Cass. pen. Sez. V, Sent., (ud. 01-07-2011) 16-09-2011, n. 34206

Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole direttore del sito giuridico http://www.gadit.it/

Svolgimento del processo

1. La Corte di Appello di Bari, con sentenza del 21 giugno 2010, ha confermato la sentenza del Tribunale di Foggia del 18 febbraio 2009 con la quale U.A. e F.M. erano stati condannati per il delitto di furto aggravato in concorso.

2. Avverso tale sentenza hanno proposto ricorso per cassazione entrambi gli imputati, a mezzo dei rispettivi difensori, lamentando:

F.M.. a) una violazione di legge e una motivazione illogica in merito alla mancata applicazione delle disposizioni in tema di errore di fatto determinato dall’altrui inganno;

b) l’erronea valutazione delle prove che ha determinato l’illogicità della motivazione;

c) l’erronea qualificazione giuridica del fatto.

U.A.. a) una non corretta applicazione dei criteri valutativi delle prove con un sostanziale travisamento della prova;

b) una motivazione illogica in merito alla valutazione delle deposizioni testimoniali D. e L.V.;

e) un travisamento della prova sull’esistenza dell’elemento soggettivo dell’ascritto reato;

d) una violazione di legge in ordine alla mancata derubricazione del reato di furto in quello di appropriazione indebita, con susseguente improcedibilità per difetto di querela.

Risulta, altresì, depositata memoria difensiva nell’interesse del F..

Motivi della decisione

1. I ricorsi non meritano accoglimento.

2. In primo luogo perchè i ricorrenti non si discostano affatto da quanto già ha formato oggetto dei motivi di appello che sono stati disattesi dalla Corte territoriale.

3. In secondo luogo, come ribadito costantemente da questa Corte (v. a partire da Sez. 6 15 marzo 2006 n. 10951 fino di recente a Sez. 5 6 ottobre 2009 n. 44914), pur dopo la nuova formulazione dell’art. 606 c.p.p., lett. e), novellato dalla L. 20 febbraio 2006, n. 46, art. 8, il sindacato del Giudice di legittimità sul discorso giustificativo del provvedimento impugnato deve essere volto a verificare che la motivazione della pronunzia:

a) sia "effettiva" e non meramente apparente, ossia realmente idonea a rappresentare le ragioni che il giudicante ha posto a base della decisione adottata;

b) non sia "manifestamente illogica", in quanto risulti sorretta, nei suoi punti essenziali, da argomentazioni non viziate da evidenti errori nell’applicazione delle regole della logica;

e) non sia internamente contraddittoria, ovvero sia esente da insormontabili incongruenze tra le sue diverse parti o da inconciliabilità logiche tra le affermazioni in essa contenute;

d) non risulti logicamente "incompatibile" con "altri atti del processo" (indicati in termini specifici ed esaustivi dal ricorrente nei motivi posti a sostegno del ricorso per Cassazione) in termini tali da risultarne vanificata o radicalmente inficiata sotto il profilo logico.

Al Giudice di legittimità resta, infatti, preclusa, in sede di controllo sulla motivazione, la pura e semplice rilettura degli elementi di fatto posti a fondamento della decisione o l’autonoma adozione di nuovi e diversi parametri di ricostruzione e valutazione dei fatti, preferiti a quelli adottati dal Giudice di merito, perchè ritenuti maggiormente plausibili o dotati di una migliore capacità esplicativa.

Queste operazioni trasformerebbero, infatti, la Corte nell’ennesimo Giudice del fatto e le impedirebbero di svolgere la peculiare funzione assegnatale dal legislatore di organo deputato a controllare che la motivazione dei provvedimenti adottati dai Giudici di merito rispetti sempre uno standard di intrinseca razionalità e di capacità di rappresentare e spiegare l’iter logico seguito dal Giudice per giungere alla decisione.

