Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole direttore del sito giuridico http://www.gadit.it/
Svolgimento del processo
Con ricorso depositato il 5 luglio 2006 R.D.T.M. e R.D.T.G., quest’ultimo in proprio e nella qualità di procuratore di R.D.T.M.P., R.D.T.F., R.D.T.P.A. e R.D.T.M.G. proposero opposizione agli atti esecutivi avverso l’ordinanza del 15 giugno 2006 del giudice dell’esecuzione del Tribunale di Firenze, con la quale, nella procedura esecutiva immobiliare pendente nei confronti di P. F., era stata determinata la somma da sostituire al bene pignorato ai sensi dell’art. 495 cod. proc. civ.. Dedussero gli opponenti che era stata illegittimamente esclusa dal computo la somma di Euro 10.829,88, portata da un ulteriore intervento effettuato dai creditori in data 1 giugno 2006, che invece avrebbe dovuto essere inserita nella determinazione della somma da pagarsi dal debitore ai fini della conversione perchè l’intervento era stato spiegato prima dell’udienza fissata ex art. 495 cod. proc. civ., pur se dopo il deposito dell’istanza di conversione da parte del P..
Con un secondo ricorso, depositato il 28 luglio 2006, i medesimi creditori proposero altra opposizione agli atti esecutivi avverso il provvedimento del 28 giugno 2006, comunicato il 20 luglio 2006, col quale il giudice dell’esecuzione aveva ordinato la cancellazione della trascrizione del pignoramento ed il pagamento delle somme, versate dal debitore in sede di conversione, oggetto della relativa ordinanza, con conseguente dichiarazione di estinzione del processo esecutivo.
Il Tribunale di Firenze, riuniti i due processi di opposizione riassunti in sede di merito, con sentenza pubblicata in data 19 giugno 2008, ha rigettato le opposizioni ed ha condannato gli opponenti al pagamento delle spese processuali.
Avverso la sentenza, R.D.T.M. e R.D. T.G., quest’ultimo in proprio e nella anzidetta qualità, propongono ricorso straordinario per cassazione a mezzo di quattro motivi, illustrati da memoria. P.F. si difende con controricorso.
Motivi della decisione
1. Col primo motivo i ricorrenti deducono violazione e falsa applicazione degli artt. 495, 499, 563 e 564 cod. proc. civ., in relazione all’art. 360 cod. proc. civ., n. 3, per avere il Tribunale di Firenze ritenuto di non ammettere, ai fini della conversione, richiesta ed ottenuta dall’esecutato P., l’ulteriore somma di Euro 10.829,88, oltre accessori, portata dal decreto ingiuntivo provvisoriamente esecutivo, in forza del quale era stato spiegato intervento dagli stessi ricorrenti con ricorso depositato il 1 giugno 2006; secondo il giudice di merito, l’intervento successivo alla presentazione della domanda di conversione sarebbe stato inammissibile nel subprocedimento regolato dall’art. 495 cod. proc. civ.. I ricorrenti, riportano le affermazioni della sentenza impugnata e le contestano secondo quanto appresso.
1.1.- Secondo il Tribunale, la data di deposito dell’istanza di conversione si porrebbe come limite all’ammissibilità dell’intervento da computarsi ai fini della conversione, a seguito della modifica dell’art. 495 cod. proc. civ., operata con la L. 3 agosto 1998, n. 302, art. 13; questa, avendo imposto come condizione di ammissibilità dell’istanza il previo versamento della somma del quinto dell’ammontare dei crediti del procedente e degli intervenuti, avrebbe attribuito rilevanza soltanto ai crediti relativi ad interventi già effettuati al momento del deposito dell’istanza; gli intervenuti in data successiva potrebbero avvalersi del processo esecutivo già iniziato soltanto in caso di decadenza del debitore dal beneficio della conversione ed avrebbero, come si legge nella sentenza, quale "unica effettiva garanzia" soltanto la trascrizione di un nuovo successivo pignoramento sul bene, che il debitore potrebbe evitare consentendo di "estendere il pagamento anche alle somme portate da un intervento successivo alla proposizione della domanda di conversione".
