisione 8 maggio 2002 del TAR Puglia che aveva declinato la giurisdizione sulla domanda con cui C.F., G. ed A., nonchè E.A. avevano chiesto la condanna del comune di Grottaglie e dell’IACP della Provincia di Taranto, al risarcimento del danno anche in forma specifica per l’occupazione senza titolo di un terreno di loro proprietà ubicato nel territorio comunale per la realizzazione di tre palazzine.

Ha osservato al riguardo: a) che avendo i proprietari fondato la richiesta sulla nullità della dichiarazione di p.u. contenuta nella Delib. 15 settembre 1973 del comune che aveva localizzato l’intervento, perchè priva dei termini di cui alla L. n. 2359 del 1865, art. 13, la giurisdizione apparteneva al giudice ordinario; b) che sul punto si era d’altra parte formato il giudicato perchè analoga pretesa essi avevano fatto valere in un precedente giudizio davanti al giudice ordinario senza mai sollevare alcuna questione di giurisdizione, neppure con il ricorso alla Corte di Cassazione contro la decisione della Corte di appello di Taranto che aveva ravvisato nella vicenda una fattispecie di occupazione espropriativa e dichiarato prescritto il loro credito; c) che l’efficacia pan processuale dei giudicato operava anche nei confronti di tutte le questioni di merito poste dagli espropriati e non più revocabili in discussione attraverso altra azione processuale proposta in altra sede giurisdizionale. Per la cassazione della sentenza i C. e l’ E. hanno formulato ricorso per 4 motivi. Il comune di Grottaglie ne ha chiesto la declaratoria di inammissibilità.

Motivi della decisione

Dichiarata preliminarmente l’inammissibilità del controricorso del comune perchè non conforme alle disposizioni dell’art. 370 cod. proc. civ., il Collegio osserva che con il primo motivo i ricorrenti, deducendo violazione del D.Lgs. n. 80 del 1998, art. 34 e T.U. espr. appr. con D.P.R. n. 327 del 2001, art. 53 censurano la sentenza impugnata per avere ribadito la giurisdizione del giudice ordinario sulle situazioni di occupazione illegittima in radice del fondo privato per nullità e/o inesistenza della dichiarazione di p.u. in quanto priva dei termini per l’esecuzione ed i lavori (cd. occupazione usurpativa), senza considerare: a) che la Corte di appello di Lecce con sentenza del 7 febbraio 2007 aveva escluso siffatta situazione per avere stabilito che l’espropriazione era avvenuta nell’ambito di un piano di zona ex L. n. 167 del 1962 perciò non richiedendosi l’apposizione di detti termini; b) che ricorreva dunque un’ipotesi di espropriazione sia pure illegittima (cd. occupazione espropriativa), per effetto della pronuncia 191/2006 della Corte Costituzionale e della giurisprudenza successiva pacificamente devoluta alla giurisdizione esclusiva; c) che, d’altra parte, non si lamentavano comportamenti di fatto o tenuti in carenza di potere, ma comportamenti collegati all’esercizio, pur se illegittimo, di un pubblico potere, perciò appartenenti alla giurisdizione esclusiva.

Il motivo è infondato.

I ricorrenti hanno confuso l’accertamento compiuto nel merito dalla Corte di appello di Taranto sulla natura dell’occupazione dei loro terreni da parte del comune di Grottaglie e dell’IACP, da detti giudici collegata ad un Piano di zona e tuttora sub iudice, essendo stato dai proprietari proposto ricorso a questa Corte non ancora deciso: con la situazione di fatto e di diritto dedotta dagli espropriati in quel giudizio (sui quali doveva essere stabilita la giurisdizione), non più contestabile dopo la sentenza 20772/2004 di questa Corte, che accogliendo il loro ricorso ha statuito: a) che gli stessi davanti al Tribunale di Taranto avevano prospettato l’occupazione illegittima, senza alcun titolo del fondo e chiesto il risarcimento del danno per la perdita (anche sostanziale) della proprietà dell’immobile; b) che in grado di appello a conferma dell’illegittimità dell’occupazione avevano addotto la nullità e/o inesistenza del provvedimento contenente la dichiarazione di p.u., identificato nella Delib. comune 15 novembre 1973, n. 193 di localizzazione dell’area ai sensi della L. n. 865 del 1971, art. 51, perchè non contenente i termini di cui alla L. n. 865 del 1971, art. 13 per il compimento dei lavori e delle espropriazioni; c) che tale prospettazione doveva considerarsi legittima sia perchè non immutava i fatti dedotti in primo grado nè causa petendi (illegittimità dell’appropriazione senza titolo) e petitum (risarcimento del danno pari al valore venale dell’immobile); sia perchè l’esistenza del provvedimento di localizzazione era stato reso noto solo dopo la vocativo in ius, per effetto della costituzione dell’amministrazione resistente.