4. Tutto ciò premesso, in diritto, passando ai singoli motivi sottoposti dai ricorrenti si osserva: con riferimento al F.:

a) nonostante quanto affermato dalla difesa, la mera lettura dell’impugnata sentenza dimostra come il Giudice a quo abbia tenuto conto dei motivi d’impugnazione, che per inciso non devono essere pedissequamente confutati ma che possono esserlo dal complesso della motivazione utilizzata, ed abbia chiarito come lo stesso avesse riposto nell’autovettura dell’altra ricorrente non solo il materiale da questa indicato (due buste di detersivo) ma anche altro materiale (v. punto 2.1 della motivazione) il che vale ad escludere, in uno con lo strano comportamento tenuto una volta scoperto, il venir meno della coscienza e volontà della sottrazione per essere stato indotto dal comportamento ingannevole della correa;

b) le prove sono state correttamente valutate dalla Corte territoriale nonchè logicamente poste a fondamento della decisione per cui, per quanto dianzi esposto in punto di diritto, non si può chiedere a questa Corte una nuova lettura del materiale probatorio;

c) correttamente è stata affermata l’esistenza del reato di furto e non di quello di appropriazione indebita sul presupposto di fatto, in ogni caso, del mancato possesso dei beni sottratti in capo al F. con riferimento alla U.:

a) al limite dell’inammissibilità sono i primi tre motivi, i quali si risolvono nella rilettura dell’esperita attività istruttoria ed in particolare delle effettuate deposizioni testimoniali: i Giudici del merito hanno, da un lato, correttamente valutato le prove ed hanno espresso il proprio convincimento in maniera del tutto logica e, d’altro canto, hanno motivato, altresì, in merito al mancato rilievo delle testimonianze a discarico (v. punto 2.2 della motivazione) in correlazione con le evidenziate contraddizioni tra le diverse tesi difensive;

b) l’affermazione dell’esistenza del reato di furto piuttosto che di quello di appropriazione indebita è stato valutato dalla Corte territoriale sia in conformità al fatto che una caposala di un nosocomio non abbia alcun potere autonomo sulle cose di proprietà della struttura clinica al di fuori dei poteri di vigilanza e di custodia che spettano giuridicamente al proprietario, che in conformità alla pacifica giurisprudenza in tema d’impossessa mento da parte di un dipendente di beni del datore di lavoro o di terzi (v. oltre la giurisprudenza citata anche di recente Cass. Sez. 4 14 marzo 2008 n. 23091).

Infatti, in tema di distinzione tra furto e appropriazione indebita, è decisiva l’indagine circa il potere di autonoma disponibilità sul bene da parte dell’agente.

Se questo sussiste, il mancato rispetto dei limiti in ordine alla utilizzabilità del bene integra il reato di appropriazione indebita;

in caso contrario, è configurabile il reato di furto.

Conformemente a detto principio, deve, quindi, ritenersi sussistere il reato di furto a carico dei dipendenti del nosocomio che sottraggano beni a loro affidati esclusivamente per l’espletamento di una attività di ordine materiale, quale il trasporto, il deposito, la conservazione e la consegna dei beni stessi per la realizzazione delle finalità proprie del nosocomio.

Quando, come nell’ipotesi di specie (nel caso della ricorrente U. l’esercizio di funzioni di caposala mentre il ricorrente F. era infermiere), esista un semplice rapporto materiale con le cose, determinato da un affidamento condizionato ai suddetti adempimenti e conseguente ad un preciso rapporto di lavoro, soggetto ad una specifica regolamentazione, l’agente non disponendo di alcun autonomo potere sui beni, nel senso giuridico sopra evidenziato, con la sottrazione di questi, se ne impossessa, così realizzando la fattispecie criminosa di cui all’art. 624 c.p..

5. Dal rigetto dei ricorsi deriva, in conclusione, la condanna di ciascuno dei ricorrenti al pagamento delle spese processuali e alla rifusione delle spese sostenute nel grado dalla parte civile, liquidate come da dispositivo.

P.Q.M.

La Corte rigetta i ricorsi e condanna ciascuno dei ricorrenti al pagamento delle spese processuali. Condanna inoltre in solido i ricorrenti al rimborso delle spese a favore della parte civile che liquida in complessivi Euro 1.700 oltre accessori come per legge.

Testo non ufficiale. La sola stampa del bollettino ufficiale ha carattere legale.

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