Osservano i ricorrenti che dette asserzioni sarebbero del tutto prive di riscontro normativo, dato che gli artt. 499 e 563 cod. proc. civ., pongono come termine ultimo per considerare tempestivo un intervento la prima udienza fissata per l’autorizzazione alla vendita e nè dette norme nè altre escludono l’ammissibilità dell’intervento per l’ipotesi che, nelle more, il debitore esecutato abbia proposto istanza di conversione.
1.2.- La sentenza aggiunge che, con il versamento della somma pari al quinto, il debitore acquisirebbe il diritto a beneficiare della conversione pagando i crediti a lui già noti e la successiva udienza di determinazione delle somme non potrebbe comportare la perdita di tale "beneficio già acquisito dal debitore, che lo ha conquistato con la ricerca delle somme da impegnare per il pagamento ed il versamento di esse in misura pari almeno al quinto"; ed, ancora, che estendere la conversione ai crediti relativi ad interventi successivi al deposito della relativa istanza, fino all’udienza di quantificazione del debito complessivo dell’esecutato, sarebbe "operazione che, oltre a violare il palese intento del legislatore, esporrebbe all’arbitrio dei creditori più tardivi il diritto dei creditori solleciti ad un pagamento comunque vantaggioso rispetto alle lungaggini ed all’alea dell’espropriazione; inoltre rimarrebbe senza disciplina il diritto sulle somme versate in adempimento della condizione di ammissibilità del beneficio …". Osservano i ricorrenti che il creditore, che pur avrebbe ancora diritto ad intervenire nel processo esecutivo, seguendo il ragionamento del giudice a quo, si vedrebbe privato di tale diritto soltanto a seguito del deposito dell’istanza di conversione e sarebbe addirittura costretto ad intraprendere una nuova esecuzione, con ulteriori spese anche per il debitore esecutato. Inoltre, i creditori intervenuti prima del deposito dell’istanza, ove ammessi al concorso anche i creditori intervenuti successivamente, contrariamente a quanto sostenuto in sentenza, non si troverebbero in posizione diversa e deteriore rispetto a quella che si ha in ogni esecuzione immobiliare in cui vi siano ulteriori interventi tempestivi: in particolare, rispetto ai creditori i cui interventi siano tutti tempestivi, alla stregua delle norme su richiamate, non si potrebbe far dipendere il diritto a partecipare o meno all’esecuzione dal casuale ed imprevedibile deposito di un’istanza di conversione del pignoramento, ed indipendentemente dal suo accoglimento; per questo, secondo i ricorrenti, il momento ultimo per considerare i crediti degli intervenuti nella determinazione ex art. 495 cod. proc. civ., non potrebbe che essere quello della relativa udienza, essendo la data di questa un dato certo, cui appunto ancorare detta determinazione.
Aggiungono che nulla sarebbe mutato dopo le modifiche del 1998, che hanno riguardato soltanto la previsione di una condizione di ammissibilità dell’istanza, a garanzia della serietà della stessa;
al giudice non è consentito creare nuove preclusioni, non previste dalla legge e, secondo i ricorrenti, l’art. 495 cod. proc. civ., non può essere letto nel senso preteso dalla sentenza impugnata, anche in considerazione del fatto che, a tenore della norma, altro è la somma il cui versamento è previsto come condizione di ammissibilità, altro quella da sostituire complessivamente al bene pignorato. Citano, infine, dottrina e giurisprudenza (in specie, Cass. 6 novembre 1982 n. 5867) a sostegno dell’illustrazione che precede.
2.- Il motivo è fondato.