La sentenza impugnata ha ritenuto che identica situazione di illegittimità dell’occupazione fosse denunciata con il ricorso del 3 giugno 2002 davanti al TAR dai proprietari, i quali d’altra parte non ne hanno trascritto il contenuto, nè hanno prospettato di avere dedotto in questo giudizio una situazione del tutto opposta a quella sostenuta in precedenza, questa volta fondata sulla validità della dichiarazione di p.u. Per cui ha dichiarato "in limine" la giurisdizione del giudice ordinario proprio perchè ricorreva la fattispecie di comportamento della p.a. adottato in carenza di potere a causa della dichiarazione di p.u. priva dei menzionati termini.

Ciò in conformità all’ormai consolidata giurisprudenza di legittimità cui le Sezioni Unite intendono dare continuità secondo cui l’ambito di detta categoria individuata dalla sent. 191/2006 della Corte Costituzionale ricorre in due sole ipotesi, aventi ormai carattere residuale: 1) proprio quella in cui il provvedimento contenente la dichiarazione di p.u. sia giuridicamente inesistente o radicalmente nullo (L. n. 241 del 1990, art. 23): fra cui nella casistica giudiziaria antecedente al T.U. ha assunto particolare rilevanza la fattispecie in cui lo stesso non contenga l’indicazione dei termini per l’inizio ed il compimento delle espropriazioni e dell’opera, richiesta dalla L. n. 2359 del 1865, art. 13; e rispondente alla necessità di rilievo costituzionale (art. 42 Cost., comma 3), di limitare il potere discrezionale della pubblica amministrazione, al fine di evitare di mantenere i beni espropriabili in stato di soggezione a tempo indeterminato, nonchè all’ulteriore finalità di tutelare l’interesse pubblico a che l’opera venga eseguita in un arco di tempo valutato congruo per l’interesse generale per evidenti ragioni di serietà dell’azione amministrativa (Cass. sez. un. 3569/2011; 2814/2008; 9323/2007; 2688/2007;

9532/2004); 2) nelle ipotesi di sopravvenuta inefficacia della dichiarazione di p.u. individuate dalla L. n. 2359, art. 13, comma 3, nel caso di inutile decorso dei termini finali in essa fissati per il compimento dell’espropriazione e dei lavori (senza che sia intervenuto il decreto ablativo o si sia verificata la cd. occupazione espropriativa); e dalla L. n. 1 del 1978, art. 1, comma 3, in caso di mancato inizio delle opere "nel triennio successivo all’approvazione del progetto": a nulla rilevando che in entrambe le fattispecie il potere ablativo fosse in origine attribuito all’amministrazione, in quanto è decisivo che tale attribuzione fosse circoscritta nel tempo direttamente dal legislatore e fosse già venuta meno all’epoca dell’utilizzazione della proprietà privata (Cass. sez. un. 9844/2011; 3569/2011; 30254/2008; 19501/2008;

15615/2006).

Laddove rientrano nella giurisdizione esclusiva del giudice amministrativo istituita dal menzionato L. n. 205 del 2000, art. 7, le occupazioni illegittime preordinate all’espropriazione attuate in presenza di un concreto esercizio del potere, riconoscibile per tale in base al procedimento svolto ed alle forme adottate, in consonanza con le norme che lo regolano (pur se poi l’ingerenza nella proprietà privata e/o la sua utilizzazione nonchè la sua irreversibile trasformazione sono avvenute senza alcun titolo che le consentiva, ovvero malgrado detto titolo); nonchè l’ipotesi invocata dai C., ma qui non ricorrente, in cui la dichiarazione di p.u. sia stata emessa e successivamente annullata in sede amministrativa o giurisdizionale perchè anche in tal caso si è in presenza di un concreto riconoscibile atto di esercizio del potere, pur se poi lo stesso si è rivelato illegittimo e per effetto dell’annullamento ha cessato retroattivamente di esplicare i suoi effetti.

Con il secondo motivo i ricorrenti si dolgono che il Consiglio di Stato abbia ritenuto che sulla loro pretesa già azionata nel precedente giudizio si fosse formato il giudicato in ordine alla giurisdizione del giudice ordinario ivi implicitamente ritenuta, per l’identità delle questioni dibattute, senza considerare che le due azioni differivano parzialmente per l’oggetto, posto che in quella proposta davanti al giudice amministrativo era chiesta in linea principale la restituzione del terreno; per cui la parziale diversità del petitum escludeva comunque la supposta identità delle due azioni.

Con il terzo contestano anche la formazione del giudicato sulla giurisdizione deducendo che il principio enunciato dalla sentenza impugnata vale esclusivamente per il giudicato interno formatosi sulla giurisdizione; che per quello esterno occorre invece che la pronuncia di merito implicitamente affermativa della giurisdizione sia passata in giudicato (laddove il giudizio già deciso dalla Corte di appello di Lecce era ancora sub iudice); ed ancora che le questioni trattate nei due giudizi abbiano identico oggetto: il che era da escludersi nella specie in cui al giudice ordinario era stato chiesto soltanto il risarcimento del danno e non anche la restituzione del terreno, come invece era avvenuto nel giudizio davanti al TAR avente per oggetto entrambe le pretese.

Con il quarto deducono violazione della L. n. 69 del 2009, art. 59, secondo cui soltanto la decisione delle Sezioni Unite sulla giurisdizione e non anche il giudicato implicito su di essa è vincolante per ogni giudice e per le parti anche in altro processo.

Anche queste censure sono infondate.

La giurisprudenza di questa Corte aveva in passato ripetutamente enunciato il principio sostanzialmente invocato dai ricorrenti, che soltanto le sentenze delle sezioni unite della corte di cassazione – per la funzione istituzionale di organo regolatore della giurisdizione, avessero il potere di adottare decisioni dotate di efficacia esterna sulla giurisdizione (cosiddetta efficacia panprocessuale). Laddove le sentenze dei giudici ordinari di merito, come quelle dei giudici amministrativi, potevano avere effetto di giudicato esterno sulla giurisdizione, soltanto a seguito di passaggio in giudicato di un capo della pronuncia sul merito, sul necessario presupposto della giurisdizione stessa.

La seconda di dette ipotesi è oggi ampliata e superata dal noto recente orientamento delle Sezioni, secondo cui: 1) ove il giudice abbia deciso il merito della controversia, in forza del combinato dell’art. 276 c.p.c., comma 2 e art. 37 cod. proc. civ. si deve ritenere che abbia deciso in modo positivo la questione pregiudiziale della giurisdizione; per cui, se le parti impugnano la sentenza, senza eccepire il difetto di giurisdizione, pongono in essere un comportamento incompatibile con la volontà di eccepire tale difetto e, quindi, si verifica il fenomeno della acquiescenza per incompatibilità con le conseguenti preclusioni nel giudizio di legittimità sancite dall’art. 329 c.p.c., comma 2 e art. 324 cod. proc. civ.; 2) in tal caso sul punto della appartenenza della giurisdizione al giudice che ha deciso nel merito deve ritenersi formato il giudicato implicito; il che osta a che la giurisdizione di quel giudice possa essere contestata in successive controversie fra le stesse parti aventi titolo nel medesimo rapporto davanti a un giudice diverso, avendo il giudicato esterno la medesima autorità di quello interno, in quanto corrispondono entrambi all’unica finalità dell’eliminazione dell’incertezza delle situazioni giuridiche e della stabilità delle decisioni (Cass. sez. un. 24883/2008 e successive).