Occorre premettere che la vicenda processuale oggetto di ricorso si è svolta in parte nel vigore della novella introdotta con il D.L. n. 35 del 2005, convertito nella l. n. 80 del 2005, secondo la successione temporale di cui appresso:
– la procedura esecutiva è stata introdotta nel 2004 e la prima udienza fissata ai sensi dell’art. 569 cod. proc. civ. (nel testo vigente prima delle modifiche apportate dall’art. 2, comma 3, lett. e), n. 26 del citato D.L.) risulta essersi tenuta il 21 dicembre 2004 ed essersi conclusa con un rinvio, senza che fosse stata autorizzata la vendita;
– nelle more, e senza che nella procedura fosse stata emessa l’ordinanza di vendita, è stata presentata l’istanza di conversione in data 27 aprile 2006;
– in data successiva all’istanza, e precisamente con ricorso del 1 giugno 2006, è stato effettuato dai creditori R.D.T. l’intervento in contestazione;
– in data 15 giugno 2006 si è tenuta l’udienza fissata dal giudice dell’esecuzione ai sensi dell’art. 495 cod. proc. civ., ed è stata emessa l’ordinanza oggetto dell’opposizione agli atti esecutivi decisa con la sentenza impugnata.
Trattandosi di processo esecutivo pendente alla data del 1 marzo 2006, la disciplina applicabile deve essere individuata in ragione della disposizione transitoria di cui al D.L. n. 35 del 2005, art. 2, comma 3 sexies, convertito nella L. n. 80 del 2005, come modificata dalla L. n. 263 del 2005, art. 1, comma 6, e succ. mod., per la quale la disposizione in oggetto, contenente, tra le altre, le modifiche degli artt. 495, 499 e 564 cod. proc. civ., "entra in vigore il 1 marzo 2006 e si applica anche alle procedure esecutive pendenti anche a tale data di entrata in vigore. Quando tuttavia è già stata ordinata la vendita, la stessa ha luogo con l’osservanza delle norme precedentemente in vigore. L’intervento dei creditori non muniti di titolo esecutivo conserva efficacia se avvenuto prima del 1 marzo 2006".
Pertanto, in materia di esecuzione immobiliare, il sub-procedimento di conversione, introdotto con istanza depositata dopo il 1 marzo 2006, in una procedura esecutiva pendente a tale data, è regolato dall’art. 495 cod. proc. civ., nel testo modificato dal D.L. n. 35 del 2005, art. 2, comma 3, lett. e) n. 6.1), convertito nella L. n. 80 del 2005, già citati; gli interventi effettuati con ricorsi depositati dopo il 1 marzo 2006, in una procedura esecutiva pendente a tale data, sono regolati dagli artt. 499 e 564 (e non più 563, abrogato a far data dal 1 marzo 2006 dal medesimo art. 2, comma 3, lett. e, n. 22), così come rispettivamente modificati dall’art. 2, comma 3, lett. e), n. 7 e n. 23, dello stesso provvedimento. La citata disposizione transitoria deve essere interpretata nel senso che le norme precedentemente in vigore continuano ad applicarsi esclusivamente se sia stata ordinata la vendita ed esclusivamente con riferimento alla fase della vendita regolata dall’ordinanza emessa prima del 1 marzo 2006.
Non essendo, nel processo esecutivo pendente ai danni del P., mai stata autorizzata la vendita, i riferimenti di cui appresso devono intendersi fatti alle norme come sopra modificate.
3.- L’intervento nella procedura esecutiva effettuato dagli odierni ricorrenti con ricorso depositato il 1 giugno 2006 è da ritenersi tempestivo ai sensi e per gli effetti dell’art. 499 cod. proc. civ., comma 2, considerato il suo tenore letterale (per il quale il ricorso per intervento "deve essere depositato prima che sia tenuta l’udienza in cui è disposta la vendita o l’assegnazione ai sensi degli artt. 530, 552 e 569"): premesso che è da ritenere che con la menzione dell’"assegnazione" il legislatore si sia riferito all’espropriazione mobiliare e presso terzi, non anche all’istituto dell’art. 590 cod. proc. civ. (che presuppone, nell’espropriazione immobiliare, già espletate senza successo sia la vendita senza incanto che quella con incanto), la norma fissa la disciplina generale dell’intervento in ogni processo di espropriazione forzata.
Mentre il testo originario dell’art. 499 cod. proc. civ., nulla prevedeva in ordine al tempo dell’intervento, che era regolato diversamente per ciascuna forma di espropriazione, la novella del 2005/2006 ha invece aggiunto tale previsione a carattere generale, da coordinare, con riguardo all’espropriazione immobiliare, con l’art. 564 cod. proc. civ..
Le due previsioni – cioè l’art. 499 cod. proc. civ. ("… l’udienza in cui è disposta la vendita o l’assegnazione ai sensi degli artt. 530, 552 e 569") e l’art. 564 cod. proc. civ. ("non oltre la prima udienza fissata per l’autorizzazione della vendita") – vanno coordinate ritenendo che l’intervento tempestivo è possibile fintantochè il giudice dell’esecuzione non abbia autorizzato la vendita.
Dato quanto sopra e considerato che l’intervento in contestazione è stato fatto da creditori muniti di titolo esecutivo, risulta rispettato il disposto dell’art. 499 cod. proc. civ., comma 1, che pone quale requisito dell’ammissibilità dell’intervento il possesso di un valido titolo esecutivo, fatte salve le eccezioni previste nella stessa norma.
Più specificamente, poichè non è in contestazione, che, al momento dell’intervento del 1 giugno 2006, il decreto ingiuntivo ottenuto dai R.D.T. contro il P., posto a base dell’intervento, fosse provvisoriamente esecutivo e che lo sia rimasto fino alla pronuncia dell’ordinanza opposta, del 15 giugno 2006 (fatto salvo quanto si dirà, a proposito delle successive vicende dello stesso decreto), si deve concludere nel senso che, contrariamente a quanto sostenuto dal controricorrente, l’intervento fosse ammissibile e tempestivo, anche ai sensi della normativa introdotta dalla novella del 2005. 4.- Va pertanto delibato l’argomento, sostenuto dal Tribunale, per il quale, pur essendo astrattamente ammissibile l’intervento dei creditori anche dopo la presentazione dell’istanza di conversione da parte del debitore, questo legittimerebbe i medesimi creditori a partecipare all’esecuzione soltanto in caso di decadenza del debitore dal beneficio, dovendosi invece escludere la rilevanza del medesimo intervento ai fini del sub-procedimento di conversione (salva una diversa volontà manifestata dallo stesso debitore).
Si tratta di una lettura dell’art. 495 cod. proc. civ., che non trova riscontro nel testo normativo e che, come rilevato dai ricorrenti, si pone in contrasto con la disciplina dell’intervento nelle esecuzioni immobiliari, quale risultante dalle norme su richiamate.
Quest’ultima non pone alcun altro limite per la tempestività dell’intervento se non quello di cui si è detto; per di più, pone sullo stesso piano i creditori tempestivi e quelli tardivi, quando questi ultimi siano iscritti o privilegiati, e fa conseguire alla tardività dell’intervento dei creditori chirografari esclusivamente gli effetti dell’art. 565 cod. proc. civ. Pertanto, nell’operatività delle norme in vigore fino al 28 febbraio 2006, l’interpretazione di sistema avrebbe potuto comportare – anche in ragione di quanto si dirà sull’art. 495 cod. proc. civ. – che pure un intervento tardivo dovesse essere considerato ai fini della conversione.
A sua volta, l’art. 495 cod. proc. civ., non pone alcuna esplicita limitazione agli interventi da considerare ai fini della determinazione della somma da sostituire al bene pignorato, poichè, al primo comma, fa riferimento ad "una somma di denaro pari, oltre alle spese di esecuzione, all’importo dovuto al creditore pignorante e ai creditori intervenuti, comprensivo del capitale, degli interessi e delle spese", senza, appunto, distinguere tra interventi tempestivi e tardivi nè secondo la disciplina degli interventi nè in relazione agli adempimenti previsti dallo stesso art. 495 cod. proc. civ. (cfr.
Cass. n. 2104/74).