Proprio quest’ultimo principio – non contraddetto dalla L. n. 69 del 2009, art. 59, che si è limitato a riprodurre il principio giurisprudenziale avanti indicato sull’efficacia delle decisioni delle Sezioni Unite della Corte di Cassazione – è stato recepito dalla sentenza impugnata la quale ha ritenuto che nel pregresso giudizio tra le stesse parti svoltosi davanti al giudice ordinario nessuna di esse aveva sollevato alcuna questione di giurisdizione neppure con il ricorso a questa Corte; perciò concludendo che sull’appartenenza di essa al giudice suddetto si era formato il giudicato implicito che impediva ai C. di riproporre davanti al giudice amministrativo la loro pretesa ritenuta identica perchè fondata sulle medesime circostanze di fatto, nonchè sulla medesima causa petendi e su di un petitum solo parzialmente diverso.

D’altra parte la ricordata sentenza 20772/2004 della Cassazione in quel giudizio ha cassato quella del primo appello sul presupposto che i C. avessero ivi introdotto una domanda di risarcimento del danno per la perdita in modo illegittimo della proprietà del fondo:

perciò comprendente sia le ipotesi di procedura ablativa divenuta illegittima e non conclusa con l’adozione del decreto di esproprio, sia quelle di invalidità dell’atto in cui è configurabile la dichiarazione di pubblica utilità, ulteriormente specificate in corso di causa allorchè l’amministrazione resistente aveva prodotto il relativo provvedimento, ritenuto dai proprietari privo dei termini di cui alla L. n. 2359 del 1865, art. 13. Ed ha devoluto al giudice di rinvio il compito di accertare se e quale di dette fattispecie ricorresse in concreto, ma nel contempo dichiarando implicitamente su entrambe la giurisdizione del giudice ordinario: in aderenza del resto ai criteri di riparto della giurisdizione antecedenti alla L. n. 205 del 2000, art. 7, fondati sulle situazioni giuridiche soggettive che l’attribuivano all’A.G.O. in tutti i casi in cui il proprietario del fondo deducesse la lesione del suo diritto dominicale per l’avvenuta occupazione illegittima e successiva trasformazione del fondo da parte della p.a.; e chiedesse il risarcimento del danno nell’una o nell’altra forma previste dall’art. 2058 cod. civ., egualmente rivolte a ristorare il pregiudizio arrecatogli dal danneggiante (Cass. sez. un. 8204/2005; 14794/2007;

2678/2011).

Per cui a nulla rileva il sopravvenire del nuovo criterio di suddivisione per materia introdotto da quest’ultima legge, poichè per il disposto dell’art. 5 cod. proc. civ. sulla giurisdizione (e competenza) non influiscono i mutamenti tanto della situazione di fatto quanto della situazione di diritto successivi alla domanda; e perchè, d’altra parte, l’eventuale efficacia della nuova legge si arresta comunque di fronte al giudicato anche implicito sulla giurisdizione (Cass. sez. un. 28545/2008; 3200/2010): non eludibile neppure, atteso il carattere strutturalmente unitario del diritto al risarcimento del danno evidenziato dalla sentenza impugnata, per il fatto che i C. – E. nel precedente giudizio abbiano chiesto soltanto la tutela risarcitoria per equivalente ed in quello davanti al giudice amministrativo vi abbiano aggiunto il risarcimento in forma specifica (Cass. 1700/2009; 23342/2006; 4925/2006).

L’evoluzione della giurisprudenza delle Sezioni Unite proprio sul tema del giudicato sulla giurisdizione, induce il Collegio a dichiarare interamente compensate tra le parti le spese del giudizio di legittimità.

P.Q.M.

La Corte a sezioni unite, rigetta il ricorso, dichiara la giurisdizione del giudice ordinario ed interamente compensate tra le parti le spese del giudizio.

Testo non ufficiale. La sola stampa del bollettino ufficiale ha carattere legale.

Lascia un commento

Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato. I campi obbligatori sono contrassegnati *