Il Tribunale di Firenze sostiene che una limitazione si dovrebbe desumere dalla previsione del secondo comma introdotto con la L. n. 302 del 1998, art. 13. Se non vi è dubbio che, ai sensi di tale comma, gli interventi da considerare non possano che essere quelli già effettuati nel momento in cui l’istanza viene depositata (poichè soltanto ai crediti relativi a questi ultimi, oltre che al l credito del pignorante, è possibile commisurare il quinto dell’importo complessivo da depositare per l’ammissibilità dell’istanza), è da escludere che la norma ponga in connessione i primi due suoi comma. Anzi, il testo dell’art. 495 cod. proc. civ., letto nella sua interezza, è perfettamente compatibile con un’interpretazione che imponga al giudice dell’esecuzione di tenere conto degli interventi effettuati fino al momento del deposito dell’istanza al fine di delibarne l’ammissibilità ai sensi del secondo comma e, successivamente, di provvedere alla determinazione definitiva della somma da sostituire ai beni pignorati, all’udienza fissata ai sensi del comma 3, considerando in tale momento tutti i crediti che, ai sensi del comma 1, debbono concorrere a formare detta somma, compresi quelli relativi ad interventi effettuati nel tempo (che il terzo comma fissa al massimo in trenta giorni, ma con termine ordinatorio) compreso tra il deposito dell’istanza ed il momento della pronuncia dell’ordinanza ex art. 495 cod. proc. civ..
4.1.- Se si seguisse l’interpretazione propugnata dal giudice a quo, si avrebbe l’imposizione di un termine di preclusione all’intervento dei creditori che non è nei citati artt. 499 e 564 cod. proc. civ., facendo dipendere dal casuale deposito dell’istanza di conversione da parte del debitore la perdita di un diritto che invece le norme riconoscono al creditore che abbia un credito che risponda ai requisiti dell’art. 499 cod. proc. civ., comma 1; inoltre, siffatta preclusione potrebbe risultare anticipata fino alle prime battute del processo esecutivo.
Infatti, le perplessità manifestate dalla dottrina circa la decorrenza iniziale del termine per proporre l’istanza di conversione (che secondo un orientamento dottrinale si sarebbe dovuto far coincidere con l’udienza fissata per l’autorizzazione alla vendita) possono reputarsi superate dal combinato disposto dell’art. 492 cod. proc. civ., comma 3, e art. 495 cod. proc. civ., comma 1, nei testi modificati con vigenza dal 1 marzo 2006: il debitore è legittimato a proporre l’istanza di conversione sin dal momento in cui la procedura è avviata con la notificazione dell’atto di pignoramento, che reca l’avvertimento di cui al citato art. 492, comma 3 (sul quale, cfr.
Cass. 8408/11 e n. 6662/11), con il quale non si fissa alcun termine iniziale, ma solo il termine finale, in conformità al disposto dell’art. 495 cod. proc. civ.; d’altronde, trattandosi di un beneficio per il debitore esecutato, è nell’interesse di quest’ultimo anticiparne la richiesta; tanto più che, dopo la modifica dell’art. 569 cod. proc. civ., nelle procedure instaurate successivamente al 1 marzo 2006 l’attività di stima dell’immobile pignorato viene compiuta prima – a differenza che nel regime vigente il quale venne espressa la diversa opinione dottrinale – dell’udienza di autorizzazione alla vendita. Allora, come detto, la preclusione agli interventi che conseguirebbe dalla presentazione dell’istanza di conversione finirebbe per porsi di gran lunga prima del termine fissato dagli artt. 499 e 564 cod. proc. civ..
Si tratterebbe di una deroga che, oltre a non trovare, come detto sopra, riscontro normativo nell’art. 495 cod. proc. civ., nemmeno si giustificherebbe in considerazione della funzione del conversione e della struttura del relativo sub-procedimento.
Quanto a quest’ultima, delineata come sopra la distinzione tra somme da considerare ai fini dell’ammissibilità dell’istanza e somme da considerare ai fini della sostituzione del bene pignorato, va confutato l’argomento del Tribunale secondo cui una tale distinzione lascerebbe "… senza disciplina il diritto sulle somme versate in adempimento della condizione di ammissibilità del beneficio". La norma di riferimento è costituita dal quinto comma, la cui lettura – che così completa quella dei comma precedenti di cui sopra- comporta che le somme versate dal debitore "formano parte dei beni pignorati", quindi vengano definitivamente perdute, qualora il debitore ometta il versamento dell’importo determinato dal giudice ai sensi del terzo comma (ovvero ometta o ritardi il versamento anche di una sola delle rate previste dal quarto comma, determinate con la stessa ordinanza prevista dal terzo): l’unica interpretazione possibile, perchè coerente col principio per il quale non è consentito all’interprete introdurre preclusioni e sanzioni che non siano disposte dal legislatore, è quella per la quale sono queste soltanto le ipotesi di decadenza dal beneficio della conversione che comportino la perdita di quanto versato dal debitore; ciò è tanto vero che la somma versata dal debitore gli va restituita nel caso in cui l’istanza sia dichiarata inammissibile ai sensi del secondo comma, perchè il versato sia ritenuto inferiore a quanto prescritto per legge. Ne segue che, qualora il debitore non intenda insistere nell’istanza di conversione, può rinunciarvi prima che il giudice provveda ai sensi del terzo (e quarto) comma ed, in tal caso, essendo mancata la determinazione del giudice, debbano essere restituite al debitore le somme versate contestualmente all’istanza di conversione, ai fini dell’ammissibilità al beneficio; e la rinuncia ben potrebbe essere causata dall’intervento di creditori sopravvenuto alla presentazione dell’istanza.
Giova aggiungere che un’interpretazione siffatta è coerente anche col disposto dell’ultimo comma dell’art. 495 cod. proc. civ., poichè laddove il legislatore fa riferimento al limite di una volta soltanto per l’ammissibilità dell’istanza di conversione, non può che riferirsi ad ipotesi in cui la prima istanza sia stata dichiarata inammissibile dal giudice ai sensi del secondo comma ovvero sia stata seguita dalla decadenza dal beneficio ai sensi del quinto comma, mentre non è interpretabile come sanzione del comportamento volontario del debitore, che, presentata l’istanza, la "ritiri" prima della delibazione del giudice sulla sua ammissibilità ovvero prima della determinazione definitiva da parte del giudice ai sensi del comma 3. Si tratta infatti di un beneficio accordato al debitore esecutato al quale questi ben può rinunciare senza decadervi, se non nelle ipotesi di decadenza espressamente previste dal legislatore.
4.2.- Venendo a trattare della funzione dell’istituto della conversione, quanto sopra consente di superare gli argomenti della sentenza impugnata che fanno leva sul conseguimento di un diritto del debitore esecutato ad ottenere il beneficio, sin dal momento del versamento del quinto: se l’istanza è conforme a quanto disposto dal secondo comma, essa è ammissibile, ma il debitore per conseguire il beneficio della conversione deve corrispondere quanto stabilito dal primo comma della norma; scopo della conversione è quello di sostituire alle cose pignorate una somma che corrisponda all’importo complessivamente dovuto a tutti i creditori, pignorante ed intervenuti, ed è raggiungibile soltanto quando, in forza di quanto versato dal debitore a seguito di determinazione del giudice, risultino soddisfatti tutti i creditori che, secondo le norme che regolano l’intervento, hanno diritto a partecipare all’espropriazione in quel processo esecutivo nel quale il beneficio è accordato.
Resta così confutato anche l’argomento del Tribunale secondo cui l’interpretazione sostenuta dagli opponenti priverebbe di tutela il debitore che, sostanzialmente, avrebbe fatto affidamento sulla possibilità di pagare i debiti risultanti dalla procedura fino al momento dell’istanza, atteso che trattasi di un affidamento che, pur ove esistente in fatto, non trova riscontro in un diritto accordatogli dalla legge; questo, come detto, è subordinato al pagamento integrale di tutti i crediti fatti valere nella processo esecutivo, secondo le modalità e nei tempi consentiti.
Resta da dire dell’argomento del Tribunale, secondo cui si danneggerebbero i creditori che, intervenuti prima dell’istanza di conversione, vedrebbero compromessa la loro posizione dalla restituzione di quanto versato al debitore, nel caso in cui egli non intenda far fronte al pagamento del credito dell’intervenuto dopo l’istanza di conversione. Il creditore pignorante ed i creditori intervenuti nel processo esecutivo sono fisiologicamente esposti al rischio del concorso di altri creditori, che può compiersi nei tempi sopra richiamati. La conversione è un beneficio riconosciuto al debitore, che si traduce in un vantaggio per i creditori soltanto nel momento in cui il debitore abbia corrisposto tutto od anche parte delle somme determinate ai sensi dell’art. 495 cod. proc. civ., comma 3; prima di tale determinazione e prima del (primo, in caso di rateizzazione) versamento nessun vantaggio consegue ai creditori, nè questi possono vantare una situazione giuridica tutelabile nel processo.
5.- L’interpretazione sopra sostenuta trova, dopo la novella del 2005, un ulteriore riscontro sistematico nell’incipit dell’art. 495 cod. proc. civ., comma 1, che finisce per essere coordinato con quello dell’art. 499 cod. proc. civ., comma 2.
Infatti, mentre nel vigore dell’art. 495 cod. proc. civ., risultante dalle modifiche apportate dalla citata L. n. 302 del 1998, l’istanza di conversione era possibile "in qualsiasi momento anteriore alla vendita", quindi anche dopo che questa fosse stata autorizzata, cosicchè poteva darsi che si ponesse la questione di dover computare ai fini della conversione anche i crediti relativi ad interventi tardivi, ai sensi degli artt. 563, 564 e 565 cod. proc. civ., tale eventualità è scongiurata dalle norme attualmente vigenti (salvo che per il caso, astrattamente ipotizzabile, ma del tutto eccezionale, che il giudice dell’esecuzione a seguito dell’istanza di conversione non sospenda il processo esecutivo ed emetta l’ordinanza di vendita prima della pronuncia dell’ordinanza ex art. 495 cod. proc. civ., comma 3). Vi è infatti perfetta coincidenza tra il termine ultimo per l’ammissione del debitore alla conversione ("prima che sia disposta la vendita …") ed il termine ultimo per intervenire tempestivamente nel processo esecutivo ("…l’udienza in cui è disposta la vendita"). Questa coincidenza non impedisce, come è dimostrato dal caso di specie, che vi siano interventi successivi al deposito dell’istanza di conversione, ma comporta che si tratti sempre di interventi tempestivi ed ammissibili (nel concorso delle altre condizioni dell’art. 499 cod. proc. civ.) e dei quali il giudice debba tenere conto nel momento in cui determina la somma da sostituire ai beni pignorati ai sensi dell’art. 495 cod. proc. civ., comma 3. Corollario è che il momento in cui il giudice riserva la decisione o decide ai sensi dell’art. 495 cod. proc. civ., comma 3, è l’ultimo termine utile perchè i creditori dell’esecutato possano intervenire nel processo al fine di far considerare il proprio credito nell’ordinanza di conversione. Pertanto, il principio espresso dal precedente costituito da Cass. n. 5867/82, citato dai ricorrenti è tuttora valido e va precisato nel senso che l’udienza cui occorre fare riferimento è quella nella quale venga riservato od effettivamente pronunciato il provvedimento ex art. 495 cod. proc. civ., comma 3, sia che si tratti dell’udienza fissata col decreto col quale è dichiarata ammissibile l’istanza sia che si tratti di udienza differita d’ufficio allo scopo di emettere lo stesso provvedimento.
In conclusione, in – tema di conversione del pignoramento immobiliare, il giudice dell’esecuzione deve determinare la somma da sostituire ai beni pignorati tenendo conto, oltre alle spese di esecuzione, dell’importo, comprensivo del capitale, degli interessi e delle spese, dovuto al creditore pignorante e ai creditori intervenuti fino al momento dell’udienza in cui è pronunciata (ovvero il giudice si è riservato di pronunciare) l’ordinanza di conversione ai sensi dell’art. 495 cod. proc. civ..
6.- Sostiene il controricorrente che i creditori, intervenuti in forza di decreto ingiuntivo provvisoriamente esecutivo, avrebbero perso il diritto a partecipare all’espropriazione a seguito della sospensione della provvisoria esecuzione del decreto ingiuntivo disposta, ai sensi dell’art. 649 cod. proc. civ., dal giudice dell’opposizione ex art. 645 cod. proc. civ. con provvedimento del 3 luglio 2006. Si tratta di circostanza che, oltre ad essere sopravvenuta alla pronuncia dell’ordinanza oggetto dell’opposizione agli atti esecutivi (sicchè quando questa venne emessa, il 15 giugno 2006, non avrebbe potuto il giudice dell’esecuzione non tenere conto di un intervento basato su titolo esecutivo), non risulta essere stata dedotta in sede di merito, sicchè la relativa valutazione è inammissibile dinanzi a questa Corte.
7.- Il primo motivo di ricorso va perciò accolto; la sentenza impugnata deve essere cassata e, potendo questa Corte decidere nel merito dell’opposizione agli atti esecutivi introdotta con ricorso del 5 luglio 2006, questa va accolta e l’ordinanza del giudice dell’esecuzione del 15 giugno 2006 va dichiarata illegittima per la parte in cui non ha compreso nella somma da sostituire al bene pignorato quella dovuta ai creditori intervenuti con ricorso depositato il 1 giugno 2006, in forza del decreto ingiuntivo provvisoriamente esecutivo n. 2043/06, emesso dal Tribunale di Firenze, sezione specializzata agraria.
Ricorrono giusti motivi per compensare le spese del grado di merito, svoltosi a ridosso dell’entrata in vigore delle leggi di modifica sopra richiamate.
8.- I restanti tre motivi di ricorso sono relativi alla seconda opposizione agli atti esecutivi proposta dagli odierni ricorrenti, con ricorso del 28 luglio 2006, avverso il provvedimento del giudice dell’esecuzione del 28 giugno 2006; questo venne adottato a seguito del completamento del sub-procedimento di conversione con l’integrale pagamento o di quanto determinato con l’ordinanza del 15 giugno 2006 (e conteneva le statuizioni consequenziali di liberazione dell’immobile dal vincolo del pignoramento con l’ordine di cancellazione della relativa trascrizione, di pagamento ai creditori delle somme versate dal debitore e di chiusura del processo esecutivo): trattasi di atto c.d. confermativo ovvero atto che da attuazione all’ordinanza del 15 giugno 2006, tanto che non sarebbe stato nemmeno opponibile se quest’ultima non fosse stata opposta (cfr. Cass. n. 1750/70). Ne consegue che esso viene travolto dalla declaratoria di illegittimità di cui sopra e sulla relativa opposizione è cessata la materia del contendere, rilevabile anche in sede di legittimità. 9.- Le spese del giudizio di cassazione seguono la soccombenza e si liquidano come da dispositivo.
P.Q.M.
La Corte accoglie il ricorso, cassa la sentenza impugnata e, decidendo nel merito, dichiara illegittima l’ordinanza emessa dal giudice dell’esecuzione del Tribunale di Firenze in data 15 giugno 2006, secondo quanto specificato in motivazione, nonchè tutti i provvedimenti consequenziali; compensa tra le parti le spese del grado di merito; condanna il resistente P. al pagamento delle spese del giudizio di cassazione che liquida, in favore dei ricorrenti, nell’importo complessivo di Euro 1.400,00, di cui Euro 200,00 per esborsi, oltre rimborso spese generali, I.V.A. e C.P.A. come per legge.
Così deciso in Roma, il 13 dicembre 2011.
Depositato in Cancelleria il 24 gennaio 2012
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